Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23201 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/10/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 23/10/2020), n.23201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11767/2012 R.G. proposto da:

M.C., rappresentata e difesa dall’Avv. Pasquale Pacifico,

con domicilio eletto in Roma, via Val D’Ossola 100 presso lo studio

dell’Avv. Mario Pettorino;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, n. 51/49/2011 depositata il 21 marzo 2011, non notificata;

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 27 novembre 2019

dal consigliere Gori Pierpaolo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 51/49/11 depositata in data 21 marzo 2011 la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto da M.C. avverso la sentenza n. 45/19/09 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva a sua volta rigettato il ricorso della contribuente avverso l’avviso di accertamento IVA, IRPEF e IRAP 1999, con cui erano stati riconosciuti maggiori redditi imponibili e disconosciuto un credito IVA.

– In particolare la contribuente contestava il mancato esame della contabilità per l’anno di imposta in sede amministrativa, deducendo che l’attività commerciale era cessati nel 2001, che i dati dichiarati (avviamento) negli atti di cessione delle aziende del 1999 erano puramente formali, in quanto le stesse erano completamente improduttive di reddito, che il valore degli arredi e dei beni strumentali – pur non analiticamente indicati era costituito dalle attrezzature esistenti nell’azienda all’atto delle cessioni, che le rimanenze di merci al 1.1.1999 erano state erroneamente presunte vendute nel periodo di imposta, in quanto risultavano indicate tra le rimanenze finali al 31.12.1999; il credito IVA era poi stato disconosciuto senza motivazione e le sanzioni erano erroneamente determinate. Il ricorso veniva rigettato per accertata omissione di dichiarazione ai fini fiscali delle somme contestate.

– La contribuente appellante eccepiva la nullità della sentenza di primo grado per mancata notifica dell’avviso di trattazione dell’udienza, eccezione rigettata dalia CTR per impugnazione tempestiva e raggiungimento dello scopo. Per il resto la CTR riteneva di condividere la decisione appellata e dunque l’esattezza delle riprese.

– Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo cinque motivi. L’Agenzia delle Entrate si è difesa con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo e secondo motivo – dedotti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la contribuente lamenta la nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, rispettivamente, per essere stato l’appeilo trattato e deciso dalla CTR in data 14.1.2011 nonostante l’avviso di trattazione non fosse stato notificato personalmente alla ricorrente nè al suo domicilio eletto, e per non aver la contribuente ricevuto conoscenza, nemmeno attraverso il proprio difensore, della trattazione in primo grado della controversia, avvenuta il 1.12.2008 e del deposito della stessa sentenza di primo grado.

– I motivi, strettamente connessi in quanto relativi alla notizia dell’udienza di trattazione e all’operatività della sanatoria dell’art. 156 c.p.c., possono essere affrontati congiuntamente e sono in parte inammissibili e in parte infondati.

– Circa il secondo motivo va rammentato che i profili di nullità della sentenza di primo grado evidenziati si convertono in motivi d’appello (Cas, Sez. 5, Sentenza n. 1176 del 23/01/2004, Rv. 164706 – 01; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 23442 del 2007). Infatti, “In tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 38, comma 3, il quale esclude la decadenza dall’impugnazione per il decorso del termine (all’epoca) annuale “se la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza”, presuppone che sussista la situazione di “ignoranza del processo”, ovvero che la parte dimostri di non averne avuto alcuna conoscenza; tale situazione non si ravvisa in capo al ricorrente costituito in giudizio, cui non può dirsi ignota la proposizione del ricorso, nè è necessario, per ravvisare quella conoscenza, che gli sia stata anche comunicata la data dell’udienza di discussione (come previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 19, comma 4, ed ora dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22), benchè questa omissione comporti la nullità della sentenza del primo giudice, la quale si converte, ai sensi dell’art. 161 c.p.c., in motivo d’impugnazione esperibile nei termini di legge, la cui inosservanza determina il passaggio in giudicato della sentenza stessa.” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 12761 del 10/06/2011, Rv. 618471 – 01). Pertanto, non avendo la parte dimostrato di non aver avuto conoscenza del processo, correttamente la CTR ha poi deciso il merito.

– Sotto un ulteriore profilo, i due motivi sono anche gravemente affetti da difetto di autosufficienza. Quanto al secondo motivo (che censura la decisione di primo grado) non risulta prodotto in atti attestato della Cancelleria circa la mancanza di comunicazione dell’avviso di udienza di trattazione e, invero, la prospettazione dell’Agenzia controricorrente è diametralmente opposta a quella della contribuente. Inoltre, la controdeduzione è sostanziata, dal momento che l’Agenzia dichiara di aver prodotto in giudizio le copie degli avvisi di trattazione regolarmente spediti e li riallega in atti.

– Anche la doglianza circa la presunta mancata conoscenza dell’udienza di discussione in appello (racchiusa nel primo motivo) per mancata notifica dell’avviso di trattazione alla persona della contribuente o al suo domicilio eletto, manca di autosufficienza. Infatti, la CTR ha deciso nel merito la controversia senza rilevare alcuna questione a riguardo, e la ricorrente allega ma non dimostra che il proprio domicilio eletto non sarebbe stato al momento della notifica dell’avviso di trattazione in appello quello in cui l’avviso stesso è stato recapitato, peraltro quello da lei stessa dichiarato nel ricorso introduttivo e presente all’anagrafe tributaria (cfr. p.4 controricorso).

– Con il terzo motivo – articolato ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la contribuente censura la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, e l’insufficiente, illogica e,7ontraddittoria motivazione, per aver la CTR confermato la ripresa nonostante il questionario fosse stato trasmesso in data 20.2.2004 ad indirizzo in cui la contribuente non aveva più alcun domicilio, essendo l’attività di impresa da lei svolta già cessata, nè la residenza.

– Il motivo è inammissibile. Il mezzo di impugnazione in esame – peraltro contenente una plurima indicazione di paradigmi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, e deduzione di nullità della sentenza che per legge non può derivare dai nri. 3 e 5 della previsione citata – contesta un accertamento in fatto del giudice d’appello, nella parte in cui questo ha ritenuto che “non merita pregio la doglianza del contribuente in relazione alla mancata notifica del questionario inviato il 20/2/2004 dall’Ufficio, in quanto lo stesso ha dimostrato che dai dati presenti in anagrafica tributaria il contribuente aveva il suo domicilio fiscale in via (OMISSIS) – Casamicciola Terme; peraltro tale domicilio è stato indicato anche dal difensore nel ricorso introduttivo.”. Pertanto, non vi è spazio per il dedotto vizio di violazione di legge, non essendovi questione di sussunzione della fattispecie; mentre la parte in cui la censura si articola come vizio motivazionale è inammissibile in quanto non si forza di evidenziare elementi di prova agli atti decisivi e contrari al fatto accertato dalla CTR – circa il domicilio fiscale eletto al tempo della notifica del questionario -, fornendone supporto documentale riprodotto nel ricorso e a questo allegato.

– Con il quarto e quinto motivo – articolati ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la contribuente deduce rispettivamente la nullità della sentenza, la violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. nonchè l’insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione da parte del giudice d’appello, per aver questi ritenuto presuntivamente dimostrata l’esistenza di alienazione delle giacenze in magazzino 1999 unitamente alle cessioni d’azienda occorse in tale anno, non avendo l’Agenzia assolto l’onere della prova dei fatti costitutivi del credito erariale. La ricorrente deduce inoltre l’indebita tassazione dell’avviamento commerciale per non aver la CTR considerato che non erano state alienate licenze commerciali, e che non sussistevano beni strumentali effettivamente alienati e, infine, che le aziende stesse erano comunque improduttive di reddito.

– I motivi sono inammissibili. Va ribadito che “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale lè censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.” (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332).

– Inoltre è stato statuito che “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito.” (Cass. 22 settembre 2014 n. 19959).

– Lo sviluppo delle censure collide con i principi di diritto di cui a tali arresti giurisprudenziali. Il ricorrente infatti non censura la sentenza specificamente, e propone plurime doglianze sotto i concorrenti paradigmi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 che, peraltro, mai potrebbero condurre alla nullità della sentenza, per l’utile invocazione della quale sarebbe stato necessario fare riferimento al n. 4. Inoltre, la congerie di censure è in concreto chiaramente diretta ad ottenere una rivalutazione degli accertamenti compiuti dal giudice di appello in ordine a ciascuno dei fatti posti a base della ripresa sopra contestati, ossia le cessioni d’azienda, la valutazione ai fini fiscali delle rimanenze, dell’avviamento, dei beril strumentali alienati, rivalutazione che è preclusa alla Corte in assenza di deduzione di specifici elementi di prova decisivi, non esaminati, dal giudice di appello e contrari al motivato ragionamento da questi seguito.

– Per tutte le concorrenti ragioni esposte il ricorso va rigettato e seguono secondo soccombenza le spese di lite, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

– La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2.295,00 per Compensi, oltre a Spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

 

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