Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23201 del 11/10/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 23201 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 8988-2007 proposto da:
MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE
(già MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE
SOCIALI), MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO (già
MINISTERO DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE), in persona
dei rispettivi Ministri pro tempore, domiciliati in
2013
1299

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende
ope legis;
– ricorrenti –

4
W

Data pubblicazione: 11/10/2013

contro

I

ALBANO ENNIO, CHIARINI MAURIZIO, VOLA GERA SONIA,
RAllA

FRANCESCO,

GIOVINAZZI

CESARE,

PIZZUTI

STEFANO, CECCANTI PAOLO, FRANCIPANE SILVANA,
TIBURZI EMILIANO, VIOLA ENRICO, GAMBINO LANFRANCO,

MONTI DELIO, RAGONE MAURO, RANALLI LINA, AMATO
GAETANO, ANGELI GIOVANNA MARIA, CAVALIERI ENRICA,
CHICCA ELISABETTA, DA ROLD GIOVANNI, TOSI BEATRICE,
UGOLINI ARMANDO, VOLA GERA DANTE, MARASCHI ALBERTO,
CAVALIERI ENNIO, ROSSI FRANCO, ROSSI LITTORIA e
RUGGERI ELDA in proprio e nella qualità di eredi di
RUGGERI BRUNO, RUGGERI TERESA e RUGGERI ORNELLA

_
_

nella qualità di eredi di RUGGERI BRUNO, CHIARINI
PAOLO, CHINCA MARIO, GALLO FRANCESCO, GUOLO
PAOLINO, MADDALONI LAURA, PUGNALI PIETRO, CAVALIERI
FRANCO, CHIALASTRI GIUSEPPE, FELICI PIERANDREA,

,.

MADOTTO FRANCESCO, FABRIZI ALDO, FACCO ELISABETTA,
4

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OSLAVIA 40,
presso l’avvocato PAROLA STEFANIA, che li
rappresenta e difende, giusta procure in calce al
controricorso;

9

DOMENGHINI ANGELO (C.F. DMNNGL41M25E422L), MARSILI
GUGLIELMO (C.F. MRSGLL46B02F839G), MANCINI ROBERTO

(C.F. MNCRRT64S27E388M), elettivamente domiciliati
in ROMA, Via FRANCESCO SAVERIO NITTI 11, presso

2

l’avvocato GAGLIARDI STEFANO, che li rappresenta e
difende,

giusta

procura

a

margine

del

controricorso;

:

– controricorrenti –

sul ricorso 30036-2007 proposto da:
,

R.L., in persona del Curatore dott. VINCENZO DI
FANI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTO
RUFO 23, presso l’avvocato MOSCARINI LUCIO V., che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PIGA MARCELLO, giusta procura a margine del
ricorso;
– ricorrente –

_
contro

_

DOMENGHINI ANGELO (C.F. DMNNGL41M25E422L), MARSILI
GUGLIELMO (C.F. MRSGLL46B02F839G), MANCINI ROBERTO
(C.F. MNCRRT64S27E388M), elettivamente domiciliati
l

in ROMA, Via FRANCESCO SAVERIO NITTI 11, presso
l’avvocato GAGLIARDI STEFANO, che li rappresenta e

FALLIMENTO DELLA CO.FI.RI. TARQUINIA SOC. COOP. A

difende, giusta procura a margine del
controricorso;
MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE
(già MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE

_

SOCIALI), MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO (già
MINISTERO DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE), in persona

3

dei rispettivi Ministri pro tempore, domiciliati in

..

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende
ope legis;
ALBANO ENNIO, CHIARINI MAURIZIO, VOLA GERA SONIA,
i

FRANCESCO,

GIOVINAZZI

CESARE,

PIZZUTI

STEFANO, CECCANTI PAOLO, FRANCIPANE SILVANA,
TIBURZI EMILIANO, VIOLA ENRICO, GAMBINO LANFRANCO,
MONTI DELIO, RAGONE MAURO, RANALLI LINA, AMATO
GAETANO, ANGELI GIOVANNA MARIA, CAVALIERI ENRICA,
CHICCA ELISABETTA, DA ROLD GIOVANNI, TOSI BEATRICE,
UGOLINI ARMANDO, VOLA GERA DANTE, MARASCHI ALBERTO,
,

CAVALIERI ENNIO, ROSSI FRANCO, ROSSI LITTORIA e
_
RUGGERI ELDA in proprio e nella qualità di eredi di
RUGGERI BRUNO, RUGGERI TERESA e RUGGERI ORNELLA
nella qualità di eredi di RUGGERI BRUNO, CHIARINI
PAOLO, CHINCA MARIO, GALLO FRANCESCO, GUOLO
PAOLINO, MADDALONI LAURA, PUGNALI PIETRO, CAVALIERI
FRANCO, CHIALASTRI GIUSEPPE, FELICI PIERANDREA,

RAZZA

.

MADOTTO FRANCESCO, FABRIZI ALDO, FACCO ELISABETTA,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OSLAVIA 40,
presso l’avvocato PAROLA STEFANIA, che li
rappresenta e difende, giusta procure in calce al

_

controricorso;
– controri correnti –

i

4

contro

MANCINI FRANCESCO, RAGONE MAURO, BENNATI GIANCARLO;
– intimati –

sul ricorso 955-2008 proposto da:
BENNATI MAURIZIO (c.f. BNNMRZ58P09D612R), VENTURINI

eredi di BENNATI GIANCARLO, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA ALESSANDRIA 25, presso
l’avvocato BORROMEO CHIARA, che li rappresenta e
difende, giusta procura a margine del controricorso
e ricorso incidentale;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali contro

ALBANO ENNIO, CHIARINI MAURIZIO, VOLA GERA SONIA,
RAllA FRANCESCO, RUGGERI ELDA, RUGGERI TERESA,
MINISTERO DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE, GIOVINAllI
CESARE, PIZZUTI STEFANO, CECCANTI PAOLO, FRANCIPANE
SILVANA, TIBURZI EMILIANO, VIOLA ENRICO, GAMBINO
LANFRANCO, MONTI DELIO, RANALLI LINA, RUGGERI

PIERA (C.F. VNTPRI27L71D612L), nella qualità di

ORNELLA, AMATO GAETANO, ANGELI GIOVANNA MARIA,
CAVALIERI ENRICA, CHICCA ELISABETTA, DA ROLD
GIOVANNI, TOSI BEATRICE, UGOLINI ARMANDO, VOLA GERA
DANTE, MARASCHI ALBERTO, RAGONE MAURO, FALLIMENTO
CO.FI.RI. TARQUINIA S.C.A.R.L., CAVALIERI ENNIO,
MANCINI FRANCESCO, ROSSI FRANCO, ROSSI LITTORIA,

5

CHIARINI PAOLO, CHINCA MARIO, GALLO FRANCESCO,
GUOLO PAOLINO, MADDALONI LAURA, PUGNALI PIETRO
CAVALIERI FRANCO, CHIALASTRI GIUSEPPE, FELICI
PIERANDREA, MADOTTO FRANCESCO, DOMENGHINI ANGELO,
MANCINI ROBERTO, MARSILI GUGLIELMO, FABRIZI ALDO,

POLITICHE SOCIALI;

intimati

avverso la sentenza n. 4265/2006 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/10/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 18/07/2013 dal Consigliere
Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
la Corte riunisce il ricorso R.G. n. 8988/07 ai
ricorsi nn. 30036/07 + 955/08;
per il ricorso n. 8988/07:
udito, per i ricorrenti Ministeri, l’Avvocato PAOLO
GENTILI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per

controricorrenti ALBANO + ALTRI,

FACCO ELISABETTA, MINISTERO DEL LAVORO E DELLE

l’Avvocato STEFANIA PAROLA che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
udito, per i controricorrenti DOMENGHINI + ALTRI,
l’Avvocato STEFANO GAGLIARDI, con delega, che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
per i ricorsi nn. 30036/07 + 955/08:

6

uditi, per il ricorrente Fallimento, gli Avvocati
LUCIO MOSCARINI e GUGLIELMO PERICOLI (con delega)
che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso
principale e il rigetto del ricorso incidentale;
udito, per i controricorrenti Ministeri, l’Avvocato

rinvio al merito;
udito, per i controricorrenti ALBANO + ALTRI,
l’Avvocato STEFANIA PAROLA che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
udito, per i controricorrenti DOMENGHINI + ALTRI,
l’Avvocato STEFANO GAGLIARDI, che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
udito,

per

i

controricorrenti

e

ricorrenti

incidentali BENNATI +l, l’Avvocato CHIARA BORROMEO
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO APICE che ha concluso per il
rigetto del ricorso del Ministero, per il rigetto

PAOLO GENTILI che ha chiesto la cassazione con

del ricorso del Fallimento, e l’inammissibilità del
ricorso Bennati +1.

7

Svolgimento del processo
1.- Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 39804/2002,
condannò il Ministero del lavoro al risarcimento dei danni
subiti da numerosi soci della Cooperativa Finanziaria

COFIRI di Tarquinia a r.l.

(esclusi i soci Bennati

Giancarlo e, parzialmente, Tosi Beatrice), cui essi
avevano affidato negli anni 1994-1996 la gestione di
ingenti somme di denaro nella prospettiva, frustrata a
seguito del fallimento della società, di ottenere un
elevato rendimento, avendo il Ministero omesso di
esercitare i poteri ispettivi e di vigilanza attribuitigli
dalla legge che, se posti in essere, avrebbero evidenziato
_

le violazioni commesse dalla cooperativa nell’espletamento
dell’attività e consentito agli ignari soci di evitare gli
investimenti compiuti.
2.- La sentenza veniva impugnata con appello principale
dei Ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico
(subentrato al primo nelle funzioni di vigilanza sulle
cooperative) e con appelli incidentali dei soci Bennati e
Tosi. I Ministeri deducevano che gli attori non avevano
indicato le circostanze che avrebbero dovuto indurre gli
organi ispettivi del Ministero ad effettuare le ispezioni
e ad adottare provvedimenti repressivi nei confronti della
COFIRI; che non vi era prova che un’ispezione in quel
periodo avrebbe potuto fare emergere irregolarità

8

nell’attività della società, la quale era in regola con il
pagamento dei contributi e la presentazione dei bilanci,
tranne quello relativo al 1995; che il potere ispettivo
previsto dal d. lgs. n. 1577/1947 non costituiva un
obbligo ma solo una facoltà di cui il Ministero poteva

avvalersi compatibilmente con le scarse risorse umane a
propria disposizione e, comunque, fino al 1996 non erano
giunte segnalazioni di irregolarità che avrebbero potuto
indurre a compiere un’ispezione straordinaria; che il
potere ispettivo non si estendeva alla valutazione della
convenienza delle operazioni economiche compiute dalla
cooperativa e non avrebbe potuto impedirle di proseguire
nella sua attività e nella partecipazione, non vietata,
nelle società Mediolanum Golf e Velca Holding; male aveva
fatto il tribunale a colmare le carenza probatorie della
domanda mediante l’espletamento di una c.t.u. esplorativa,
le cui conclusioni erano criticabili quanto
all’affermazione che le ispezioni, se compiute, avrebbero
consentito di fare emergere irregolarità che avrebbero
dato luogo al commissariamento della cooperativa, così
evitando o interrompendo le iniziative di investimento
dannose per i soci, dal momento che quelle irregolarità,
ad avviso degli appellanti, sarebbero state sanabili e
avrebbero indotto lo stesso Ministero a rivolgere alla
cooperativa, al più, una diffida ad eliminarle, senza

9

provocare la nomina di un commissario governativo; in
definitiva, dal mancato svolgimento delle ispezioni non
poteva desumersi la colpa del Ministero, né la lesione di
un diritto soggettivo su cui i soci potevano fondare una
pretesa risarcitoria per responsabilità extracontrattuale.

Nel giudizio di appello interveniva il Fallimento COFIRI
che deduceva di essere l’unico soggetto legittimato ad
agire per il risarcimento dei danni conseguenti al
dissesto della COFIRI.
3.- La Corte di appello di Roma, con sentenza 9 ottobre
2006 n. 4265, ha dichiarato inammissibile l’intervento in
appello del Fallimento della COFIRI Tarquinia coop. a r.l.
e, nel merito, ha rigettato gli appelli, condividendo il
giudizio del tribunale sulla responsabilità del Ministero.
Esso, ad avviso della corte, aveva l’obbligo di compiere
ispezioni ordinarie “almeno una volta ogni due anni” e
straordinarie “ogni volta che se ne presenti
l’opportunità” (art. 2 del d. lgs. n. 1577/1947) e/o con
cadenza annuale (art. 15 della legge n. 59/1992), anche
tramite indagini penetranti sul regolare svolgimento
dell’attività della cooperativa, né il suo comportamento
omissivo poteva essere giustificato per la penuria di
organico del personale ispettivo a disposizione
dell’Amministrazione; vi erano tutte le condizioni (tenuto
conto del numero dei soci, della notevole articolazione

10

territoriale

della

società,

della

delicatezza

dell’attività svolta di concessione di finanziamenti ai
soci e del mancato deposito del bilancio al 31 dicembre
1988, anche alla luce delle indicazioni della circolare
min. 4 marzo 1997 n. 505) che avrebbero dovuto indurre il

Ministero a compiere le ispezioni; se queste fosse state
compiute tempestivamente, sarebbero emerse le gravi e
molteplici irregolarità compiute dalla COOFIRI, che
esercitava abusivamente l’attività bancaria e finanziaria,
e sarebbe stato “probabile in sommo grado” il suo
commissariamento e, comunque, anche solo una semplice
diffida avrebbe creato una situazione di allarme tra i
potenziali soci che li avrebbe resi consapevoli,
inducendoli ad astenersi dagli improvvidi investimenti di
denaro; poiché per aderire alla cooperativa si chiedeva
null’altro che il pagamento di una modesta quota sociale,
al fine di ottenere interessi elevati sulle somme
depositate su libretti vincolati, era stato accertato che
l’attività impropriamente svolta dalla cooperativa era di
raccolta del risparmio presso il pubblico, in violazione
dello statuto e della legge.
La corte ha condiviso le conclusioni della consulenza
tecnica d’ufficio la quale aveva accertato operazioni di
finanziamento senza idonee garanzie e di “pronto contro
termine” (attività questa di offerta al pubblico di valori

11

mobiliari, in mancanza delle condizioni previste dalla
legge n. 77/1983, art. 12, e dal d. lgs. n. 1/1991, art. 1
lett.

f)

e senza disponibilità dei titoli; raccolta di

ingenti somme (di oltre quindici miliardi di lire) per
finanziamenti ad amministratori, sindaci e loro congiunti
(tra i quali l’amministratore delegato Romeo Gigli e sua

moglie Di Capua Elena) in violazione dell’art. 2624 c.c.;
perdite superiori al capitale sociale; mancata
certificazione dei bilanci, ecc. In sostanza, ove il
Ministero avesse esercitato la vigilanza cui era tenuto
per legge nel periodo di attività della cooperativa
(costituita nel 1988), avrebbe accertato le irregolarità
e, quindi, avrebbe potuto prevedere e prevenire la
situazione di insolvenza in cui essa si sarebbe venuta a
trovare, con la conseguenza che le perdite dei risparmi da
parte degli investitori avrebbero potuto verosimilmente
essere evitate.
La Corte ha infine ritenuto non provate le domande del
sig. Bennati, che aveva avuto rapporti con una diversa
società (Mediolanum Golf) e non risultava avere effettuato
finanziamenti alla COFIR, e della sig.ra Tosi che invocava
il pagamento di una somma ulteriore rispetto a quella
riconosciutale.
4.- Per la cassazione di questa sentenza ricorrono il
Fallimento della COFIRI Tarquinia coop. a r.l. (r.g. n.

12

30036/07) – cui resistono i Ministeri e tre gruppi di soci
privati con separati controricorsi (Albano Ennio e altri;
Domenighini Angelo e altri; Bennati Maurizio e Venturini
Piera, eredi di Bennati Giancarlo) – nonché i medesimi
eredi Bennati (rg. n. 955/08) e i Ministeri (r.g. n.

8988/07), cui resistono due gruppi di soci privati con
separati controricorsi (Albano e altri; Domenighini e
altri).
Motivi della decisione
1.- Va preliminarmente disposta, a norma dell’art. 335
c.p.c., la riunione dei suddetti procedimenti, che hanno
ad oggetto la medesima sentenza della Corte di appello di
Roma n. 4265/2006
2.- Il ricorso (rg. n. 955/2008) proposto da Bennati
Maurizio e Venturini Piera (eredi di Bennati Giancarlo) è
inammissibile, avendo a oggetto la medesima sentenza da
essi già impugnata con ricorso deciso da questa Corte con
ordinanza

n.

27289/2008

(che

ne

dichiarato

ha

l’inammissibilità).
3.-

Va data precedenza all’esame dei quattro motivi

formulati dai Ministeri del Lavoro e dello Sviluppo
economico (a sostegno del ricorso iscritto nel rg. n.
8988/2007).
4.- Nel primo motivo i Ministeri addebitano alla sentenza
impugnata

insufficienza

motivazionale

e

numerose

13

violazioni di legge in relazione a diversi profili, tutti
infondati per le ragioni che si diranno.
4.1.- Nel primo profilo si contesta alla sentenza
impugnata di non avere precisato quale fosse l’attività
svolta abusivamente dalla COFIRI, confondendo tra

l’attività bancaria, finanziaria e di sollecitazione al
pubblico risparmio, ciò ripercuotendosi sulle ragioni, non
esplicitate, dell’addebito di non avere effettuato le
ispezioni. L’attività vietata era quella rivolta al
pubblico, mentre la COFIRI si rivolgeva ai propri soci e
lo scopo mutualistico di cui all’art. 2511 c.c. ben poteva
comprendere l’ottenimento di rendimenti maggiori di quelli
riconosciuti dalle comuni forme di investimento del
denaro; inoltre, prima del 1995, gli organi ispettivi non
avrebbero potuto rilevare l’esercizio di attività di
raccolta presso il pubblico né adottare provvedimenti nei
confronti della COFIR, poiché solo con delibera del CICR 3
marzo 1994 (in vigore dal 1995) furono stabiliti i criteri
e i limiti in base ai quali individuare quando, in
presenza di soci, ricorresse nondimeno l’esercizio di
un’attività di raccolta del risparmio ed erogazione di
finanziamenti verso il pubblico (ma l’art. 11, comma 3,
d.lgs. n. 385/1993 demandava alla delibera

CICR

stabilire limiti e criteri “in base ai quali

di
non

costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella

14

effettuata presso specifiche categorie individuate in
ragione di rapporti societari o di lavoro”).
4.1.1.- In tal modo non si contesta al giudice di merito
di non avere correttamente individuato la disciplina
normativa della questione controversa, bensì – in sostanza

– di avere erroneamente ravvisato, nella situazione di
fatto in concreto accertata, la ricorrenza degli elementi
costitutivi di una fattispecie normativamente regolata
(nella specie concernente la ricorrenza delle condizioni
giuridiche e fattuali per disporre le ispezioni, tra le
quali l’esercizio abusivo di un’attività rivolta al
pubblico), valutazione questa che non comporta un giudizio
di diritto, sindacabile per violazione di legge, ma un
giudizio di fatto, rilevante, se del caso, sotto il
profilo del vizio di motivazione, che però non sussiste.
4.1.2.- I giudici di merito, con motivazione logica e
adeguata, hanno dato conto che la COFIRI, sin dalla sua
costituzione, svolse l’attività bancaria (di raccolta del
risparmio tra il pubblico: d. lgs. n. 385/1993, art. 10) e
finanziaria (di concessione di finanziamenti sotto
qualsiasi forma: d. lgs. cit., artt. 106 e 107, in cui
sono state trasfuse alcune disposizioni della legge n.
197/1991) che non poteva svolgere, in ragione della
tipologia societaria e in mancanza di autorizzazione,
nonché in violazione dello statuto; inoltre, commise gravi

15

irregolarità

gestionali

(indicate

al

p.

3

dello

svolgimento del processo) che, da un lato, fanno escludere
l’esistenza di uno scopo mutualistico legittimamente
perseguito e, dall’altro, avrebbero dovuto indurre gli
organi ispettivi a compiere le necessarie ispezioni. Nella

sentenza impugnata i giudici hanno fornito logica
spiegazione del perché si trattava di un’attività di
raccolta del risparmio tra il pubblico, tenuto conto che
chiunque con facilità poteva divenire socio, e che tale
attività fosse vietata (se non autorizzata) era previsto
sin dalla legge n. 141/1938 (art. l), in tale prospettiva
appalesandosi quindi irrilevante il richiamo alla delibera
CICR del 1994.
4.2.- Si imputa inoltre ai giudici di merito di avere
sopravvalutato la rilevanza di talune riscontrate
irregolarità, le quali o non avrebbero potuto essere
riscontrate in sede ispettiva (i finanziamenti ai soci
amministratori) o non avrebbero potuto esserlo in tempo
utile (la mancata certificazione dei bilanci) o avrebbero
potuto essere sanate previa diffida o invito alla
regolarizzazione (ci si riferisce ai contratti “pronto
termine senza la disponibilità dei titoli”, alla
ricostituzione del capitale sociale e alla mancata
certificazione dei bilanci). Essi inoltre non avrebbero
considerato che la causa del dissesto era stata

16

l’acquisizione di partecipazioni in società in stato di
decozione come Mediolanum Golf e Velca Holding,
circostanza questa priva di collegamento causale con le
irregolarità che potevano emergere in sede ispettiva e
costituente un fatto imprevedibile idoneo ad interrompere

il nesso causale tra le mancate ispezioni e il default.
4.2.1.- Si prospetta in tal modo una valutazione delle
questioni di fatto o di diritto in senso difforme da
quella operata dai giudici di merito, senza l’indicazione
di affermazioni in diritto che si assumano in contrasto
con le norme regolatrici della fattispecie né lo
svolgimento di argomentate critiche alla completezza e
logicità della motivazione, ma proponendo un preteso
migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati
acquisiti che si risolve, però, in una inammissibile
istanza di revisione di quella valutazione. La critica
riguardante la possibilità che le ispezioni, se pure
fossero state compiute, non avrebbero potuto evitare il
dissesto provocato dall’acquisizione di partecipazioni in
società decotte, travisa la ratio decisoria della sentenza
impugnata, secondo la quale quelle ispezioni, se fatte
tempestivamente, avrebbero impedito in radice alla società
di operare (essendone prevista la cancellazione in caso di
gravi irregolarità: art. 11 del d. lgs. n. 1577/1947) e,
quindi, agli investitori di entrare in contatto con quella

17

società, la quale, pur apparendo come cooperativa, agiva
in via di fatto come una banca o un intermediario
finanziario, così evitando gli investimenti compiuti, ben
prima del dissesto (avvenuto, tra l’altro, secondo
controricorrenti, già nel 1993).

4.3.- I Ministeri assumono che l’obbligo di effettuare le
ispezioni ordinarie periodiche sarebbe posto a garanzia
che le cooperative perseguano lo scopo mutualistico e non
per impedire che esse incorrano in stato di dissesto, con
la conseguenza che, ai fini del giudizio di causalità di
cui agli artt. 40, comma 2, c.p. e 2043 c.c., il non
averle compiute non integrerebbe una violazione
dell’obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso
(ravvisato nel dissesto).
4.3.1.- In realtà, come si è detto, l’evento dannoso
rispetto al quale la corte romana ha correttamente
indagato, ai fini del giudizio sul nesso causale con la
condotta omissiva (le mancate ispezioni), è consistito non
già nel dissesto finale, ma negli improvvidi investimenti
effettuati in una società che non avrebbe dovuto operare
con quelle modalità. Tanto premesso, va anche
puntualizzato che, in materia di responsabilità
extracontrattuale, l’accertamento della sussistenza o meno
del nesso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso
comporta valutazioni di fatto che sono riservate al

18

giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in
sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed
immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 11453/2003),
qual è appunto quella espressa dalla corte territoriale.
La logicità del giudizio espresso dai giudici di merito,

in ordine alla rilevanza causale di quella condotta
omissiva, è confermata (e non contraddetta) dal rilievo
che quelle ispezioni sono finalizzate a realizzare lo
scopo mutualistico, il quale è certamente frustrato quando
una cooperativa non operi in conformità delle finalità
sociali e compia gravi irregolarità, a danno della
collettività e dei soci (è significativo che, a norma
dell’art. 9 del d.lgs. n. 1577/1947, “le ispezioni
ordinarie hanno lo scopo di accertare principalmente_
l’esatta osservanza delle norme legislative,
regolamentari, statutarie e mutualistiche_, il regolare
funzionamento contabile e amministrativo dell’ente;
l’esatta impostazione tecnica e il regolare svolgimento
delle attività specifiche promosse o assunte dall’ente; la
consistenza patrimoniale dell’ente e lo stato delle
attività e delle passività”).
5.- E’ infondato anche il secondo motivo nel quale i
Ministeri addebitano alla sentenza impugnata insufficienza
motivazionale e ulteriori violazioni di legge.

19

5.1. Premesso che, al riscontro di gravi irregolarità in
sede ispettiva deve fare seguito necessariamente una
diffida alla cooperativa perché le elimini entro un dato
termine (art. 11 d. lgs. n. 1577/1947), solo scaduto il
quale è possibile disporre la gestione commissariale, si

contesta il convincimento espresso dai giudici di merito
circa la inefficacia della diffida (al fine di eliminare
le irregolarità riscontrate) e, quindi, la irrilevanza
della sua mancanza. Secondo i Ministeri ricorrenti,
invece, la cooperativa se diffidata avrebbe potuto
provvedere alla sua regolarizzazione formale e, in
sostanza, proseguire nell’attività, così evitando quel
commissariamento che avrebbe dovuto essere disposto se vi
fossero state le ispezioni e che (secondo gli attori)
avrebbe consentito a sua volta di evitare il dissesto.
5.1.1.-

L’assunto,

prima

che

infondato,

è

poco

intellegibile. Infatti, se la diffida avrebbe potuto
essere efficace perché avrebbe consentito di regolarizzare
la società evitando il commissariamento, allora quella
diffida sarebbe stata utile al fine di evitare la perdita
degli investimenti da parte dei soci e il non averla fatta
resta

imputabile

all’Amministrazione,

in

quanto

responsabile delle omesse ispezioni che avevano impedito
la diffida. Se invece questa non avrebbe comunque impedito
alla società di continuare ad operare irregolarmente

20

(perché regolarizzata solo formalmente), allora si finisce
per dare ragione alla corte di appello quando ha osservato
che, data la gravità e molteplicità delle irregolarità, la
strada del commissariamento restava l’unica possibile per
evitare l’evento dannoso, ma non era stata percorsa per

mancanza delle ispezioni.
E comunque, poiché la diffida va adottata solo quando sia
“utile” a dar modo alla cooperativa di attuare le misure
idonee a sanare le irregolarità riscontrate (v. Cons.
Stato, sez. VI, n. 118 e 166/1981), la dedotta violazione
di legge non sussiste e il problema della rilevanza della
sua mancanza (ai fini dell’eventuale interruzione del
nesso di causalità tra le mancate ispezioni e l’evento
dannoso) si traduce in una critica della motivazione che
è, invece, immune da vizi logici.
La corte di merito ha ulteriormente osservato che la
diffida avrebbe comunque prodotto una vasta eco nella
città di Tarquinia dove aveva sede la società e messo in
allarme potenziali soci che avrebbero evitato (o
cessato) di versare somme alla società. E’ questa una
motivazione congrua e immune da vizi logici, non essendo
condivisibile la critica basata sul fatto che l’ispettore
“è tenuto al segreto d’ufficio” durante il compimento
delle indagini (art. 10 d. lgs. n. 1577/1947), non essendo
prevista la segretezza dei risultati di quelle indagini e,

21

in particolare,

dei provvedimenti sanzionatori che

avrebbero potuto essere emessi.
5.2.- Nel terzo motivo i Ministeri ritengono che i giudici
di merito abbiano errato nell’interpretazione delle norme

di legge sul nesso di causalità e di quelle che

disciplinano i poteri di controllo dei soci (artt. 2408 e
2422 c.c.), avendo escluso l’imputabilità di una parte del
danno agli stessi soci per non avere attivato gli
strumenti di controllo sulla gestione sociale (mediante
ispezione dei libri sociali, denuncia al collegio
sindacale, impugnazione delle delibere ecc.) che avrebbero
consentito di fare emergere le irregolarità ed evitare il
dissesto.
5.2.1.- Il motivo è infondato. I poteri di controllo sulla
,
gestione sociale costituiscono strumento di attuazione di
un diritto attribuito ai soci, ma ciò non toglie che, da
un lato, il controllo sulla “gestione sociale” è affidato
al collegio sindacale (v. Cass. pen. n. 7527/1997) e,
dall’altro, la vigilanza compete agli enti istituzionali,
non essendo attribuibile ai soci che ne sono vittime la
responsabilità per le conseguenze dannose causate da chi
quella vigilanza ha omesso di esercitare. La corte
territoriale, con motivazione congrua e incensurata, ha
anche ritenuto che la perdurante mancanza di rilievi da
parte degli organi pubblici di controllo nei confronti

22

della cooperativa ingenerava, agli occhi non professionali
di possibili soci aderenti, un alone di affidabilità e una
ragionevole presunzione di legittimità della sua attività,
con conseguente esclusione di un concorso dei soci nella
responsabilità dell’Amministrazione pubblica.

6.- Nel quarto motivo i Ministeri addebitano alla sentenza
impugnata l’omessa pronuncia sul motivo di appello con cui
l’Amministrazione

aveva

dedotto

che

la

domanda

risarcitoria era infondata per mancata prova
dell’esistenza del danno (si assume che non vi sarebbe
prova che dal fallimento gli attori non abbiano ricevuto
alcun rimborso).
6.1.- Il motivo è inammissibile: la corte di merito ha
deciso su quel motivo di appello rigettandolo e l’assunta
erroneità della decisione non è censurabile ex artt. 112 e
360 n. 4 c.p.c. Esso inoltre è privo di specificità,
poiché non specifica se e da quale atto processuale
risulti che rimborsi vi siano effettivamente stati e per
quali importi.
7.- Venendo all’esame del ricorso iscritto nel

rg. n.

30036/07, il Fallimento COFIRI contesta la ritenuta

inammissibilità del suo intervento in appello per mancanza
delle condizioni di cui all’art. 344 c.p.c., non essendo ad avviso della corte territoriale – l’accoglimento della
domanda

risarcitoria

dei

singoli

soci

danneggiati

23

incompatibile con quella azionata dal Fallimento per la
condanna dei Ministeri al risarcimento dei danni causati
dall’omessa vigilanza sulla cooperativa in misura pari
alla differenza tra l’attivo e il passivo fallimentare
(domanda quest’ultima proposta in altro giudizio definito

con sentenza del Tribunale di Roma n. 10422 del 2007,
confermata in appello).
Il Fallimento censura la sentenza impugnata che ha
dichiarato l’inammissibilità del suo intervento in
appello, mediante due motivi, deducendo di essere l’unico
soggetto legittimato ad agire per il risarcimento dei
danni conseguenti al dissesto della COFIR, ivi compresi
quelli subiti individualmente dai soci-creditori, la cui
azione sarebbe sostanzialmente “di massa”, sia per il
carattere indistinto dei possibili beneficiari del suo
esito, sia per la diretta ed esclusiva finalità di
reintegrare il patrimonio da attribuire ai creditori
attraverso il successivo riparto.
Nel primo motivo il Fallimento assume la violazione degli
artt. 105 e 267 c.p.c., in relazione agli artt. 81 c.p.c.,
51, 52, 64, 71, 92 e 146 legge fall., e insufficienza e
contraddittorietà della motivazione. Infondata sarebbe la
tesi della corte di merito circa la legittimazione
parallela dei singoli soci-creditori e della curatela,
poiché quest’ultima, rappresentando l’intera massa dei

24

creditori della società fallita, sarebbe l’unico soggetto
legittimato a tutelare l’interesse di tutti i creditori,
assicurando un’equa ripartizione dell’attivo. Pertanto, il
suo intervento in appello sarebbe “ammissibile e rilevante
,

ai fini del decidere, in quanto astrattamente idoneo a

provocare una pronuncia di difetto di legittimazione ad
agire degli attori, la quale potrebbe essere resa anche
d’ufficio in ogni stato e grado del processo”.
Il secondo motivo, nel quale si censura la sentenza
impugnata per violazione di legge e insufficienza e
contraddittorietà della motivazione, è corredato da un
quesito diretto a dichiarare che “nel caso in cui una
società cooperativa fallisca o sia in stato di dissesto a
causa dell’illegittima gestione dei propri amministratori,
e il danno conseguente sia ascrivibile sia a questi ultimi
sia al Ministero che aveva l’obbligo di vigilare sulla
società e nonostante ciò ha omesso ogni forma di controllo
contribuendo in tal modo a provocare il pregiudizio, la
legittimazione ad agire per il risarcimento del danno, sia
nei confronti degli amministratori sia verso il Ministero,
spetta in via esclusiva alla Curatela del fallimento”.
7.1.- Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente, sono
infondati.
Com’è noto, a norma dell’art. 344 c.p.c., nel giudizio di
appello è ammesso soltanto l’intervento del terzo che

25

sarebbe legittimato all’opposizione di cui all’art. 404
c.p.c., in quanto titolare di un diritto autonomo la cui
tutela sia incompatibile con la situazione giuridica
accertata o costituita dalla sentenza di primo grado e
che, pertanto, potrebbe subire un pregiudizio nel diritto

medesimo in conseguenza della sentenza di appello. Questa
Corte ha precisato che chi fa valere codesto diritto, in
tanto è legittimato all’opposizione, e quindi
all’intervento, in quanto il diritto sia effettivamente
incompatibile con quello vantato; ne consegue che la
legittimazione si identifica con il motivo su cui si fonda
la domanda d’intervento e ciò spiega perché legittimazione
e merito si confondono, in quanto la prima discende
dall’effettiva titolarità del diritto incompatibile
vantato ed il secondo concerne proprio l’incompatibilità
tra quel diritto e la situazione giuridica accertata o
costituita (Cass. n. 10590/2012, n. 1336/1962).
E’

alla luce di tale principio che va valutata la

correttezza giuridica della decisione impugnata che ha
escluso l’ammissibilità dell’intervento dei Ministeri in
appello.
Il Fallimento fonda il suo diritto all’intervento ex art.
344 c.p.c. sul presupposto che l’azione risarcitoria
esercitata dai singoli soci danneggiati (e accolta dai
giudici di merito) sia un’azione “di massa” esercitabile,

26

invece, solo dalla curatela. I Ministeri replicano che il
, diritto azionato dal Fallimento sarebbe identico a quello
azionato dai singoli soci danneggiati nel giudizio
principale, e quindi non autonomo, con la conseguenza che
il Fallimento non sarebbe legittimato a intervenire in

appello.
Si deve quindi indagare sulla natura dell’azione promossa
dai soci danneggiati, perché se fosse un’azione di massa,
in quanto tale esercitabile solo dalla curatela, sarebbe
confermato che il diritto posto da quest’ultima a sostegno
dell’intervento sarebbe incompatibile con quello azionato
nel giudizio principale dai singoli soci (è significativo
che il Fallimento, contestando la titolarità del credito
risarcitorio fatto valere dai soci, assuma di essere
l’unico soggetto legittimato a tutelarne i diritti
pregiudicati dal comportamento omissivo dei Ministeri). Al
– contrario, se quell’azione non fosse di massa, benché in
tal senso qualificata dal Fallimento, non vi sarebbe
quella effettiva (e non solo predicata) incompatibilità
che è necessaria ai fini dell’ammissibilità
dell’intervento in appello.
7.2.- L’indagine sulla natura dell’azione promossa dai
singoli soci danneggiati conferma che non si tratta di
un’azione di massa.

Il»

27

Questa Corte (sez. un. n. 7029/2006) ha precisato che, in
via di principio, non si può ritenere che nel sistema
fallimentare il curatore sia titolare di un potere di
rappresentanza di tutti i creditori, indistinto e
generalizzato. Il sistema piuttosto prevede che la

funzione del curatore sia diretta a conservare il
patrimonio del debitore, garanzia del diritto del
creditore, attraverso l’esercizio delle così dette azioni
di massa, dirette ad ottenere, nell’interesse del
creditore, la ricostituzione del patrimonio predetto, come
avviene per l’appunto attraverso l’esercizio delle azioni
revocatorie e surrogatorie, cui si possono aggiungere le
azioni sociali di responsabilità per i danni arrecati
indistintamente dall’amministratore alla società o ai
creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi
inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio
sociale (artt. 2393 e 2394 c.c., richiamati dall’art. 146
legge fall.). Tale principio peraltro non è assoluto, ma
va armonizzato con quello secondo il quale siffatta
legittimazione ad agire, sostitutiva dei singoli
creditori, non sussiste in presenza di azioni esercitabili
individualmente in quanto dirette ad ottenere un vantaggio
esclusivo e diretto del creditore nei confronti di
soggetti diversi dal fallito (come avviene, ad esempio,
mediante le azioni di cui agli artt. 2395 e 2449 c.c.).

28

L’azione di massa è caratterizzata dal carattere
indistinto quanto ai possibili beneficiari del suo esito
positivo e, nell’immediato, perviene all’effetto di
aumentare la massa attiva, quali che possano essere i
I

limiti quantitativi entro i quali i creditori se ne

avvantaggeranno, con ciò tendendo direttamente alla
reintegrazione del patrimonio del debitore, inteso come
sua garanzia generica, a prescindere da come esso sarà
suddiviso attraverso il riparto. Non appartiene a tale
novero di azioni ogni pretesa che richiede l’accertamento
della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad uno
o più creditori, né vi appartiene ogni azione che, per
quanto diffusa possa essere una specifica pretesa,
a

necessita pur sempre dell’esame di specifici rapporti e
V>

del loro svolgimento,

non essendo sufficiente ad

assicurarne l’eventuale beneficio la mera appartenenza ad
un ceto.
L’azione risarcitoria proposta dai soci investitori per i
danni da ciascuno di essi individualmente subiti a causa
dell’omessa vigilanza sulla cooperativa COFIRI da parte
dell’Amministrazione, non è quindi un’azione di massa,
anche perché il fallimento non ne costituisce il
presupposto indefettibile. E’ quindi conforme a diritto la
decisione impugnata nella parte in cui ha escluso una
.

incompatibilità tra l’azione del Fallimento a tutela della

:
l-

29

massa e quella dei soci, con conseguente inammissibilità
dell’intervento del Fallimento nel giudizio di appello.
Va però corretta, a norma dell’art. 384, comma 4, c.p.c.,
la parte della motivazione in diritto con cui la corte
territoriale, a conferma dell’inammissibilità del suo
ex

art. 344 c.p.c., ha ritenuto che il

intervento

Fallimento, avendo proposto, dinanzi al Tribunale di Roma,
un’azione

analoga

di

condanna

dei

Ministeri

al

risarcimento dei danni in misura pari al passivo
fallimentare, finirebbe per ottenere quanto richiesto
direttamente in appello, in violazione del principio del
doppio grado di giurisdizione. La giurisprudenza di questa
Corte è infatti nel diverso senso che l’intervento del
terzo in appello non trova ostacolo nell’eventualità che
il terzo stesso, a difesa del proprio diritto, abbia già
instaurato una separata causa, tenendosi conto che tale
intervento non mira (e non potrebbe mirare, in difetto di
deroga al principio del doppio grado di giurisdizione) a
conseguire una pronuncia nel rapporto fra l’interventore e
le altre parti, ma si esaurisce in un inserimento nel
dibattito fra gli originari contendenti, al fine di
orientarne la definizione in senso conciliabile con le
aspettative dell’istante (Cass. n. 6156/1994).
8.- In conclusione, i ricorsi del Fallimento COFIRI

Tarquinia e dei Ministeri del lavoro e dello Sviluppo

••

30

economico sono rigettati; quello degli eredi Bennati è
dichiarato inammissibile. Sussistono giusti motivi per
compensare le spese nei rapporti processuali tra il
Fallimento e i Ministeri, in considerazione della
complessità delle questioni giuridiche trattate, e tra gli

spese seguono la soccombenza e si liquidano in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi iscritti nel r.g. n.
8988/2007, n. 30036/07 e n. 955/2008,
– dichiara inammissibile il ricorso degli eredi Bennati;
– rigetta i ricorsi del Fallimento COFIRI Tarquinia e dei
Ministeri del lavoro e dello Sviluppo economico;
– condanna il Fallimento e i Ministeri alle spese del
giudizio

di

cassazione

liquidate,

in

favore

dei

controricorrenti Albano ed altri, in e 6.500,00, di cui E
6.300,00 per compensi e, in favore di Domenighini ed
altri, in E 4.900,00, di cui E 4.700,00 per compensi;
– compensa le spese nei rapporti tra gli eredi Bennati e
le altre parti e tra il Fallimento e i Ministeri.
Roma, 18 luglio 2013.

eredi Bennati e le altre parti; negli altri rapporti, le

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