Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23201 del 08/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 08/11/2011, (ud. 18/10/2011, dep. 08/11/2011), n.23201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.L. (OMISSIS), D.S.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA EMILIO

ALBERTARIO 21, presso lo studio dell’avvocato DAVOLI VINCENZO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato AIMAR GIOVANNI, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.A.C. (OMISSIS), M.M.E.

(OMISSIS), MI.MA. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 149 – int. 12,

presso lo studio dell’avvocato CICCONETTI CAROLA, rappresentati e

difesi dall’avvocato POMERO PIERLUIGI, giusta procura a margine

dell’atto di costituzione di nuovo difensore;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 551/2010 della CORTE D’APPELLO di TORINO del

19.3.2010, depositata il 20/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. UMBERTO

APICE.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il Consigliere relatore dott. G.A. Bursese con ordinanza del 11 maggio 2011 ha depositato la relazione ex art. 380 bis che qui si trascrive:

1. “I coniugi D.S. e B.L. con atto notif. in data 4.5.2006 citavano in giudizio avanti al Tribunale di Cuneo, Ma., A. e M.M. per sentirsi dichiarare che i convenuti non avevano titolo per esercitare una servitù di passaggio pedonale e carraia sui fondi di loro proprietà (siti in (OMISSIS)), nè per attingere acqua da una fontana esistente sugli stessi fondi. I convenuti, costituitisi in giudizio, contestavano la domanda attrice e, in via riconvenzionale chiedevano che si accertasse che i fondi in questione godevano invece di entrambe le predette servitù.

L’adito tribunale, con sentenza n. 129/08 accoglieva la domanda attrice ed inibiva ai convenuti di transitare sui fondi attore, nel tratto sterrato e di attingere acqua alla fontana.

In sede d’impugnazione, la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 551/10 depos. in data 20.4.2000, in parziale accoglimento dell’appello proposto dai M., rigettava la domanda (negatoria servitutis) di parte attrice ed accoglieva la riconvenzionale dei M. dichiarando l’intervenuta usucapione della servitù di passaggio pedonale e carraio nella strada sterrata sui fondi in questione.

I coniugi D.S. e B.L. ricorrono per la cassazione della predetta pronuncia sulla base di 2 motivi; resistono con controricorso gli intimati.

2. Con la prima censura gli esponenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1061,1140 ,1141 e 1158 c.c. Deducono che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che i M. avevano usucapito la servitù di passaggio per averla esercitata da oltre vent’anni senza contestazioni del proprietario, mentre invece era emerso che costui si era più volte opposto al loro passaggio, il cui esercizio dunque, da parte di M. doveva ritenersi non utile ai fini dell’usucapione per essere stato esercitato in modo clandestino, ovvero per meri atti di tolleranza.

3. Ciò posto si rileva come la corte distrettuale abbia ribadito che la semplice contestazione verbale del proprietario del fondo servente non è da sola idonea a fa ritenere che il passaggio difetti del requisito della “non violenza” che ne inficia l’esercizio utile all’usucapione. Invero i testi escussi hanno riferito che nonostante le rimostranze verbali poste in essere in ipotesi da certo B. G. (che però sembra che non protestasse con tutti quelli che passavano, come alcune persone ritenute amiche), i M. ed i loro danti causa erano sempre transitati, a piedi e con mezzi, sulla strada in questione per raggiungere il loro fabbricato, comportandosi come titolari di una servitù ovvero praticando il passaggio pedonale e carraio che, indubbiamente era manifestazione di un’attività corrispondente all’esercizio di un diritto reale (servitù) verso la quale il G. non aveva mai proposto al cuna azione giudiziaria.

“La corte di merito ha opportunamente richiamata la giurisprudenza di questa S.C. secondi cui in tema di possesso, l’animus possidendi che, ai sensi dall’art. 1141 cod. civ. si presume in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale, non è escluso dalla consapevolezza nel possessore di non avere alcun valido titolo che legittimi il potere, posto che l’animus possidendi consiste unicamente nell’intento di tenere la cosa come propria mediante l’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale, indipendentemente dall’effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui (Cass. Sez. 2, n. 8422 del 27/05/2003).

Con il 2 motivo del ricorso, l’esponente ritiene la sentenza contraddittoria laddove ha negato l’usucapione dei diritto di presa d’acqua dalla fontana sita sul fondo D. ed ha rigettato la relativa domanda perchè l’uso della fontana ed il prelievo dell’acqua è avvenuto per mera tolleranza del proprietario; ma anche il passaggio quando è stato esercitato è avvenuto per tolleranza e quindi in modo non utile per usucapire il possesso. Anche tale motivo non appare fondato essendo anzi irrilevante rispetto a thema decidendum, in ogni caso si tratta di aspetti del tutti differenti, atteso che la corte territoriale ha ritenuto che la derivazione dell’acqua mediante un semplice tubo di gomma, che veniva talvolta innestato alla bocca della fontana, non fosse idoneo a provare un uso all’acquisto del relativo dritto.

3) Si ritiene pertanto di avviare la causa a decisione in camera di consiglio per valutare l’infondatezza del ricorso.

Il COLLEGIO tutto ciò premesso; osserva:

la relazione sopra riportata, che non è stato oggetto di contestazione, può essere condivisa, di talchè il ricorso dev’essere dunque rigettato; le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2011

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