Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2320 del 31/01/2018


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2018, (ud. 28/04/2017, dep.31/01/2018),  n. 2320

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 26/8/2013 la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento del gravame interposto dall’avv. D.F.F. nonchè dal Codacons in nome e per conto e in favore – in qualità di procuratore – della sig. Z.S., e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Milano n. 3078/2012, ha accolto la domanda proposta nei confronti della società Voden Medical Instruments s.p.a. di risarcimento dei danni subiti per avere quest’ultima commercializzato – attraverso pratiche commerciali scorrette ed ingannevoli ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, comma 2, lett. b) e c), – il kit autodiagnostico “Ego Test Flu”, asseritamente idoneo a diagnosticare l’influenza suina con una possibilità di errore davvero trascurabile, rivelatosi viceversa privo delle qualità funzionali necessarie ad assolvere la funzione sua propria e pertanto a soddisfare i bisogni dell’acquirente. Con ordine di restituzione della somma di Euro 14,50.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società Voden Medical Instruments s.p.a. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il Codacons, nella qualità.

L’altro intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 complesso motivo la ricorrente denunzia “violazione o falsa applicazione” dell’art. 342 c.p.c., (come riformato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella L. n. 134 del 2012), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 condizionato motivo denunzia “violazione o falsa applicazione” dell’art. 140 bis cod. cons., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 condizionato motivo denunzia “violazione o falsa applicazione” degli artt. 3 e 140 bis cod. cons., art. 100 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4 condizionato motivo denunzia “violazione o falsa applicazione” degli artt. 2043 e 2909 c.c., art. 140 bis cod. cons., artt. 324 e 329 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso è inammissibile.

Va anzitutto osservato che il requisito – a pena di inammissibilità richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – della sommaria esposizione dei fatti di causa non risulta invero soddisfatto allorquando come nella specie vengano nel ricorso pedissequamente riprodotti – in tutto o in parte – atti e documenti del giudizio di merito (nel caso, la lettera d.d. 10/6/2010 della società Virtual Gate s.r.l., il documento Google maps foto riprodotto, la sentenza del giudice di prime cure, l'”atto di citazione in appello” del D.F., l'”atto di citazione in appello” del Codacons), in contrasto con lo scopo della disposizione di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura (v. Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), essendo necessario che vengano riportati nel ricorso gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità (cfr. Cass., 8/5/2012, n. 6909), con eliminazione del “troppo e del vano”, non potendo gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare negli atti del giudizio di merito ciò che possa servire al fine di utilizzarlo per pervenire alla decisione da adottare (v. Cass., 25/09/2012, n. 16254; Cass., 16/2/2012, n. 2223; Cass., 12/9/2011, n. 18646; Cass., 22/10/2010, n. 21779; Cass., 23/6/2010, n. 15180; Cass., 18/9/2009, n. 20093; Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), sicchè il ricorrente è al riguardo tenuto a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quali richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema (v. Cass., Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698), il che distingue il ricorso di legittimità dalle impugnazioni di merito (v. Cass., 23/6/2010, n. 15180).

Va al riguardo ulteriormente sottolineato che la soluzione di fare rinvio per la sommaria esposizione del fatto (anche) all’impugnata sentenza non esime in ogni caso il ricorrente dall’osservanza del requisito -richiesto a pena di inammissibilità- ex art. 366 c.p.c., coma 1, n. 6, nel caso non osservato laddove viene operato il riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., alla comparsa di costituzione e risposta depositata in data 19 maggio 2010″, alla “memoria autorizzata depositata in data 20 luglio 2010”, agli “articoli allegati (cfr. doc. 1)”, al “comunicato stampa di Codacons”, alla “comparsa di costituzione e risposta contenete appello incidentale”) limitandosi a meramente a richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede- riprodurli nel ricorso (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua la ricorrente non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Deve ulteriormente osservarsi, con particolare riferimento all’evocata distinzione tra azione di classe e azione collettiva, che non risulta dalla ricorrente idoneamente censurate le affermazioni contenute nell’impugnata sentenza secondo cui, pur non essendo stata la “posizione di consumatore in capo alla sig.ra Z…. ulteriormente discussa dal Collegio di primo grado a seguito di quanto già statuito nell’ordinanza di ammissibilità” in quanto ritenuta “assorbita”, dopo aver premesso di non potersi esimere “dal rilevare che l’ordinanza di ammissibilità prevista dall’art. 140-bis cod. cons. rappresenta una valutazione preliminare della controversia al fine di escludere tutte quelle azioni siano manifestamente infondate o in conflitto di interessi o che difettino dei presupposti minimi per proseguire il giudizio come l’adeguata cura degli interessi di una classe, nonchè l’omogeneità degli interessi tutelabili”, avendo “necessariamente un carattere preliminare rispetto al giudizio di merito”, nè potendo “in alcun modo acquistare efficacia di giudicato all’interno del giudizio stessa” in quanto “soggetta al regime ordinario delle ordinanze ex art. 279 c.p.c.”, la “sig.ra Z., in sede inammissibilità, è stata riconosciuta idonea a tutelare gli interessi della classe di consumatori potenziali acquirenti del prodotto distribuito da Voden”, atteso che “in questo tipo di azioni la valutazione attinente la singola condotta concreta nonchè le singole finalità di ogni appartenente alla classe devono necessariamente lasciare lo spazio ad una valutazione avente ad oggetto il diritto omogeneo fatto valere in giudizio”, la “finalità dello strumento processuale dell’azione di classe introdotta dal legislatore nel 2009” essendo “evidentemente quella di tutelare i consumatori di fronte a condotte illegittime che esplicano i propri effetti, in maniera analoga, su una pluralità di individui”; e che “nel caso di specie… il messaggio reclamizzato sulla confezione del prodotto, unito alle spiegazioni fornite con il foglietto illustrativo, era senza dubbio idoneo a ingenerare nel consumatore medio la convinzione di acquistare un prodotto sicuro e capace di diagnosticare la presenza dell’influenza c.d. suina con una probabilità di successo (sensitività e specificità) prossima al 100%”.

A fronte dei suindicati argomenti l’odierna ricorrente si limita invero a ribadire le censure in ordine all’omogeneità della condizione degli appartenenti alla classe dei consumatori già sottoposte al giudice del gravame e dal medesimo espressamente rigettate, formulando apodittiche, generiche e non ben comprensibili doglianze del tutto prescindenti dal suindicato accertamento di merito, che a tale stregua si risolvono in un’inammissibile contrapposizione della propria tesi agli assunti dell’impugnata decisione, senza che risultino sviluppati argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, nè operata alcuna distinzione tra questioni di fatto e di diritto, sicchè risulta “difficoltosa anche soltanto l’individuazione delle questioni poste” (v., in tali termini, Cass., 17/3/2017, n. 7009), e quanto dedotto si risolve nella proposizione in realtà di “non motivi” (cfr. Cass., 8/7/2016, n. 1274; Cass., 8/7/2014, n. 15475; Cass., 1/10/2012, n. 17318; Cass., 17/1/2012, n. 537).

Del pari dicasi con riferimento alle dedotte doglianze circa la mancanza di specificità dei motivi dell’appello di controparte.

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni della ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in favore dell’altro intimato, non avendo il medesimo svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile, il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della parte resistente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2018

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