Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2320 del 03/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2320 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: NAZZICONE LOREDANA

SENTENZA

sul ricorso 13662-2007 proposto da:
INTESA SANPAOLO S.P.A. – C.F. 00799960158 – (nuova
denominazione di BANCA INTESA), rappresentata da
ITALFONDIARIO S.P.A. (quale incorporante di

Data pubblicazione: 03/02/2014

CASTELLO GESTIONE CREDITI S.R.L.), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
2013
1905

domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA GRAZIOLI 15,
presso l’avvocato GARGANI BENEDETTO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RICCI

A

ANTONIO, giusta procura a margine del ricorso;

1

- ricorrentecontro

FALLIMENTO CASALTA S.R.L., in persona del Curatore
dott. MARCO PARPINEL, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA QUINTINO SELLA 23, presso l’avvocato

dall’avvocato FRANCESCON MARCO, giusta procura a
margine del controricorso;

avverso la sentenza n.

controricorrente

527/2006 della CORTE

D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/03/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 03/12/2013 dal Consigliere
Dott. LOREDANA NAZZICONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’accoglimento del primo motivo, assorbito il
motivo secondo, terzo e quarto.

CANCRINI VINCENZO, rappresentato e difeso

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Banco Ambrosiano Veneto (ora Intesa Sanpaolo) s.p.a.
ha proposto opposizione avverso il provvedimento del
giudice delegato al Fallimento Casalta s.r.1., con il quale
è stata respinta la domanda di ammissione al passivo del
credito di L. 711.731.211, fondato sulla fideiussione
prestata il 23 maggio 1996 dalla società fallita per
Pizzolato, imprenditore nel settore del commercio
all’ingrosso di bevande, in quanto estranea all’oggetto
sociale della garante.
Il Tribunale di Treviso ha respinto l’opposizione, con
sentenza confermata dalla Corte d’appello di Venezia, la
quale ha ritenuto che:
a) l’atto è estraneo all’oggetto sociale della Casalta
s.r.1., che contempla la

«gestione di pubblici esercizi,

bar, ristoranti, alberghi nonché l’acquisto, la vendita, la
permuta, la gestione di aziende commerciali al minuto e/o
all’ingrosso in genere e, inoltre, l’acquisto, la vendita e
la gestione di immobili in genere» ed anche «la prestazione
di garanzie reali o personali a favore di terzi per
obbligazioni sia proprie che altrui»:

e ciò quand’anche si

ritenesse il negozio conforme all’interesse della società,
perché il criterio all’uopo è quello della strumentalità
diretta

o

dell’atto

indiretta

rispetto

all’attività

economica concordata nell’atto costitutivo dai soci, quale
limite al potere rappresentativo degli amministratori;
oggetto del resto non modificato in forza della mera
approvazione unanime della deliberazione che autorizzava il
rilascio della garanzia;
b) non può ravvisarsi un gruppo di società, sia ove
ricondotto all’art.

2359 c.c.,

restando a tal fine

irrilevante la partecipazione al capitale sociale del socio
Pietro Pizzolato, sia ove basato sull’esistenza di un
interesse di natura più latamente «economico-sociale»,
essendo a tal fine insufficiente l’omogeneità dell’oggetto
R.G. 13662/2007

3

Il com. rejj est.

l’adempimento delle obbligazioni creditizie di Pietro

sociale con quello dell’impresa individuale del Pizzolato,
come pure la circostanza della conduzione dell’immobile
sociale da parte del socio;
c)

sussiste la mala fede del terzo

ex art. 2384

bis

c.c., in ragione dell’oggetto sociale statutario,
dell’evidente sperequazione tra l’importo massimo della
garanzia di L. 500.000.000 ed il capitale sociale di L.

concreto esercizio della sola attività di locazione degli
immobili di proprietà, onde la distonia della fideiussione
con l’ordinaria attività agli occhi di un terzo di elevata
professionalità, qual è la banca.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso Intesa
Sanpaolo s.p.a., rappresentata da Italfondiario s.p.a.,
sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso il fallimento; la ricorrente
ha depositato, altresì, una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, la ricorrente denunzia la
violazione e la falsa applicazione degli art. 2384, 2384
bis, 1388, 1394, 1395, 1398 e 1399 c.c., per avere la corte
d’appello reputato irrilevante la volontà di tutti i soci
alla prestazione della fideiussione da parte della società
partecipata, senza considerare che le norme in tema di
rappresentanza nei contratti, comunque applicabili,
prevedono che l’atto eccedente dai poteri può essere, oltre
che ratificato, anche preventivamente autorizzato dal
rappresentato, di modo che quest’ultimo – unico soggetto
legittimato a respingere gli effetti dell’atto o a farli
preventivamente propri – non può più censurare l’agire
dell’amministratore non conforme all’oggetto sociale. Ciò è
avvenuto nella specie, in cui è incontroversa la volontà
unanime dei soci (Pietro Pizzolato, socio al 98,91%, ed il
fratello Antonio, socio all’1,09% ed, altresì,
amministratore unico) alla prestazione della fideiussione.

R.G. 13662/2007

4

11 cons. r 1. Øt.

90.000.000, i modesti ricavi risultanti dai bilanci, il

Con il secondo motivo, prospetta la violazione o la
falsa applicazione degli art. 2384 e 2384

bis

c.c., per

avere la corte d’appello reputato irrilevante, al fine di
escludere l’estraneità dell’atto, la conclusione di un
contratto di locazione dell’immobile sociale in favore del
socio garantito, precisando che l’attività sociale si è
ridotta sin dal 1994 alla mera gestione del proprio
prestazione di garanzie è atto di per sé neutro rispetto al
giudizio di inerenza all’oggetto sociale, onde il criterio
discriminante è dato dalla natura delle obbligazioni
garantite e, in sostanza, dall’esistenza di rapporti
d’affari o di partecipazione, che possono essere espressivi
di un interesse economico connesso all’attività della
garante: pertanto, anche la prestazione di una fideiussione
da parte di società immobiliare, a favore del soggetto che
conduca in locazione l’immobile sociale, rivela un
interesse economico che l’atto è diretto a soddisfare,
favorendo la concessione di credito bancario alla locataria
ed il suo sviluppo economico, e, dunque, assicurando alla
prima un reddito futuro; come è confermato dal fatto che,
nel 1997, il Pizzolato ha corrisposto alla Casalta s.r.l.
la somma di L. 125.666.666 a titolo di canoni di locazione,
su quella complessiva L. 156.000.000 percepita a questo
titolo.
Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione
o la falsa applicazione degli art. 2384

bis e 2359 c.c.,

per avere la corte d’appello escluso la ravvisabilità di un
gruppo di imprese, laddove invece la partecipazione del
Pizzolato nella misura di oltre il 98% del capitale sociale
della Casalta s.r.l. è inquadrabile nella fattispecie del
controllo ex art. 2359 c.c., ben potendo anche la persona
fisica svolgere, per il tramite del controllo azionario,
una vera e propria funzione imprenditoriale di direzione e
coordinamento. Nella specie, l’attività della Casalta
s.r.l. è stata conformata alle esigenze delle attività
R.G. 13662/2007

5

il

com. M e

patrimonio immobiliare ed alla riscossione dei canoni. La

commerciali esercitate dal Pizzolato individualmente o a
mezzo di altra società del gruppo, la Pizzolato Bier
s.r.1.: si è trattato, quindi, di un’unica attività
d’impresa svolta da più soggetti, ricavando tutte e tre i
propri ricavi dal commercio di bevande, sebbene la Casalta
s.r.l. si limitasse a concedere in locazione i propri
immobili agli altri due; inserendosi, quindi, anche la
dell’attività di impresa. Né la prestazione della garanzia
ha comportato un sacrificio per la garante, trattandosi di
fideiussione per obbligazioni bancarie future, dunque con
un rischio doppiamente solo eventuale, dipendendo non solo
dall’inadempimento, ma anche dalle effettive esigenze
creditizie di costui, laddove nessuna insolvenza del
debitore principale al momento del rilascio della garanzia
era stata mai allegata e provata.
Con il quarto motivo, la ricorrente si duole del vizio
di motivazione con riguardo alla ritenuta situazione di
malafede della banca, dato che la gestione degli immobili
era compresa nell’oggetto statutario e che l’entità
dell’importo massimo della garanzia avrebbe dovuto essere
comparata non ai conferimenti componenti il capitale, ma al
patrimonio sociale; inoltre, la garanzia non comportava la
certezza dell’esborso, e, d’altro canto, la banca ben
avrebbe potuto ritenere l’atto inerente all’oggetto
sociale, proprio in ragione della volontà espressa da tutti
i soci.
2.1. – Il primo motivo pone la questione se, in
presenza di un atto estraneo all’oggetto sociale compiuto
dagli amministratori di una società a responsabilità
limitata, l’autorizzazione assembleare (nella specie,
assunta con il consenso di tutti i soci) valga ad escludere
che la società possa sottrarsi all’adempimento provando la
mala fede del terzo, ai sensi dell’art. 2384

bis

c.c.

(richiamato dall’art. 2487 c.c. previgente), in fattispecie
anteriore alla riforma del diritto societario.
R.G. 13662/2007

6

Il am

fideiussione nell’unitario quadro di esercizio

Tale questione è logicamente preliminare alle altre ed
idonea a definire la controversia, dal momento che,
nell’assunto della banca ricorrente, l’inerenza dell’atto
di concessione dell’ipoteca all’oggetto sociale della
Casalta s.r.l. – secondo i rimanenti motivi del ricorso, i
quali valorizzano ora l’oggetto strumentale, ora la
conclusione del contratto di locazione con la debitrice

perseguimento dell’oggetto sociale dell’unica impresa o
delle imprese coordinate – non rendeva necessaria alcuna
autorizzazione da parte dei soci: ma, in ogni caso, tale
autorizzazione avrebbe rimosso ogni ipotetico dubbio al
riguardo. Con la conseguenza che la tematica sulla
estraneità dell’atto resterebbe assorbita dalla
autorizzazione o deliberazione preventiva, che impegna la
società alla condotta ad essa conforme posta in essere
dall’organo di gestione, idonea o no che sia rispetto al
perseguimento dell’oggetto sociale; come pure assorbito
resterebbe il motivo svolto in ordine alla buona fede della
banca, comportando una risposta affermativa alla prima
questione enucleata il venir meno del presupposto per
l’applicazione dell’invocato art. 2384

bis

c.c.

Ritiene il Collegio che alla questione enunciata debba
darsi risposta affermativa.
2.2. – Giova premettere che, nel caso di specie, la
società è composta solo di due soci, di cui uno quasi
totalitario e l’altro, che ne era anche l’amministratore,
titolare di circa 1’1% del capitale sociale; essi sono
fratelli; il socio maggioritario svolgeva in proprio
attività di commercio di bevande, per la quale richiese un
finanziamento bancario garantito da fideiussione rilasciata
dalla società; questa, dal suo canto, era titolare degli
immobili “di famiglia”, locati fra l’altro al socio quasitotalitario, titolare dell’impresa operativa; nell’oggetto
sociale della partecipata sono contemplate l’attività di
ristorazione e simili, ma anche la compravendita e la
R.G. 13662/2007

7

11 ums. r•t

principale ed ora l’appartenenza al gruppo e dunque il

gestione di immobili, nonché l’oggetto strumentale di
concessione di garanzie anche personali per obbligazioni
altrui.
In tale situazione la società, rappresentata dal suo
amministratore e socio minoritario, ha rilasciato la
fideiussione bancaria a garanzia dell’adempimento delle
obbligazioni del fratello e socio maggioritario; grazie a
Giova ancora rilevare come non solo la Corte d’appello
abbia dato atto del consenso all’atto di tutti soci circostanza, quindi, infondatamente contestata dalla
resistente – ma tale consenso appare, nello specifico caso
all’esame, del tutto scontato, proprio per il pacifico
ruolo svolto dai soggetti coinvolti e dall’atteggiarsi
della concreta situazione fattuale appena descritta,
parimenti accertati dal giudice del merito.
Dopo il fallimento, sia della società e sia del socio
maggioritario, la curatela ha preteso di escludere il
credito della banca per la restituzione delle somme oggetto
dei finanziamenti, in quanto la fideiussione non rientra
nell’oggetto sociale, tesi seguita dalla corte del merito.
2.3. – L’art. 2384

bis

c.c., nel testo previgente,

costituisce una norma di equilibrio del conflitto tra
l’interesse della società a non essere vincolata dagli
impegni

ultra vires,

assunti dai propri amministratori, e

quello dei terzi al rispetto dei medesimi impegni.
Dall’integrazione degli elementi costitutivi della
fattispecie l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale e
la mala fede del terzo – deriva l’opponibilità al terzo di
quell’estraneità: in tal modo, essa perciò sancisce la
regola della piena efficacia dell’atto, mentre la tutela
dell’interesse della società all’inefficacia degli atti
ultra vires compiuti dal suo amministratore regredisce di
fronte dell’interesse del mercato alla certezza dei
traffici giuridici.

R.G. 13662/2007

8

11 cons.

tale fideiussione, la banca ha concesso il credito.

La norma deriva dall’art. 9 della Prima direttiva
68/151/CEE del Consiglio del 9 marzo 1968, attuata con
d.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127, la quale stabiliva che la
società è obbligata dai suoi organi anche per gli atti
eccedenti l’oggetto sociale, facoltizzando peraltro gli
Stati membri a prevedere che l’ente potesse non essere
obbligato solo dimostrando che il terzo fosse a conoscenza

esercitata dal nostro legislatore, ponendo così soltanto
tale limite al principio dell’efficacia dell’atto pur
estraneo.
Nel bilanciamento fra l’interesse della società a
svincolarsi dall’impegno assunto e quello dei terzi a
mantenerlo fermo, l’art. 2384

bis ha dunque già operato la

scelta nel senso di far prevalere il secondo, salvo il
limite della particolare situazione soggettiva (la mala
fede, nel sistema ante riforma) che, allora, non giustifica
più la tutela del suo affidamento.
Si trae da ciò il netto

favor verso l’efficacia e la

sicurezza dei traffici commerciali, rispetto alla facoltà
per la società di sottrarsi all’adempimento delle
obbligazioni assunte dal suo rappresentante legale
allegando l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale. Tale
ratio non può che guidare, dunque, l’interpretazione della
norma nei casi concreti.
La riforma del 2003 ha, com’è noto, in vario senso
inciso su questa disciplina, anche introducendo differenze
tra il regime delle s.p.a. e quello delle s.r.l. (art. 2380
bis,

che, con formula apparentemente più restrittiva, non

menziona più il compimento degli atti
nell’oggetto sociale, ma quelli

«necessari»

«rientranti»
per il suo

conseguimento; 2364, primo comma, n. 5; 2479, primo comma,
e secondo comma, n. 5, c.c.). Connesso a tale
enfatizzazione dell’autonomia dell’organo amministrativo è
l’ancor più netto

favor

per l’inopponibilità

dell’estraneità dell’atto al terzo, se non quando abbia
R.G. 13662/2007

9

lI com. r

t

dell’estraneità (o potesse conoscerla). L’opzione è stata

«intenzionalmente»

agito a danno della società (art. 2384

c.c.).
2.4. – Orbene, è all’interno del precedente sistema che
occorre valutare gli effetti che sull’opponibilità
dell’atto produce la deliberazione assembleare di
autorizzazione (o di ratifica) rivolta agli amministratori
a compiere un singolo atto estraneo all’oggetto sociale.
un singolo atto non rientrante propriamente nell’oggetto
statutario, situazione pur nota al terzo (art. 2384

bis

c.c.), l’autorizzazione assembleare è stata ritenuta in
passato da questa Corte escluderne l’inopponibilità alla
società.
Si è, invero, in tale regime più volte affermato che,
nelle società di capitali, in presenza di un atto eccedente
dai limiti dell’oggetto sociale, è rimesso esclusivamente
alla società di respingere gli effetti dell’atto o,
correlativamente, di assumere

ex tunc

quegli effetti

attraverso la ratifica, ovvero di farli preventivamente
propri attraverso una deliberazione autorizzativa, capace
di rimuovere i limiti del potere rappresentativo
dell’amministratore: ne deriva che ogni questione relativa
all’estraneità dell’atto diviene irrilevante, posto che
quella delibera impegna la società medesima alla condotta
di essa esecutiva e conforme posta in essere dall’organo di
gestione.
Il principio ora richiamato si è fatto discendere dal
rilievo che, se l’inefficacia dell’atto estraneo
all’oggetto sociale è prevista dal legislatore quale
conseguenza del regime della rappresentanza, qualora il
rappresentato – previamente o successivamente con la
ratifica – faccia proprio l’atto del rappresentante, non vi
è lesione dell’interesse tutelato e si pone il problema
dell’inefficacia dell’atto nei confronti del terzo; né il
rapporto organico tra la società di capitali e i suoi

R.G. 13662/2007

10

Il cons. re

Nel caso ora all’esame, ove si tratta del compimento di

amministratori trova ragioni di incompatibilità con la
disciplina sul potere di rappresentanza (art. 2384 c.c.).
In tal senso è la giurisprudenza di legittimità
maggioritaria (Cass., sez. I, 15 aprile 2008, n. 9905; sez.
I, 11 dicembre 2006, n. 26325, che lo nega per
l’autorizzazione del c.d.a.; sez. I, 2 settembre 2004, n.
17678, sulla delibera autorizzativa assunta dall’assemblea

2010, n. 5152, sulla validità di clausola statutaria che,
con riferimento all’eventuale compimento di atti estranei
all’oggetto sociale, circoscriva i poteri dell’organo
amministrativo agli atti di ordinaria amministrazione,
sulla premessa che

l’atto

estraneo

non è nullo, ma

inefficace).
Si rinviene, al riguardo, un unico precedente difforme
(Cass., sez. III, 4 ottobre 2010, n. 20597), il quale ha
affermato che l’art. 2384

bis c.c.

è «norma imperativa e

posta in relazione al limite dello interesse pubblico e
sociale delle imprese»,

onde l’atto «ultra vires

compiuto

dallo amministratore, con il concerto di soci avventurosi,
non viola semplicemente il limite convenzionale dei poteri
di rappresentanza, ma viola disposizioni di leggi
imperative, anche di rango costituzionale, derivandone in
linea di principio, la nullità dello atto stesso e la
conseguente impossibilità di una sua autorizzazione
preventiva o ratifica».

Come emerge dalla vicenda allora

all’esame, si trattava peraltro di una situazione
particolare, in cui già al momento del rilascio della
fideiussione la società debitrice principale era in
condizioni di insolvenza.
Nell’ambito, inoltre, degli atti in conflitto di
interessi dell’amministratore con la società

ex art. 1394

c.c. – fattispecie affine a quella degli atti estranei, che
sono sovente in conflitto, sebbene i concetti di interesse
ed oggetto sociale siano ovviamente non coincidenti
(«l’interesse consiste nell’utilità che la società ricav
R.G. 13662/2007

11

Il cons. r

totalitaria all’unanimità; v., inoltre, sez. I, 3 marzo

da un determinato atto, mentre l’oggetto sociale è
l’attività economica statutariamente definita»,

sicché può

ricorrere la contrarietà all’uno e non all’altro: Cass.,
sez. I, 12 dicembre 2007, n. 26011) – parimenti la Corte ha
affermato che, allorché la garanzia sia concessa da società
di

capitali

a

«ristrettissima

base

personale»

ad

imprenditore socio della stessa e legato da vincoli
rapporto di

interessi del

incompatibilità tra gli

rappresentato e quelli del rappresentante (Cass., sez.
8 novembre 2007, n. 23300, in tema di fideiussione; sez. I,
20 febbraio 2004, n. 3385, sulla concessione di ipoteca;
sez. I, 26 agosto 1998, n. 8472, in tema di fideiussione
concessa da società personale; v. pure sez. I, 17 ottobre
2008, n. 25361, in tema di fideiussione ed in presenza di
società amministrate dallo stesso soggetto).
Il Collegio intende dare continuità all’orientamento
prevalente in tema di deliberazione autorizzativa dell’atto
estraneo all’oggetto sociale nel regime

ante riforma, con

alcune precisazioni.
2.5. – Occorre, al riguardo, distinguere il profilo
interno organizzativo della vita sociale e quello esterno
dell’attività sul mercato dell’ente collettivo.
Nella prima prospettiva, l’assemblea è indubbiamente
vincolata al rispetto dell’oggetto statutario, quale
programma imprenditoriale prescelto al momento della
costituzione della società o successivamente modificato, in
entrambi i casi con la necessità degli adempimenti
pubblicitari (ad effetti costitutivi, per il nuovo art.
2436 c.c.) nei confronti dei terzi mediante l’iscrizione
nel registro delle imprese.
Pertanto, la deliberazione assembleare che autorizzi il
compimento di un atto estraneo all’oggetto sociale può
essere impugnata dai soci assenti o dissenzienti e da ogni
altro legittimato attivo, quali gli amministratori ed il
collegio sindacale (art. 2377, secondo comma, c.c.).
R.G. 13662/2007

12

11 cons. r

familiari con il legale rappresentante, non sussiste il

Peraltro,

ai

fini

di

valutare

se

procedere

all’impugnazione, i legittimati attivi dovranno valutare
altresì se quell’estraneità sussista in concreto, o
viceversa debba essere esclusa, in ragione vuoi di un
legame di strumentalità comunque ravvisabile con l’attività
svolta dalla società, vuoi per la partecipazione ad un
gruppo d’imprese.
intra vires

è posto ad evitare che la società assuma un

maggiore rischio imprenditoriale in conseguenza del
compimento di atti estranei al suo programma, come
enunciato nell’oggetto statutario, che ne descrive
l’attività economica imprenditoriale. Con riguardo, in
particolare, all’estraneità all’oggetto della concessione
di garanzie per debiti altrui, divengono così rilevanti i
rapporti concreti esistenti tra società garante e debitore
garantito, i quali sono in grado di illuminare l’oggettiva
funzione economica della garanzia prestata, ossia la sua
causa concreta. L’indicazione, nella clausola statutaria
sull’oggetto sociale, della concessione di determinati tipi
di garanzie (ove beninteso non costituisca l’oggetto
principale, peraltro riservato agli intermediari
debitamente autorizzati) non è, in verità, neppure
necessaria, dal momento che non rileva il profilo formale
del tipo contrattuale ivi enunciato, ma quello sostanziale,
in dottrina ricondotto al «principio di normalità»
dell’operazione rispetto al tipo di attività svolta; mentre
l’elencazione statutaria di atti tipici, più o meno
genericamente definiti, non può sostituire tale criterio
concreto, giacché, da un lato, essa non potrebbe mai essere
completa, data la serie infinita di atti di vario tipo che
possono essere funzionali all’esercizio di una determinata
attività e, dall’altro, anche l’espressa previsione
statutaria di un atto tipico, in particolare di garanzia,
non assicura che lo stesso sia, in concreto, rivolto allo
svolgimento di quell’attività (in tal senso, Cass., se
R.G. 13662/2007

13

11 cons. r

t

Sotto il primo profilo, il limite agli atti gestori

I, 4 agosto 2006, n. 17696; sez. I, 21 novembre 2002, n.
16416).
Sotto il secondo profilo, ove la società sia altresì
inserita in un gruppo d’imprese, anche con riguardo
all’inerenza all’oggetto sociale esso può assumere rilievo,
dovendo in tal caso l’estraneità dell’atto essere
ragguagliata non all’oggetto statutario della società
gruppo ed ai vantaggi che, anche indirettamente, ne
scaturiscano per la società agente (cfr., in tema, fra le
altre Cass., sez. I, 14 ottobre 2010, n. 21250; sez. I, 4
agosto 2006, n. 17696; sez. I, 24 febbraio 2004, n. 3615;
sez. I, 15 giugno 2000, n. 8159), dovendosi sempre operare
tale valutazione alla stregua della causa in concreto della
complessiva operazione gestoria o nell’ambito dell’intera
gestione imprenditoriale e della realizzazione delle
strategie economiche del gruppo.
In definitiva, la deliberazione assembleare che abbia
autorizzato un atto estraneo all’oggetto sociale è
annullabile per violazione dell’atto costitutivo e come
tale potrà essere impugnata; ma, ove non lo sia, scaduti i
termini per impugnare si opera il cd. consolidamento dei
suoi effetti (con conseguenze già sull’adempimento degli
amministratori ai propri doveri con diligenza, ai fini
degli artt. 2383, 2392, 2409 c.c.).
2.6. – Dall’altro lato, quanto al profilo dei rapporti
esterni, l’orientamento di questa Corte, sopra ricordato e
che si intende confermare, comporta che, se la società
agisce a mezzo dei suoi amministratori, l’integrazione del
potere statutario di rappresentanza delimitato
dall’oggetto sociale – può pervenire dall’assemblea dei
soci.
Sebbene questa non si identifichi con la società,
tuttavia resta titolare del potere di assumere le decisioni
concernenti la vita sociale, eventualmente sottoposte ad
essa dagli amministratori (art. 2364, primo comma, n. 4,
R.G. 13662/2007

14

11 cons. ye1.st .

monade, ma al programma imprenditoriale complessivo del

c.c., nel testo all’epoca vigente), perché l’assemblea è
l’organo capace di esprimere le scelte dell’impresa
sociale, onde la sua determinazione non può restare
irrilevante ai fini del valore verso i terzi dell’atto poi
compiuto dagli amministratori che quel volere eseguano.
Ancora più arduo risulta distinguere – a danno della
sicurezza dei traffici – il volere della società da quello
assunta all’unanimità dei consensi di tutti i soci.
Né, a tal fine, è necessaria una deliberazione
modificativa dell’oggetto sociale previsto nell’atto
costitutivo, in quanto è sufficiente l’autorizzazione senza
riserve dell’assemblea dei soci (e tanto più dell’assemblea
totalitaria all’unanimità o di ciascuno dei soci anche al
di fuori di una riunione assembleare).
Si aggiunga che il terzo, il quale contratti con la
società dopo l’autorizzazione assembleare, appare – seppur
a conoscenza dell’estraneità dell’atto – legittimato a
riporre un ragionevole affidamento circa la validità ed
efficacia dello stesso; e che il principio dell’esecuzione
di buona fede nei rapporti negoziali, di cui la regola del
divieto di

venire contra factum proprium

costituisce una

specifica espressione, riguarda anche l’agire della società
per il tramite dei suoi organi sul mercato.
Occorre concludere, pertanto, enunciando il principio
di diritto secondo cui, nel regime anteriore alla riforma
di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ancorché l’oggetto
sociale costituisca l’ambito dell’attività programmata dai
soci nell’intrapresa comune, l’organo amministrativo può
efficacemente porre in essere un atto che non risulti
direttamente volto a perseguire quel programma, purché
sussista una deliberazione espressa in tal senso
dell’assemblea (sebbene non assunta necessariamente con
l’unanimità dei consensi di tutti i soci, ma con le
maggioranze dell’assemblea ordinaria, e salvo il diritto
dei soci assenti o dissenzienti e degli altri legittimati
R.G. 13662/2007

15

11 ” €I.;eg.
I

dei soci, quando la deliberazione (o la decisione) sia

a

attivi ad impugnarla), onde l’atto in questione impegna la
società e resta ad essa opponibile.
2.7. – Alla luce di tale principio, il primo motivo va
accolto.
Ove pure infatti, nel caso all’esame, non sussistesse
l’inerenza dell’atto di concessione della garanzia
all’oggetto sociale della Casalta s.r.1., l’autorizzazione
opponibile alla società.
3. – L’esame dei rimanenti motivi resta assorbito.
4.

– In conclusione, il ricorso va accolto e la

sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di
appello di Venezia, la quale, in diversa composizione,
rivaluterà il materiale istruttorio e giungerà ad una nuova
decisione, tenendo conto delle ragioni che hanno condotto
alla cassazione della sentenza impugnata, in relazione al
motivo accolto ed al principio di diritto affermato al §
2.6; al giudice di rinvio spetta la liquidazione

delle

spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso,
assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia
alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione,
cui demanda la liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3
dicembre 2013.

assembleare concessa ha reso quell’atto senz’altro

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