Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23197 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/10/2020, (ud. 02/10/2019, dep. 23/10/2020), n.23197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4253/2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

cui è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12

– ricorrente –

contro

D.M.G., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avv. Giovanbattista Iazeolla giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10081/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA CAMPANIA, depositata il 14 novembre 2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2

ottobre 2019 dal Consiglio Dott. MUCCI ROBERTO.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

1. la CTR della Campania ha accolto il gravame interposto da D.M.G. – titolare di impresa individuale con domicilio fiscale in Marano di Napoli, via Antica Consolare Campana, esercente l’attività di commercio e noleggio di autoveicoli – avverso la sentenza della CTP di Napoli di rigetto del ricorso del predetto contro il diniego di rimborso dell’IVA riferita al terzo trimestre 2012 per Euro 130.200,00 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 30, comma 3, lett. c), richiesto relativamente all’acquisto di un immobile per l’esercizio dell’attività imprenditoriale sito in (OMISSIS) (zona P.I.P.); il diniego era basato sull’accertato trasferimento dell’impresa da Marano alla sede di A.D.A. s.r.l. in Villaricca e sulla cessione in comodato d’uso gratuito in forma verbale dell’immobile predetto in Marano alla medesima società A.D.A., partecipata e amministrata dal D.M., con conseguente non inerenza dell’immobile all’attività d’impresa;

2. la CTR ha ritenuto che (p. 4 della sentenza): a) il contribuente aveva provato “i requisiti dell’inerenza e della strumentalità del bene immobile acquistato rispetto alla specifica attività imprenditoriale esercitata, alla luce dell’affiliazione alla rete in franchising della ditta ADA-Italia, il cui logo compare all’ingresso dell’immobile in questione, frattanto divenuto sede della ditta di cui il contribuente è titolare (…)”; b) “(…) la qualificazione del negozio giuridico in questione in termini di contratto di compravendita con patto di riservato dominio non esclude, a priori, l’operatività della disciplina relativa al rimborso IVA”, alla luce di Sez. 5, 29 maggio 2013, n. 13315;

3. avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidato a tre motivi, cui replica il D.M. con controricorso.

Diritto

RITENUTO

che:

4. sui motivi di ricorso,

4.1. con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia nullità della sentenza per motivazione meramente apparente: l’affermazione della CTR riportata retro, punto 2 sub a) (sull’affiliazione in franchising ad ADA-Italia) non rileverebbe ai fini della questione decisiva, per il chiesto rimborso dell’eccedenza dell’IVA detraibile del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 30, comma 3, lett. c), relativa all’individuazione del soggetto effettivo utilizzatore dell’immobile;

4.2. con il secondo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo costituito dalla mancata utilizzazione dell’immobile sito in via Migliaccio per l’esercizio dell’attività d’impresa del D.M., immobile dato in comodato d’uso in forma verbale alla società A.D.A. s.r.l.: la CTR avrebbe omesso di considerare che solo nel 2014 l’impresa D.M. si era trasferita presso l’indirizzo di via Migliaccio sicchè nell’anno d’imposta oggetto della richiesta di rimborso (2012) l’immobile non era utilizzato per l’attività d’impresa;

4.3. con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. c), delle norme in tema di inerenza dei beni strumentali e dell’art. 2697 c.c.: secondo l’amministrazione ricorrente, l’affermazione della CTR riportata retro, punto 2 sub b) poggerebbe su un precedente di legittimità inconferente poichè “l’immobile, benchè acquistato con riserva di proprietà, non entrò a far parte dell’azienda dell’impresa D.M., bensì in quella della ADA SRL in virtù del contratto di comodato (il cui legale era proprio il sig. D.M. (…)); quindi il principio (espresso appunto da Sez. 5, n. 13315/2013) non poteva applicarsi alla ditta D.M. che non aveva acquistato in proprietà l’immobile (stante la clausola di riserva), nè lo utilizzava nel 2012 per l’esercizio dell’impresa di commercio di autoveicoli” (p. 14 del controricorso), di talchè la CTR avrebbe in definitiva fatto malgoverno del principio di inerenza;

5. giova premettere che dal controricorso si evince, in primo luogo, che il D.M., dopo aver acquistato l’immobile di (OMISSIS) nel luglio 2012, ha provveduto a variare la sede dell’impresa con comunicazione al Comune di Marano di Napoli del 20 maggio 2014 (pp. 1-2); in secondo luogo, che non è controversa la circostanza dell’acquisto dell’immobile predetto con patto di riservato dominio; in terzo luogo, che la “confusione” avutasi in sede di accertamento sulla proprietà dell’immobile sarebbe stata causata dal delegato del D.M. il quale “avrebbe lasciato intendere che l’immobile oggetto dell’acquisto sarebbe stato dato in comodato d’uso gratuito in forma verbale alla società A.D.A. srl, (…), il cui rappresentante legale sarebbe risultato essere proprio il Sig. D.M.G.. Tali affermazioni sono del tutto errate e infondate, probabilmente causate da una confusione relativa all’individuazione della ditta ADA-Italia (…) di cui, per altro, il Sig. D.M. è solo affiliato e non rappresentante, confusa con l’altra ditta, la A.D.A. srl, sconosciuta al controricorrente” (pp. 4-5 del controricorso), sicchè mentre il contratto verbale di comodato d’uso alla società A.D.A. non potrebbe certo valere a sostenere le ragioni del D.M., rileverebbe invece il contratto di franchising con ADA-Italia a dimostrazione dell’intensificazione e dell’espansione dell’attività del D.M., con conseguente necessità dell’acquisto del nuovo immobile presso cui trasferire la sede dell’impresa (p. 5);

6. tanto richiamato, dei tre motivi di ricorso – invero connessi poichè tutti convergenti sul profilo della disponibilità del bene da parte del contribuente – il terzo dev’essere esaminato con priorità ed è fondato;

6.1. come poc’anzi visto sub 5, il D.M. pretenderebbe di infirmare le dichiarazioni rese agli accertatori dal suo delegato (fatto pacifico; si tratta del commercialista e consulente fiscale del contribuente) al momento dell’accesso in modo non consentito, opponendo mere asserzioni rimaste indimostrate; è vero invece – come esattamente argomentato dall’amministrazione ricorrente – che non risulta l’effettivo utilizzo dell’immobile nell’anno d’imposta (2012) cui la richiesta di rimborso è correlata, e ciò in considerazione sia del comodato d’uso a terzi, sia del trasferimento della sede dell’impresa del D.M. avvenuto ben due anni dopo;

6.2. pertanto, il citato precedente di legittimità – pur concernente una fattispecie di vendita con patto di riservato dominio, per la quale si afferma l’inapplicabilità, ai fini fiscali, della disciplina generale di diritto civile in tema di trasferimento della proprietà – non può essere invocato nel caso in esame, non sovvenendo l’elemento dell’effettiva consegna del bene, espressamente richiamato da quel precedente, e del conseguente utilizzo dello stesso per l’attività d’impresa, sicchè non sussistono le condizioni per il chiesto rimborso;

7. dall’accoglimento del mezzo testè esaminato deriva l’assorbimento dei primi due.

8. In conclusione, il ricorso deve essere accolto nei sensi suesposti e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto dell’originaria domanda del contribuente; le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti il primo e il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda condannando Giuseppe D.M. alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

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