Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23193 del 04/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 04/10/2017, (ud. 13/07/2017, dep.04/10/2017),  n. 23193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria G. C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

Avv. P.R. rapp. e dif. dagli avv.ti Mariano Orenga e Osvaldo

Verrecchia, elett. dom. presso lo studio dell’avv. Osvaldo

Verrecchia in Roma, via Crescenzio n. 107, come da procura in calce

all’atto;

– ricorrente –

contro

Dott. D.R.F., curatore del Fallimento n. 236/03 della

(OMISSIS) s.r.l.;

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Lagonegro 7.6.2016, R.G.

2361/2003;

vista la memoria 12.7.2017 del ricorrente;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 13 luglio 2017 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta Decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. l’avvocato P.R. impugna il Decreto Trib. Lagonegro 7 giugno 2016, R.G. 236-1/2003, con cui è stato rigettato il reclamo proposto dal ricorrente avverso il decreto di liquidazione delle competenze legali e delle spese reso dal giudice delegato;

2. il tribunale ha constatato, in via preliminare, che il ricorso introduttivo è stato notificato esclusivamente al curatore fallimentare e non ai controinteressati; nonostante ciò ha ritenuto che l’omessa notificazione non impone la fissazione di una nuova udienza, poichè, in virtù del principio della ragionevole durata del processo, il giudice non deve tenere comportamenti che siano di ostacolo alla sollecita definizione del giudizio;

3. il tribunale ha dato atto, nel merito, che l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere proseguita dall’istituto di credito anche dopo la dichiarazione di fallimento e il curatore può subentrare nella procedura esecutiva al fine di vedersi attribuita la somma che residua in seguito al soddisfacimento del creditore procedente fondiario; nel caso in esame il ricorrente è stato nominato al fine di subentrare nella procedura esecutiva e il tribunale ha ritenuto che, a seguito delle attività svolte da detto legale e dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014 con riferimento alle procedure esecutive immobiliari, il compenso da liquidare spetti in Euro 645, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nel 15%, C.P.A. e I.V.A., trattandosi di mero intervento;

4. il decreto, dando però atto che non poteva diminuire il compenso, con liquidazione in pejus rispetto ai 900 Euro fissati dal giudice delegato, è pervenuto a tale determinazione (astratta) per l’impossibilità di fissare altrimenti il valore della controversia e tenuto conto della sola voce corrispondente alla fase istruttoria e/o di trattazione;

5. con il ricorso si deducono tre motivi e, in particolare:

– omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, poichè il tribunale, dopo aver constatato l’omessa notificazione del ricorso e del pedissequo decreto ai controinteressati, ha rigettato il reclamo invece di dichiararlo inammissibile;

– violazione di legge e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 5 e dell’art. 10 c.p.c., perchè il tribunale ha ritenuto che il credito vantato dal fallimento non coincide con il valore di stima del bene;

violazione di legge e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, in quanto non sono stati rispettati i minimi tabellari.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. la memoria 12.7.2017 del ricorrente è inammissibile perchè tardiva rispetto all’udienza odierna;

2. il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di interesse; come ha avuto modo di statuire la giurisprudenza di legittimità, “è inammissibile, per difetto d’interesse, il motivo di impugnazione con cui si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, priva di qualsivoglia influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta, quindi, all’emanazione di una pronuncia senza rilievo pratico” (Cass. 20689/2016);

3. il D.M. n. 55 del 2014, art. 5, comma 2, stabilisce che “nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si ha riguardo al valore corrispondente all’entità della domanda. Si ha riguardo al valore effettivo della controversia quando risulta manifestamente diverso da quello presunto anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti”;

4. il secondo motivo di ricorso è dunque inammissibile; lo stesso ricorrente, in premessa, ammette che già il giudice delegato aveva negato l’applicabilità piena del parametro di cui al D.M. n. 55 del 2014, per la “semplicità dell’attività svolta” e la “mancata vendita del compendio pignorato”, oltre che per la “rinuncia all’intervento”, così liquidando 900 Euro, oltre agli accessori;

5. il tribunale a sua volta, applicando esplicitamente detto art. 5, comma 2, ha rilevato l’impossibilità di determinare il valore della controversia in ragione all’omessa indicazione dell’entità della domanda, non potendo il valore coincidere con quello di stima del bene, bensì con il credito della procedura, trattandosi di atto di mero intervento nella procedura esecutiva ed in effetti, apprezzando con valutazione in fatto l’attività svolta, la somma dichiarata attribuibile risulta corrispondente allo scaglione di cui alla Tariffa n. 18 allegata al D.M. n. 55 del 2014;

6. il terzo motivo di ricorso è, per la sua genericità, inammissibile, posto che infatti 1 vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione” (Cass. 24298/2016);

7. il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2017

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