Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23192 del 17/09/2019
Cassazione civile sez. VI, 17/09/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 17/09/2019), n.23192
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2262-2018 proposto da:
B.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA
DIONIGI 29, presso lo studio dell’avvocato MARINA MILLI, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati BARBARA BENAZZI,
ALESSANDRO DONDERO;
– ricorrente –
contro
FONTE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA DELLA LIBERTA’ 13, presso lo
studio dell’avvocato GIUSEPPE VIOLA, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato GIOVANNA CRESPI MARIOTTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 690/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,
depositata il 09/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 04/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. VINCENTI
ENZO.
Fatto
RITENUTO
che, con ricorso affidato ad un unico motivo, B.R. ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Genova, resa pubblica in data 9 giugno 2017, che ne respingeva il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Città che, a sua volta, escludendo l’applicabilità al contratto de quo della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, e del D.Lgs. n. 23 del 2011, dichiarava la cessazione del contratto di locazione ad uso abitativo con la locatrice Fonte s.r.l. in data 31 gennaio 2011, nonchè la cessazione della materia del contendere per intervenuto rilascio dell’immobile locato;
che la Corte territoriale segnatamente riteneva: 1) l’inapplicabilità al contratto oggetto di causa, stipulato in data 1 novembre 2003, della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, in quanto rivolto ai soli contratti stipulati a partire dal 1 gennaio 2005; 2) la non applicabilità del D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 3, al contratto in esame, poichè – a prescindere dall’irretroattività della suddetta legge – la disciplina in esso contenuta si riferisce ai contratti di locazione per i quali sussisteva l’obbligo di registrazione L. n. 311 del 2004 ex art. 1, comma 346; 3) l’inapplicabilità al contratto de quo delle disposizioni di cui alla L. n. 208 del 2015 poichè, riferendosi alle sole situazioni di fatto determinatesi per gli effetti della disciplina di cui al D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 3, commi 8 e 9, prorogati dal D.L. n. 47 del 2014, art. 5, comma 1-ter, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del suddetto D.Lgs. a quella (16 luglio 2015) di deposito della sentenza caducatoria n. 169/2015 della Corte costituzionale, ne rimaneva escluso;
che resiste con controricorso Fonte S.r.l.;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.
Diritto
CONSIDERATO
che, con il primo ed unico mezzo, è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 14 marzo 2011, n. 23, art. 3, comma 8; del D.L. 28 marzo 2014, n. 47, art. 5, comma 1-ter; della L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 59, introduttiva della L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 5; della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346, per aver erroneamente la Corte territoriale – sulla base di un “collegamento” tra la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, e il D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 3, comma 8, ritenuto l’inapplicabilità della disciplina di “sostituzione legale di clausole” prevista dal citato art. 3, comma 8, ai contratti di locazione stipulati in data antecedente al 1 gennaio 2005 e cioè prima dell’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346;
che il motivo è manifestamente infondato;
che è principio consolidato quello per cui la previsione della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346 – a tenore del quale i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari, ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati si applica solo ai contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore, giusta il criterio generale di cui all’art. 11 preleggi e considerata l’assenza nella norma di una previsione che imponga la registrazione dei contratti in corso (Cass. n. 27169/2016; Cass., S.U., n. 18213/2015; Cass. n. 8148/2009);
che, ciò posto, giova rammentare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 87 del 2017, ha affermato che il D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 3, commi 8 e 9, “assumevano particolare rilievo nel contesto normativo in cui si andavano a collocare, poichè la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346 (…) – prescrivendo che “i contratti di locazione (…), comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati” – aveva così “eleva(to) la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 c.c.” (ordinanza n. 420 del 2007), in aderenza ad un “principio generale di inferenza/interferenza dell’obbligo tributario con la validità del negozio” (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 17 settembre 2015, n. 18213 e, in senso conforme, sezione terza, 14 luglio 2016, n. 14364 e 13 dicembre 2016 n. 25503). L’intervento legislativo di cui al D.Lgs. n. 23 del 2011 aveva pertanto operato una sorta di convalida di un “contratto nullo per difetto di registrazione”, conformando, però, esso stesso il sottostante rapporto giuridico, quanto a durata e corrispettivo”;
che ne consegue il collegamento, correttamente colto dalla Corte territoriale, tra le norme di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, e al D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 3, commi 8 e 9, con l’ulteriore precisazione che quest’ultime citate disposizioni non trovano comunque applicazione ai contratti stipulati prima della loro entrata in vigore (così in motivazione Cass. n. 6009/2018);
che la memoria di parte ricorrente (che non si misura sulla portata della citata sentenza della Corte costituzionale) non offre argomenti idonei a scalfire i rilievi che precedono;
che il ricorso va, dunque, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 4 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019