Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23191 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/10/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 23/10/2020), n.23191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20571-2018 proposto da:

V.R., V.M., V.L., elettivamente

domiciliati in ROMA VIA OTRANTO 36 presso lo studio dell’avvocato

MASSANO MARIO che unitamente all’avvocato CORNELIO ENRICO li

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

V.F. elettivamente domiciliato in ROMA VIA VALADIER 36,

presso lo studio dell’avvocato GOZZI RICCARDO, che lo rappresenta e

difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1013/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/10/2020 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 1013 del 24 aprile 2018 ha riformato la sentenza non definitiva del Tribunale di Venezia n. 1551/2017, dichiarando comodamente divisibile i beni caduti in successione, ed attribuendo il lotto B a V.F. ed il lotto A, collettivamente a V.R., V.M. e V.L..

Con la sentenza di prime cure il Tribunale, nel decidere sulla causa di scioglimento della comunione ereditaria esistente tra le parti, aveva ritenuto che il compendio immobiliare non fosse comodamente divisibile, disponendone quindi la vendita.

Viceversa, la Corte d’Appello, dopo aver richiamato i principi tradizionali della giurisprudenza in tema di accertamento della non comoda divisibilità, riteneva che il giudizio espresso in prime cure, secondo cui la divisione in natura avrebbe comportato un sensibile deprezzamento del bene, non fosse condivisibile, in quanto trascurava la circostanza che i lotti individuati dal CTU erano già oggi fisicamente divisi dal passaggio della ferrovia. Inoltre, la riduzione di valore del lotto B a seguito della divisione era trascurabile, oltre che mera mente ipotetica.

Quindi, dopo avere confutato tutte le argomentazioni contrarie alla divisione in natura, ha assegnato il lotto A, di maggiore consistenza e valore, agli appellanti, titolari della maggior quota, ed il lotto B a V.F., individuando anche il conguaglio dovuto a suo favore, in ragione della differenza contenuta di valore tra la quota ideale ed il valore dei beni assegnati.

Infine, compensava le spese di entrambi i gradi, ponendo le spese di CTU a carico delle parti per il 50% ciascuna, e ciò in considerazione dell’interesse di tutti di procedere allo scioglimento della comunione, secondo diritto.

Per la cassazione della sentenza di appello propongono ricorso V.R., V.M., V.L. sulla base di un motivo.

L’intimato ha resistito con controricorso.

Il motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c., limitatamente alle spese di secondo grado, rilevando che mentre la compensazione delle spese di primo grado e l’addebito delle spese di CTU in pari misura alle parti si giustifica in ragione della motivazione offerta dalla Corte distrettuale, non appare invece condivisibile la soluzione quanto alle spese del giudizio di appello, posto che la proposizione del gravame si era resa necessaria per l’ingiustizia della sentenza.

Inoltre, V.F. aveva resistito ad oltranza alla richiesta di riforma, prendendo conclusioni del tutto opposte a quelle poi fatte proprie dalla Corte d’Appello.

Il motivo è inammissibile ex art. 360-bis1 c.p.c..

Ed, invero, una volta richiamato il principio secondo cui la valutazione di soccombenza va riferita all’esito finale del giudizio, a prescindere dall’andamento dei singoli gradi in cui si è articolato (Cass. n. 19345/2014; Cass. n. 6522/2014) non apparendo quindi corretto l’approccio di parte ricorrente che tende a frazionare la valutazione di soccombenza per i singoli gradi, va richiamato il costante principio affermato da questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 22903/2013) nei procedimenti di divisione giudiziale, le spese occorrenti allo scioglimento della comunione vanno poste a carico della massa, in quanto effettuate nel comune interesse dei condividenti, trovando, invece, applicazione il principio della soccombenza e la facoltà di disporre la compensazione soltanto con riferimento alle spese che siano conseguite ad eccessive pretese o inutili resistenze alla divisione (conf. Cass. n. 3083/2006; Cass. n. 1635/2020).

In tal senso si è anche ribadito che la valutazione, in relazione alle spese sostenute per le attività necessarie allo svolgimento del giudizio nel comune interesse, circa la presentazione di eccessive pretese o di inutili resistenze, è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito (Cass. n. 7059/2002).

Nella fattispecie, la questione devoluta all’esame del giudice di merito investiva l’apprezzamento circa la comoda divisibilità o meno della massa comune, e quindi una valutazione che attiene al comune interesse dei condividenti, posto che l’esito della divisione non può in alcun modo prescindere dall’apprezzamento circa la possibilità materiale e giuridica di addivenire ad una divisione in natura conforme ai requisiti legali.

Rientrando quindi le spese di lite regolate in sentenza tra quelle che obiettivamente si correlano all’interesse comune dei condividenti, la contestazione circa l’esistenza di una resistenza inutile o pretestuosa da parte dell’appellato investe invece la valutazione prudente riservata al giudice di merito, e come tale non è suscettibile di denuncia in sede di legittimità.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

 

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