Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23190 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/10/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 23/10/2020), n.23190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20138-2018 proposto da:

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL

BABUINO 48 presso lo studio dell’avvocato PAOLA FRANCESCO, e

rappresentato e difeso dall’avvocato MASCARO PAOLO giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA alla VIA LAZIO 14

presso lo studio dell’avvocato LAGOTETA GIUSEPPE O., e rappresentata

e difesa dall’avvocato FAMULARO BRUNO giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1105/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 16/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/10/2020 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

Lette le memorie depositate dalla controricorrente.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il condominio ricorrente conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme C.A. deducendo che la convenuta aveva edificato un fabbricato sul fondo posto a confine con l’edificio condominiale a distanza inferiore a quella di legge, chiedendo pertanto la riduzione in pristino, con la condanna al risarcimento del danno.

Nella resistenza della convenuta che contestava la fondatezza della domanda, il Tribunale adito con la sentenza n. 160/2011 accoglieva la domanda e condannava la convenuta ad arretrare il proprio fabbricato sino alla distanza di metri 11,90 dallo stabile condominiale (pari a 10 metri lineari dal punto di massima sporgenza delle gronde), disattendendo tuttavia la domanda di risarcimento del danno.

A seguito di appello della convenuta e di appello incidentale del condominio, che si doleva del rigetto della domanda risarcitoria, la Corte d’Appello di Catanzaro con la sentenza n. 1105 del 16/6/2017 riformava la decisione gravata, rigettando integralmente la domanda del condominio.

Rilevava che nel caso di specie era applicabile il principio della prevenzione, ma che erroneamente il Tribunale non aveva considerato che la convenuta aveva posto la sua costruzione prevenuta a norma di legge.

Infatti, il condominio aveva costruito per primo ponendosi rispetto al confine ad una distanza di metri 5,00 dallo spiccato delle fondazioni ed a metri 3,63 partendo dagli sporti del fabbricato condominiale.

La Ciraudo invece aveva successivamente costruito collocando la sua costruzione a metri 5,00 dal confine, avendo quindi rispettato la distanza prescritta dallo strumento urbanistico locale che è pari a metri 5,00 dal confine, non essendo invece rilevante il mancato rispetto della distanza tra costruzioni.

Pertanto, doveva essere riformata la sentenza impugnata, laddove aveva disposto l’arretramento del fabbricato, il che rendeva superfluo esaminare anche l’appello incidentale, atteso che la domanda risarcitoria presupponeva il riconoscimento della violazione delle distanze legali.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Condominio (OMISSIS) sulla base di due motivi.

L’intimata ha resistito con controricorso.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., del D.M. n. 1444 del 1968 e del PRG del Comune di Gizzeria in relazione al mancato accoglimento della domanda di arretramento del fabbricato della convenuta. Assume il ricorrente che nella fattispecie la normativa regolamentare locale prevedeva per i fabbricati siti nella zona B1 una distanza di metri 10 tra costruzioni, rispetto alla quale potevano non considerarsi gli sporti di gronda di larghezza non superiore a metri 1,20. Poichè gli sporti dell’edificio condominiale eccedevano la detta misura, gli stessi andavano considerati ai fini del rispetto delle distanze, con la conseguenza che la costruzione della convenuta risulta collocata a distanza inferiore a quella di legge.

Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 872 e 1226 c.c., quanto al rigetto della domanda di risarcimento danni da violazione delle distanze legali.

Il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto della valida autorizzazione dell’amministratore del condomino alla proposizione del ricorso da parte dell’assemblea.

Già nel controricorso è stata eccepita l’assenza di tale autorizzazione assembleare, la cui necessità deve ritenersi sussistente alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis Cass. S.U. n. 10615/1996; Cass. n. 40/2015), secondo cui Le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio, quali quelle volte a denunziare la violazione delle distanze legali tra costruzioni, essendo dirette a ottenere statuizioni relative alla titolarità e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano tra gli atti meramente conservativi e possono, quindi, promuoversi dall’amministratore del condominio solo se sia autorizzato dall’assemblea a norma dell’art. 1131 c.c., comma 1. Nonostante l’eccezione sia stata immediatamente posta nel controricorso (e poi reiterata in sede di memorie), il condominio non ha però provveduto a sanare detta carenza mediante una la produzione dell’originaria autorizzazione ovvero di un’autorizzazione a ratifica del proprio operato, il che determina l’inammissibilità del ricorso.

Non è dato infatti far richiamo alla possibilità di concedere termine per la sanatoria del difetto di autorizzazione ex art. 182 c.p.c., avendo questa Corte affermato che (Cass. n. 12525/2018) deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall’amministratore del condominio senza la preventiva autorizzazione assembleare, eventualmente richiesta anche in via di ratifica del suo operato, in ordine a una controversia riguardante i crediti contestati del precedente amministratore revocato, in quanto non rientrante tra quelle per le quali è autonomamente legittimato ad agire ai sensi dell’art. 1130 c.c. e art. 1131 c.c., comma 1. Nè può essere concesso il termine per la regolarizzazione ai sensi dell’art. 182 c.p.c. allorchè il rilievo del vizio, in sede di legittimità, sia stato sollevato non d’ufficio, ma dalla controparte nel suo controricorso.

Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione all’avvocato F.B., dichiaratosene anticipatario.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge, con attribuzione all’avvocato F.B., dichiaratosene anticipatario;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

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