Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2319 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2017, (ud. 06/06/2016, dep.31/01/2017),  n. 2319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10779-2013 proposto da:

N.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IPPOLITO NIEVO 61, presso lo studio dell’avvocato MARIA BERNETTI,

che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA (OMISSIS), (già Ferrovie dello Stato –

Società di Trasporti e Servizi per Azioni), in persona

dell’institore e procuratore avv. L.F., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo studio

dell’avvocato STEFANIA MAGGINI, che la rappresenta e difende giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

FERSERVIZI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1674/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato MARIA BERNETTI;

udito l’Avvocato STEFANIA MAGGINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo di

ricorso assorbito il 2^.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Rigettando l’appello principale proposto da N.C. ed accogliendo parzialmente l’appello incidentale proposto da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. e da FERSERVIZI s.p.a., la Corte d’appello di Roma con sentenza 18.4.2012 n. 1674, ha ritenuto cessato alla data del 31.12.2005, a seguito di disdetta comunicata da FERSERVIZI s.p.a. in data 2.12.2004, il contratto di locazione di immobile ad uso commerciale stipulato tra le parti in data 21.6.1993, confermando la condanna del conduttore al rilascio del bene e ritenendo infondate la domande di risarcimento danni da quello proposte, in quanto: 1-il contratto rimaneva disciplinato dalla L. n. 392 del 1978, artt. 27-29, non essendo previste ulteriori obbligazioni a carico del locatore diverse dalla concessione in godimento dell’immobile; 2-la trasmissione al conduttore del protocollo d’intesa stipulato tra le associazioni di categoria dei ristoratori ed il Gruppo FF.SS., unitamente al modello di contratto tipo ed al modulo di adesione, non integrava proposta contrattuale ma solo attività preparatoria, in quanto la conclusione del nuovo contratto risultava espressamente subordinata a diverse condizioni preliminari, nella specie, non realizzate, circostanza che escludeva anche ipotetici profili di responsabilità precontrattuale delle società; 3-difettava in ogni caso la prova che la incertezza nelle trattative contrattuale avesse influito negativamente sui risultati economici dell’attività commerciale, rimanendo escluso il diritto del conduttore a percepire l’indennità di avviamento, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 35, essendo inserito l’immobile locato all’interno della stazione ferroviaria.

La Corte territoriale accogliendo il motivo di gravame incidentale delle due società, riformava la decisione di prime cure sul capo delle spese di lite, che erano state liquidate unitariamente per entrambe le società, senza considerare la differente posizione processuale rivestita da ciascuna di tali parti.

N.C. ha impugnato per cassazione la sentenza di appello, non notificata, deducendo con due motivi vizio di violazione di norme di diritto e vizio di motivazione Resistono con il medesimo controricorso entrambe le società intimate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza, per violazione dei criteri ermeneutici posti dagli artt. 1362 ss c.c. (recte come si evince dalla esposizione: artt. 1362 e 1363 c.c.) in ordine alla qualificazione del contratto stipulato il 21.6.1993 come contratto di locazione di immobile ad uso diverso da abitazione assoggettato alla disciplina della L. n. 392 del 1978.

Il ricorrente assume:

a) di aver qualificato il rapporto contrattuale di cui alla scrittura stipulata in data 21.6.1993 – nei propri atti difensivi del giudizio di primo grado – come “contratto di gestione”, chiedendo accertarsi la costituzione di un nuovo rapporto di locazione per il periodo successivo alla sua scadenza

b) che il contenuto dell’art. 2 e della clausola 7) del predetto contratto, da cui emergeva che le parti avevano pattuito la concessione in godimento dell’immobile, in quanto “meramente strumentale all’esercizio delle attività in esso svolte” (gestione servizio bar-ristorazione), ed avevano specificato che “pertanto non vogliono porre in essere un contratto avente come scopo la locazione di immobili”, nonchè le altre disposizioni contrattuali che attribuivano a RFI poteri di direzione, vigilanza e disciplinari nei confronti del gestore (riprodotte in sintesi alle pag. 6-8 del ricorso), avrebbero dovuto condurre, secondo una corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., a qualificare giuridicamente il contratto come estraneo alle fattispecie regolate dalla L. n. 392 del 1978, con conseguente insussistenza di una tacita riconduzione alla scadenza del 31.12.1999 ed inefficacia della disdetta inviata il 2.12.2004 (erroneamente indicato “1994”), dovendo invece ritenersi realizzato il sinallagma del contratto di locazione – costituito ex novo con decorrenza 1.1.12000 – in conseguenza della permanenza del conduttore nel locale e del pagamento dei canoni anche dopo la scadenza dell’originario contratto “atipico”.

La tesi del ricorrente si sviluppa nei seguenti passaggi logici: il contratto “di gestione”, cessato alla data del 31.12.1999, non prevedeva rinnovazione tacita (cfr. ricorso pag. 2), e dunque non avrebbe potuto legittimare la FERSERVIZI s.p.a. all’esercizio del diritto potestativo di disdetta, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 28, comma 1 in quanto, cessato l’originario contratto, a far data dall’1.1.12000 si sarebbe perfezionato tacitamente un nuovo “contratto di locazione” soggetto quanto alla durata alla disciplina dell’art. 27 legge equo canone (ricorso pag. 3), con la conseguenza che, non essendosi verificata la rinnovazione del contratto originario (contratto di gestione servizi di durata novennale), la disdetta non può ritenersi efficace ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 28, comma 1 in quanto non è intervenuta durante il secondo periodo di scadenza, ma durante il primo periodo di scadenza del “nuovo” contratto concluso in forma tacita decorrente dall’1.1.2000.

Presupposto necessario, su cui si fonda la tesi difensiva, è il disconoscimento della qualificazione giuridica del contratto originario, stipulato il 21.6.1993, come contratto di locazione di immobile ad uso diverso da quello abitativo, assoggettato alla disciplina della L. n. 392 del 1978: in caso contrario, infatti, la disposizione della clausola n. 7) dell’originario contratto dovrebbe ritenersi affetta da nullità relativa L. n. 392 del 1978, ex art. 79, comma 1 in quanto limitativa del diritto riconosciuto al conduttore dalla legge dall’art. 28, comma 1 (rinnovazione tacita, alla scadenza del primo periodo), e sostituita di diritto dalla norma che stabilisce la durata legale minima del contratto (sei anni) ed impedisce la disdetta del locatore (salve le ipotesi derogatorie previste dalla L. n. 392 del 1978, art. 29) alla prima scadenza.

Il motivo è infondato.

Entrambi i Giudici di merito hanno esaminato il contratto del 21.6.1993, pervenendo alla medesima conclusione secondo cui non prevedendo l’accordo, a carico dell’allora ente FF.SS., obbligazioni diverse da quella tipica prevista dall’art. 1571 c.c. (attribuzione del diritto di godere la cosa immobile per un dato tempo), trovava applicazione la legislazione sulle locazioni ad uso diverso da quello abitativo.

Tale argomento non viene ad essere scalfito dalla censura volta ad invocare i criteri interpretativi letterali (art. 1362 c.c.) e sistematici (art. 1363 c.c.) degli atti negoziali, atteso che se, da un lato, il “nomen juris” attribuito al contratto dalle parti (definito “contratto di gestione”: cfr. controricorso pag. 19) non vincola certamente il Giudice nella attività di qualificazione giuridica del rapporto controverso, dall’altro lato, alla autonomia negoziale non è consentito escludere consensualmente l’applicazione di norme di ordine pubblico laddove la fattispecie negoziale in concreto adottata corrisponda allo schema tipico da tali norme preso in considerazione.

Nè, in contrario, ostano le altre clausole del contratto del 21.6.1993 dalle quali emerge che l’attribuzione in godimento dell’immobile era strumentale all’esercizio dell’attività economica da parte del gestore del servizio di ristorazione e di rivendita di giornali e riviste, atteso che, come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello, le parti del contratto locativo bene possono specificare il tipo di attività commerciale cui l’immobile deve essere destinato, senza per questo determinare una immutazione del tipo negoziale: la circostanza che al gestore incombessero ulteriori obbligazioni oltre quella di corrispondere i canoni, non lo privava della qualità di conduttore.

Sul punto la critica formulata con il motivo non coglie quindi la “ratio decidendi”, posto che il mero richiamo al “nomen juris” (contratto di gestione) indicato nel testo contrattuale ed alla clausola 7 – ed alla interpretazione letterale della stessa – non esclude, per ciò stesso, l’applicabilità alla fattispecie delle norme della legge sull’equo canone (anche ammesso, secondo la prospettazione del ricorrente, che si versi in tema di negozio atipico o di “negozio misto” – appalto di servizi e locazione -, non viene fornita nel motivo alcuna argomentazione idonea ad escludere che il rapporto possa almeno in parte essere regolato anche dalle disposizioni della L. n. 392 del 1978), tenuto conto altresì che la disposizione, letta in sistema con le altre, viene soltanto a ribadire che le parti non hanno inteso limitarsi alla mera concessione in godimento di un immobile dietro corrispettivo, ma hanno voluto disciplinare “anche” l’affidamento della gestione di un servizio (bar-ristorazione e rivendita giornali), con organizzazione aziendale affidata al gestore e servizi da erogare secondo condizioni prestabilite in contratto, cui l’immobile doveva essere destinato.

L’impiego del criterio sistematico accanto a quello letterale per definire la esatta volontà delle parti è conforme ai principi espressi in materia da questa Corte secondo cui la comune volontà dei contraenti deve essere ricostruita sulla base di due elementi principali, ovvero il senso letterale delle espressioni usate e la “ratio” del precetto contrattuale, e tra questi criteri interpretativi non esiste un preciso ordine di priorità, essendo essi destinati ad integrarsi a vicenda (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 5102 del 13/03/2015).

Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per vizio di insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alla statuizione che ha negato efficacia di accordo, idoneo alla conclusione di un contratto di locazione, alla adesione manifestata dal N. al protocollo di intesa trasmesso da FERSERVIZI s.p.a. nel quale era state indicate le nuove condizioni contrattuali.

Sostiene il ricorrente che nella lettera in data 6.7.2001 trasmessa da Metropolis s.p.a. (cui è poi subentrata FERSERVIZI s.p.a.) era individuato l’immobile da condurre in locazione, mentre negli allegati (protocollo d’intesa del 10.1.2001 e modello-contratto tipo) si prescindeva dalla indicazione di dati specifici, pur tuttavia integrandosi il contenuto del contratto-tipo con gli elementi essenziali della locazione (durata, decorrenza, misura del canone) indicati nel protocollo d’intesa. Tale complesso documentale si qualificava come proposta ed il perfezionamento dell’accordo andava ricondotto alla manifestazione di adesione trasmessa dal N. in data 20.10.2001.

Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha esaminato tutti i predetti documenti, pervenendo ad escludere la natura di proposta contrattuale agli atti trasmessi da Metropolis s.p.a., in quanto il modello di contratto tipo non riportava i dati distintivi dell’immobile da condurre in locazione e la stipula del contratto risultava subordinata alla esecuzione di determinati adempimenti e condizioni, nella specie non verificatisi.

Il ricorrente deduce a sostegno della censura che: relativamente alla determinazione e pagamento dei conguagli, non occorreva una ulteriore regolamentazione rispetto a quella già prevista dalla clausola 9 del contratto-tipo (conguaglio del canone da calcolare in percentuale sul volume di fatturato alla fine del primo anno di locazione); che le garanzie fidejussorie dovevano essere prestate al momento della conclusione del contratto, e che la mancata definizione delle pendenze era imputabile a difficoltà gestionali e contabili di FERSERVIZI s.p.a..

Appare dunque evidente che nella specie, la critica non sia rivolta alla scorretta applicazione delle regole legali di esegesi contrattuale, peraltro neppure bene individuate dal ricorrente, tendendo piuttosto alla rinnovazione della indagine sul contenuto oggettivo della disciplina del rapporto voluto dalle parti, che attiene ad accertamento di merito riservato in via esclusiva al Giudice e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo della violazione delle predette norme ermeneutiche, richiedendosi in tal caso, ai fini della autosufficienza del motivo, la puntuale indicazione dell’errore “sulla regola giuridica di interpretazione” commesso dal Giudice di merito, rimanendo invece estranea al paradigma normativo del vizio di legittimità – e dunque inammissibile – la mera contestazione del risultato finale cui il Giudice è pervenuto in esito alla interpretazione, e così del pari la mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso, pur possibile alla stregua del contenuto dei medesimi elementi fattuali esaminati. Il vizio di violazione delle norme di diritto della ermeneusi negoziale, consiste, invece, nell’omesso od improprio utilizzo della regola ermeneutica la cui applicazione si rendeva necessaria in considerazione delle concrete esigenze di indagine del significato delle disposizioni espressive della volontà delle parti richieste dalla fattispecie concreta, e cioè dalla eventuale incertezza semantica del testo esaminato (espressioni linguistiche ambigue od equivoche, polisemiche), ovvero da eventuali incompatibilità logiche emerse dal confronto di elementi testuali ed extratestuali acquisiti al giudizio (comportamenti e dichiarazioni delle parti anteriori e posteriori all’accordo), od ancora da oggettivi dubbi circa gli effetti od il risultato del programma negoziale effettivamente voluti dalle parti ed insorti in considerazione della difformità tra quanto emerge dalle disposizioni contrattuali e la concreta attuazione che ne è stata data.

Inammissibile è altresì la censura, articolata sui medesimi argomenti, diretta a far valere il vizio di “insufficiente motivazione”, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis, antevigente le modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012), atteso che l’errore logico che viene ascritto alla Corte territoriale, in ordine alla subordinazione della stipula del contratto ad una (il conguaglio della misura del canone determinato in percentuale rispetto al volume del fatturato realizzato alla fine del primo anno di locazione) delle molteplici condizioni ed attività preliminari che vengono indicate nella sentenza, quando anche fosse accertato, non sarebbe comunque idoneo a determinare per ciò stesso la cassazione della sentenza, non intaccando la statuizione della sentenza che ha accertato il mancato adempimento anche delle “altre” condizioni ed attività preliminari richieste dal gestore per il perfezionamento dell’accordo, e che ha indotto il Giudice di merito ad escludere coerentemente la natura di proposta contrattuale (compiuta in ogni suo elemento e come tale idonea a perfezionare l’accordo con l’accettazione del destinatario) agli atti trasmessi al N. dal gestore Metropolis s.p.a..

Ed infatti, indipendentemente dalla stessa ammissione del ricorrente, secondo cui la “proposta” comunicatagli prevedeva successivi incontri tra le parti per chiarimenti sugli aspetti del contratto e per lo svolgimento di “non meglio specificati adempimenti del caso” (ricorso pag. 18), circostanza che non smentisce, quindi, il risultato ermeneutico in ordine alla natura meramente preparatoria degli atti trasmessi al N., osserva il Collegio che l’argomento della sentenza di appello, secondo cui la stipula del contratto di locazione era subordinata alla presentazione di garanzia fidejussoria bancaria od assicurativa, non risulta investito dalla censura, essendosi limitato in proposito il ricorrente ad affermare che tale adempimento doveva essere compiuto “al momento della conclusione del contratto” – senza peraltro fornire prova della presentazione di garanzia unitamente alla nota del 20.10.2001 con la quale manifestava di aderire alle condizioni del protocollo d’intesa -, e dunque la censura non inficia la conclusione cui è pervenuto il Giudice di appello in ordine al mancato perfezionamento del nuovo accordo non essendo stata compiuta la necessaria attività preliminare che doveva precedere la stipula del contratto di locazione, conclusione ulteriormente avvalorata dal non avveramento anche dell’altra condizione preliminare (definizione delle pendenze relative ai contratti precedenti) anch’essa richiesta per la conclusione del nuovo contratto, non trovando ingresso in sede di legittimità la questione di fatto – peraltro nuova – introdotta dal ricorrente secondo cui la mancata definizione delle pendenze era da imputarsi ad inefficienze operative di FERSERVIZI s.p.a..

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte soccombente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata integralmente rigettata, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, a favore delle parti resistenti, in solido, liquidate in Euro 8.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali ed accessori di legge;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento della somma prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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