Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23188 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/10/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 23/10/2020), n.23188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18285-2018 proposto da:

TOP DRIVER SCARL, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DELLA PINETA

SACCHETTI 201, presso lo studio dell’Avvocato FONTANELLA GIANLUCA

che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6279/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

22/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/10/2020 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Top Driver proponeva ricorso in data 29/7/2010 avverso il verbale di accertamento emesso da Roma Capitale per un’infrazione al codice della strada.

Nella resistenza della convenuta, il Giudice di Pace di Roma con la sentenza n. 79320/2015 accoglieva l’opposizione e condannava la convenuta al rimborso delle spese di lite quantificate nell’importo di Euro 85,00.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società ed il Tribunale di Roma con la sentenza n. 6279 del 22 marzo 2018 accoglieva il gravame ritenendo che la liquidazione delle spese di primo grado fosse erronea, determinando le spese del doppio grado in base ai criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014, ma previo abbattimento dei valori medi tabellari, in considerazione dell’estrema modestia della controversia, del tutto routinaria e priva di problematica in punto di fatto e di diritto.

In dispositivo però precisava che la somma di Euro 300,00 liquidata per il giudizio di appello, era da intendersi compensata per la metà.

Avverso tale sentenza propone ricorso la Top Driver S.coop. a r.l. sulla base di un motivo.

Roma Capitale non ha svolto difese in questa fase.

Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2 e art. 132 c.p.c., n. 4 con riferimento alla parziale compensazione delle spese del secondo grado di giudizio.

Rileva la ricorrente che nella fattispecie trova applicazione, ratione temporis, la previsione di cui all’art. 92 c.p.c., quale novellata dalla L. n. 69 del 2009, che consente di compensare le spese di lite, al di fuori delle ipotesi di reciproca soccombenza, che qui non ricorre, se concorrono gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate in motivazione.

Nella vicenda, stante l’integrale accoglimento dell’appello, manca un’indicazione delle ragioni che possano avere indotto il giudice di appello a compensare in parte le spese del gravame. Il ricorso è fondato.

Tenuto conto dell’epoca di introduzione del presente giudizio (25/1/2010), opera, nel caso in esame, la modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, che – per i giudizi instaurati successivamente alla sua entrata in vigore -, ha modificato nuovamente l’art. 92 c.p.c., comma 2 l, dopo la novella di cui alla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), già applicabile ai procedimenti instaurati successivamente al 1 marzo 2006 (medesima legge, art. 2, comma 4, come mod. dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39 quater conv. con mod. nella L. 23 febbraio 2006, n. 51). La nuova disposizione, che regola la fattispecie in esame ratione temporis, ha previsto che “se vi è soccombeva reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”. Alla norma è stata apportata successivamente una nuova modifica – di tenore ulteriormente restrittivo – dal D.L. 1 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, convertito, con modificazioni, in L. 10 novembre 2014, n. 162, applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione, nel senso che la compensazione è limitata alle ipotesi di soccombenza reciproca “ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”.

Rispetto alla previgente formulazione dell’art. 92 c.p.c., il testo della norma applicabile ratione temporis alla fattispecie, è più rigoroso e consente la compensazione solo in presenza di soccombenza o nel concorso di “altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione”.

Tale formulazione è stata poi ricondotta – nell’interpretazione offerta dalle Sezioni Unite di questa Corte – nell’alveo delle “norme elastiche”, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico – sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (Cass. Sez. Un., 22 febbraio 2012, n. 2572), il che ne consente l’assoggettamento al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge, in quanto, nell’esprimere il giudizio di valore necessario per integrare una norma elastica (che, per la sua stessa struttura, si limita ad esprimere un parametro generale) il giudice di merito compie un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa, dando concretezza a quella parte mobile (elastica) della stessa, introdotta per consentire alla norma stessa di adeguarsi ai mutamenti del contesto storico-sociale (Cass. n. 8017 del 6 aprile 2006).

I precedenti di questa Corte sinora intervenuti nell’interpretazione della novella appaiono nel complesso orientati ad un generale rigore, ed in tal senso è stato negato che possano essere ricondotte nella clausola generale delle gravi ed eccezionali ragioni: l’oggettiva “opinabilità della soluzione accolta”, in quanto la precisa individuazione del significato di un testo normativo in relazione alla fattispecie concreta a cui deve essere applicato costituisce il nucleo della funzione giudiziaria, sicchè l’ordinario esercizio nell’esegesi del testo normativo non può essere valutato come evento inusuale, almeno finchè non siano specificamente identificate le ragioni per le quali la soluzione assegnata al dubbio interpretativo assurga (per la sua contrarietà alla consolidata prassi applicativa, ovvero per la del tutto insolita connotazione lessicale e sintattica del tessuto letterale della norma) a livello di eccezionale gravità (Cass. n. 319 del 9 gennaio 2014); il mero riferimento alla “natura processuale della pronuncia”, che, in quanto tale, può trovare applicazione in qualunque lite che venga risolta sul piano delle regole del procedimento (Cass. n. 16037 dell’11 luglio 2014); la mera “peculiare natura della declaratoria di improcedibilità dell’appello (Cass. n. 24634 del 19 novembre 2014); “l’esiguità della pretesa creditoria”, specialmente ove l’importo delle spese sia tale da superare quello del pregiudizio economico che la parte intende evitare agendo in giudizio per fare valere il proprio diritto, atteso che in tale ipotesi la statuizione si tradurrebbe in una sostanziale soccombenza di fatto della parte vittoriosa, con lesione del principio costituzionale di cui all’art. 24 Cost., nonchè della regola generale dell’art. 91 c.p.c. (Cass. n. 11301 del 1 gennaio 2015); il riferimento a “motivi di opportunità e giustizia sostanziale” o al “diverso esito del giudizio di primo grado” (Cass. n. 14546 del 13 luglio 2015).

In tal senso si è ritenuta illegittima la decisione del giudice di merito di compensare le spese per la sussistenza di decisioni giurisprudenziali di merito di vario segno (così Cass. n. 1521/2016) atteso che un contrasto interpretativo su una determinata questione – soprattutto in presenza di soluzioni interpretative non ancora passate al vaglio del giudizio di legittimità, tanto più se riguardanti controversie di carattere seriale o comunque costituenti un contenzioso diffuso su tutto il territorio nazionale – non assume il carattere dell’eccezionalità, ossia di un evento che si presenta di rado rispetto alla normalità. Non ricorre neppure il requisito della “gravità”, il quale va apprezzato – nella sua portata oggettiva nella misura in cui l’evento o la situazione che ne è alla base abbiano prodotto effetti concreti sull’esito del processo o sul suo svolgimento, mentre, all’evidenza, l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di merito, ossia la presenza di soluzioni interpretative di segno diverso da quello fatto proprio nella sentenza, resta estranea da tale novero di fatti o eventi, in mancanza di specificazioni ulteriori che consentano di meglio definire la rilevanza determinante, nel caso di specie, dell’esistenza dei precedenti giurisprudenziali (di merito) difformi dalla soluzione nella specie adottata.

Sempre, in considerazione delle ragioni addotte dalla sentenza gravata per giustificare la decisione di compensare le spese, si segnala da ultimo Cass. n. 11217/2016, che del pari ha ravvisato la violazione dell’art. 92 c.p.c. nel caso di riferimento alla “peculiarità della materia del contendere” (conf. Cass. n. 22310/2017 che ha ritenuto illegittima una compensazione motivata in relazione al”la natura della controversia e le alterne vicende dell’iter processuale”, in quanto inidonea a consentire il necessario controllo).

Nella fattispecie, mentre la sentenza ha motivato sulle ragioni per le quali reputava di procedere all’abbattimento degli onorari medi (motivazione questa che non può reputarsi idonea a sostenere anche la decisione di compensare in parte le spese di lite), manca qualsivoglia riferimento alle ragioni in base alle quali il Tribunale ha ritenuto di avvalersi del potere, ormai vincolato al ricorrere delle precise indicazioni imposte dal legislatore, di compensare le spese di lite, di tal che la sentenza appare sul punto affetta dal vizio di nullità per carenza assoluta di motivazione.

Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi che il motivo di ricorso sia fondato, non avendo la Corte di merito fatto corretta applicazione dell’art. 92 c.p.c. e la sentenza deve essere cassata quanto alla compensazione delle spese, con l’ulteriore corollario della possibilità di decidere nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, dovendo farsi applicazione del principio generale della soccombenza (art. 91 c.p.c.), stante l’erronea sussunzione della fattispecie in esame nell’alveo di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2.

La causa può tuttavia essere decisa nel merito, non apparendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, liquidando in favore della ricorrente a titolo di spese del giudizio di appello la somma di Euro 600,00 oltre accessori di legge.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e per l’effetto cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito liquida le spese del giudizio di appello nella somma di Euro 600,00 oltre IVA ed accessori di legge;

Condanna Roma Capitale al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 400,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

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