Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23187 del 17/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/09/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 17/09/2019), n.23187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26678-2018 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato MAIORANA ROBERTO, che lo rappresenta

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI -MILANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1199/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI

LAURA.

Fatto

RITENUTO

Che:

La Corte di appello di Milano, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da M.S. (alias MABALO SAMBAI), proveniente dal Senegal, il quale ha proposto ricorso per cassazione con un mezzo; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con l’unico motivo il ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, a causa del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel paese di origine e che ivi possa correre gravi rischi ed invoca il principio di non refoulement, richiamando molteplici precedenti giurisprudenziali.

Nella parte finale del motivo il ricorrente si sofferma sulla declaratoria di non credibilità formulata dalla Corte di appello sostenendo, di contro, che il narrato in merito al rapimento di cui era stato vittima ed ai timori che ne avevano indotto l’allontanamento dal Senegal era veritiero, plausibile e positivamente valutabile per il riconoscimento della protezione umanitaria richiesta.

Il motivo è inammissibile.

Quanto alla prima parte, va richiamata per tutti la giurisprudenza di

legittimità secondo la quale il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate e/o della giurisprudenza di cui si sollecita l’applicazione, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 24298 del 29/11/2016).

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate o di precedenti giurisprudenziali, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.

Quanto alla seconda parte, la censura, proposta come violazione di legge, è inammissibile atteso che “La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito.” (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Inoltre, la doglianza, ‘zar sollecitando sostanzialmente una rivalutazione delle dichiarazioni, non indica alcun fatto decisivo il cui esame sia stato omesso.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese di giudizio per assenza di attività difensive della controparte.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, stante l’ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte,

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019

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