Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2318 del 01/02/2010

Cassazione civile sez. II, 01/02/2010, (ud. 02/12/2009, dep. 01/02/2010), n.2318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 269-2005 proposto da:

M.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO,

rappresentata e difesa dagli avvocati D’ACUNTO FRANCO, D’ACUNTO

DANIELA;

– ricorrente –

contro

L.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA BANCO S. SPIRITO 48, presso lo studio dell’avvocato

D’OTTAVI MARIO, rappresentato e difeso dagli avvocati CAPPELLI CIRO,

CAPPELLI AMILCARE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 599/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/02/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2009 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avvocato BARTOLI Pierluigi, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato D’ACUNTO Franco, difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato FRANZIN Lodovica, con delega depositata in udienza

degli Avvocati CAPPELLI, difensore del resistente che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 14 ottobre 1998 il Tribunale di Napoli, adito da M.L. e in via riconvenzionale da L.N., condannò quest’ultimo al pagamento della somma di L. 15.000.000, portata da un assegno bancario, oltre agli interessi dalla data di emissione; dichiarò nullo il contratto di vendita di un appartamento stipulato dalle parti il (OMISSIS), limitatamente alla clausola con cui l’attrice si era riservata la proprietà dello spazio retrostante il fabbricato senza destinarlo a parcheggio per veicoli;

respinse le altre domande che erano state proposte dal convenuto.

Pronunciando sui gravami principale e incidentale proposti rispettivamente da L.N. e da M.L., con sentenza del 17 febbraio 2004 la Corte d’appello di Napoli ha riformato la prima delle suddette decisioni, respingendo la domanda relativa al pagamento di L. 15.000.000; ha confermato la seconda, ribadendo l’invalidità della clausola in questione. A tali conclusioni il giudice di secondo grado è pervenuto ritenendo: che L.N., nel costituirsi in primo grado, aveva inequivocamente disconosciuto la firma a suo nome figurante sul titolo di credito fatto valere dall’attrice; che in seguito all’istanza di verificazione, formulata in appello da M.L., era stata accertata mediante consulenza tecnica di ufficio la non autenticità della firma di emissione dell’assegno, desumibile peraltro anche dal contratto di vendita intercorso tra le parti; che la riserva di proprietà contenuta nel rogito del (OMISSIS) contrastava con la norma imperativa dettata dall’art. 41-sexies, della legge urbanistica.

M.L. ha proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi. L.N. si è costituito con controricorso e ha presentato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso M.L. lamenta che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto efficace il disconoscimento operato dalla parte convenuta, nonostante la sua irritualità (perchè proveniente da uno dei procuratori di L.N., il quale non era presente in udienza) e la sua contraddittorietà (perchè incoerente con l’ammissione che l’assegno era stato consegnato come parte del prezzo dell’appartamento oggetto della vendita del (OMISSIS)).

La doglianza va disattesa.

Quanto alla prima deduzione della ricorrente, si deve osservare che il disconoscimento della scrittura privata è compreso tra i poteri conferiti al difensore con la procura alla lite, essendo atto di natura processuale e non sostanziale, che non implica disposizione del diritto in contesa ma concerne l’utilizzabilità del documento come mezzo di prova (v., tra le altre, Cass. 6 dicembre 2000 n. 15502, 27 luglio 2000 n. 9869).

A proposito poi del riconoscimento che L.N. avrebbe compiuto del proprio debito, è sufficiente rilevare che dai peraltro isolati e slegati brani degli atti difensivi riportati nel ricorso per cassazione, si deduce che L.N. non aveva affatto ammesso, ma aveva anzi contestato di essere tenuto al pagamento della somma in questione.

Con il secondo motivo di impugnazione M.L. sostiene che la condanna del convenuto pronunciata dal Tribunale avrebbe dovuto essere confermata dal giudice di secondo grado, indipendentemente dall’avvenuto accertamento della non autenticità della sottoscrizione dell’assegno, poichè L.N. aveva riconosciuto che il prezzo dell’appartamento alienatogli era stato versato soltanto in parte e che residuava appunto la somma portata dal titolo di credito da lui consegnato alla venditrice.

Neppure questa censura può essere accolta.

Nel promuovere il giudizio l’attrice aveva formulato la propria domanda sotto un profilo prettamente ed esclusivamente cartolare, basandola sull’assegno recante apparentemente la firma del convenuto.

Ha poi mantenuto ferma questa impostazione in tutto il successivo corso della causa, anche dopo il disconoscimento della scrittura e la sua verificazione, continuando a chiedere la condanna di L. N. al pagamento della somma in contestazione unicamente in quanto emittente del titolo, senza mai far valere il rapporto sottostante, del quale soltanto l’altra parte aveva fatto menzione (ma comunque per negare che giustificasse la pretesa avanzata nei suoi confronti). Non essendo stata quindi esercitata l’azione causale, non sarebbe stato consentito alla Corte d’appello confermare in questa prospettiva l’accoglimento della domanda di cui si tratta deciso dal Tribunale. Nè alcuno degli argomenti esposti nella sentenza di secondo grado risulta riferibile, come la ricorrente ipotizza, a una pronuncia basata sul contratto intercorso tra le parti: il contenuto del negozio è stato bensì richiamato, ma come elemento di conferma dell’esattezza delle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, le quali sono state ritenute di per sè decisive ai fini della riforma della sentenza di primo grado.

Con il terzo motivo di ricorso M.L. si duole della dichiarazione di nullità della clausola del contratto di vendita, con cui era stato escluso dall’alienazione lo spazio retrostante il fabbricato: sostiene che nella specie, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, non era applicabile l’art. 41-sexies della legge urbanistica, sia perchè le parti si erano date reciprocamente atto che lo stabile era stato costruito senza concessione edilizia e lo stesso L.N. aveva poi presentato richiesta di “condono”, sia perchè l’area in questione aveva destinazione urbanistica diversa, sia perchè non aveva l’estensione necessaria per essere adibita a parcheggio.

La censura è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non vi è ragione di discostarsi, è infatti univocamente orientata nel senso che l’operatività della norma citata è subordinata alla condizione dell’effettiva esistenza di spazi che siano stati destinati a parcheggio dalla pubblica amministrazione mediante la concessione edilizia, rilasciata eventualmente in sanatoria (Cass. 3 luglio 1999 n. 6894, 12 febbraio 2006 n. 3961, 11 febbraio 2009 n. 3393). La domanda riconvenzionale proposta da L.N., intesa ad ottenere la dichiarazione di nullità della clausola con cui M. L. si era riservata la proprietà dell’area retrostante il fabbricato, è stata invece accolta prescindendo dal necessario accertamento della sussistenza di tale condizione.

Rigettati pertanto in primi due motivi di ricorso e accolto il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d’appello di Napoli, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso; accoglie il terzo;

cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2010

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