Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23174 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. I, 22/10/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 22/10/2020), n.23174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1718/2018 proposto da:

M.A., nella qualità di precedente amministratore unico e

legale rappresentante pro tempore della (OMISSIS) s.r.l.,

elettivamente domiciliato in Roma, via Crescenzio n. 19, presso lo

studio dell’avvocato Scacchi Francesco, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Domenico Festa, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate – Riscossione, già Equitalia Centro s.p.a.,

poi Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Franco Puppola, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

Fallimento n. 25/2017 (OMISSIS) s.r.l.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 904/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 02/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/07/2020 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con sentenza depositata in data 30 giugno 2017 il Tribunale di Terni ha dichiarato il fallimento della s.r.l. (OMISSIS), società cancellata dal registro delle imprese nel (OMISSIS) a seguito di delibera assembleare (per verbale notarile del (OMISSIS)) di sua trasformazione in comunione di azienda tra le società ADIP SA e MA.SA. SA.

Avverso tale dichiarazione il rappresentante legale della società dichiarata fallita, M.A., ha proposto reclamo L. Fall., ex art. 18 avanti alla Corte di Appello di Perugia.

Questa lo ha respinto con sentenza depositata in data 2 dicembre 2017.

2.- A fronte della contestazione relativa alla nullità della notifica dell’istanza di fallimento, formulata dal reclamante, la Corte territoriale ha osservato che la norma della L. Fall., art. 15 “non prevede mai casi di notifica personale al legale rappresentante” e che, nel caso di specie, “non essendo andata a buon fine la notifica a mezzo PEC, si è proceduto dapprima con il tentativo di notifica a mani presso la sede”; “successivamente, la notifica si è perfezionata con il deposito dell’atto presso la casa comunale”.

E’ stata così pienamente rispettata – ha precisato la pronuncia – la sequenza procedimentale stabilita dalla legge.

3.- In relazione all’ulteriore contestazione del reclamante, per cui l’applicazione della norma della L. Fall., art. 10 è da ritenere limitata ai soli casi di cancellazione dal registro per “cessazione dell’attività”, la Corte umbra ha poi rilevato che l’indicata disposizione risulta “destinata a trovare applicazione a fronte di tutte le ipotesi di “cancellazione dal registro delle imprese”” e che, d’altronde, con la “trasformazione eterogenea la società si era comunque estinta”.

A tale proposito la sentenza ha altresì sottolineato, pure richiamandosi a dei precedenti di questa Corte, che le società “sono tutte forme di esercizio collettivo dell’impresa, sicchè ad esse, senza distinzione alcuna, deve intendersi riferita, ai fini previsti dalla L. Fall., art. 10, l’espressione “impresa collettiva” ivi contenuta”.

E ha ancora aggiunto che, del resto, per solito “l’inapplicabilità dell’art. 10 è sostenuta (ad esempio, con riferimento alle società trasferite all’estero) nel senso di “estendere” la possibilità del fallimento, non già nel senso di limitarlo, non rilevando la possibilità dell’opposizione dei creditori ex art. 2500 novies c.c., limitata alla sola trasformazione in sè, e non ai suoi riflessi in ordine alla fallibilità” dell’ente interessato.

4.- Avverso questo provvedimento, M.A., sempre nella qualità di rappresentante legale della società dichiarata fallita, propone ricorso, affidandosi a cinque motivi di cassazione.

Resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate – Riscossione, creditore che ha presentato l’istanza di fallimento.

Non svolge invece difese nel presente grado del giudizio il Fallimento della s.r.l. (OMISSIS), già non costituitosi in sede di giudizio del reclamo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5.- Il primo motivo è intestato “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto e, in particolare, della L. Fall., art. 15,artt. 160 e 162 c.p.c. e artt. 137,138,140 e 145 c.p.c.”.

Con questo motivo, il ricorrente afferma che la Corte umbra ha errato nel “risolvere il problema della correttezza della notifica dell’istanza di fallimento e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza pre-fallimentare”. Per due ordini di ragioni, si precisa.

In primo luogo, il giudice ha errato nell’individuare il soggetto legittimato a partecipare all’udienza prefallimentare, fermandosi sull’ormai cancellata s.r.l. Per contro, il ricorrente assume che legittimato a partecipare all’udienza sia il “soggetto “trasformato”, ovvero la comunione di azienda”: e ciò – così argomenta – sulla falsariga di quanto accade nella fusione per incorporazione, in cui soggetto legittimato alla vocatio in ius si ritiene sia la società incorporante, secondo quanto rilevato dalla pronuncia di Cass., 11 agosto 2016, n. 17050.

Inoltre, la “sequenza della L. Fall., art. 15 è stata comunque applicata non correttamente” – si predica -, posto che, “laddove fosse impossibile la notifica via PEC, si… doveva procedere ex art. 145 c.c., commi 2 e 3, attesa la forma giuridica del soggetto trasformato… e venendo meno la qualità di imprenditore”.

6.- Il secondo motivo di ricorso è intestato “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto e, in particolare, dell’art. 12 preleggi e della L. Fall., art. 10 in relazione alla disciplina applicabile alla comunione di godimento derivata da trasformazione eterogenea di società di capitali”.

L’intestazione del terzo motivo assume, poi, la “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto e, in particolare, degli artt. 1100,2248,2500 septies c.c. e L. Fall., art. 10”.

Con il quarto motivo, viene inoltre segnalata la “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto e, in particolare, degli artt. 2248,2495,2500 septies, 2740 c.c. e L. Fall., art. 10″; e pure l'”omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il quinto motivo di ricorso altresì sostiene, nella sua intestazione, la “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto e, in particolare, della L. Fall., art. 10 e art. 2498 c.c.”, nonchè l'”omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

7.- Con i motivi dal n. 2 al n. 5 compresi, il ricorrente viene in sostanza a svolgere i rilievi che seguono.

Nella specie è intervenuta, “ai sensi dell’art. 2500 septies c.c., una trasformazione in un ente diverso (la comunione di godimento)”, che non risulta “sussumibile nei parametri di cui alla L. Fall., art. 10”: “l’art. 2248 c.c., letto in combinato con l’art. 1100 c.c., descrive una fattispecie sostanziale assolutamente incompatibile con i profili di carattere commerciale”; “non emerge”, d’altra parte, “alcun elemento che possa condurre a una diversa qualificazione della attuale comunione di mero godimento dell’azienda”, posto pure che quest’ultima è stata affittata a terzi.

L’istituto della trasformazione – si precisa in via consecutiva – non comporta un fenomeno di estinzione dell’ente, quanto invece di modificazione soggettiva: e, così, la specie della s.r.l. si è “modificata” in quella della comunione di godimento.

Nel concreto, d’altra parte, la cancellazione della società consegue al compiersi di un simile passaggio trasformativo; per contro, la norma della L. Fall., art. 10 risulta “relativa alla diversa ipotesi di società cancellata per estinzione della società”.

Il richiamo alla norma della L. Fall., art. 10 – così si incalza, ancora – è “assolutamente errato”: a seguito della intervenuta trasformazione, “tutti i rapporti proseguono in capo alle due società compartecipanti (comunisti) e cioè soggetti non idonei all’esercizio di attività commerciale…, con conseguente insussistenza anche di qualsivoglia ipotesi di insolvenza”.

Peraltro, “ai sensi dell’art. 2500 novies c.c. i creditori sociali possono opporsi alla trasformazione con rinvio alla disciplina di cui all’art. 2495 c.c.”. La sentenza impugnata – si assume ancora – ha in realtà omesso di “valutare” un fatto decisivo: “ovvero che la trasformazione effettuata ha generato un nuovo ente di gestione e un nuovo centro di responsabilità patrimoniale dei pregressi debiti su cui i creditori possono rivalersi applicando i principi di cui all’art. 2740 c.c.”.

8.- Come emerge dall’esposizione dei motivi svolti dal ricorrente, le ragioni che sorreggono il primo motivo di ricorso si sovrappongono in parte sostantiva a quelle che risultano poste a fondamento dei motivi dal secondo al quinto: là dove, in specie, si viene a predicare la “sostituzione” dell'”ente trasformato” (secondo la locuzione che è stata adottata dalla norma dell’art. 2498 c.c.) all'”ente” originario. La disamina del primo motivo dev’essere quindi posposta all’esame degli altri motivi di ricorso.

I quali, d’altra parte, risultano strettamente collegati tra loro, al punto da rendere senz’altro opportuno il loro esame a mezzo di uno svolgimento unitario.

9.- Il secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso non sono fondati e non meritano quindi di essere accolti.

10.- Per meglio inquadrare la tematica che è ripresa dai motivi enunciati dal ricorrente, appare opportuno muovere da una serie di considerazioni di base.

La prima delle quali è che l’istituto della trasformazione, di cui agli artt. 2498 c.c. e ss., contiene in sè e considera una serie di fenomeni diversi e, nel caso, anche molto lontani tra loro.

Esso viene così ricomprendere il caso della trasformazione di una s.r.l. in una s.p.a. (o anche viceversa) ex art. 2500 c.c. (c.d. trasformazione omogenea tra società di capitali), in cui tutto sembrerebbe risolversi in una semplice modifica dell’atto costitutivo, con il connesso mutamento della forma di organizzazione dell'”ente” societario e di partecipazione allo stesso.

Come pure peraltro ricomprende, nel suo ampio ambito, le fattispecie della c.d. trasformazione regressiva di società, quale ad esempio data dal transito da una s.r.l. a una s.n.c. (art. 2500 sexies c.c.), dove prende rilievo anche la diversa tematica innestata dal mutamento di regime di responsabilità patrimoniale, che per tal via viene a realizzarsi: per il “sopravvenire”, appunto, della responsabilità solidale e illimitata dei soci ex art. 2291 c.c. in luogo della precedente situazione di compiuta, “perfetta” autonomia del patrimonio sociale.

11.- Ancor più accentuata lontananza dall’ipotesi della trasformazione omogenea tra società di capitali, quale ipotesi per così dire “prima” di “trasformazione”, mostrano – occorre pure osservare – le fattispecie in cui l’istituto in questione viene a fare riferimento ad ipotesi che non risultano riducibili a operazioni di tipo endosocietario: di transito, dunque, da organizzazioni societarie a strutture di altra conformazione (art. 2500 septies c.c.) o anche viceversa (art. 2500 octies c.c.).

Nei fatti, il legislatore vigente ha stabilito di fissare il limite dell’istituto, di cui agli artt. 2498 c.c. e ss., nella necessaria presenza di almeno una struttura societaria: o di partenza dell’operazione o di esito della medesima (sulla “cospicua dilatazione del fenomeno della trasformazione nell’attuale assetto normativo” si sofferma ora la pronuncia di Cass., 29 maggio 2020, n. 10302).

12.- In questo peculiare contesto, spicca in modo particolare, d’altra parte, proprio la fattispecie di trasformazione di una società di capitali in una comunione di azienda, secondo quanto per l’appunto avviene nel caso che è qui concretamente in esame.

La peculiarità di questa fattispecie tipo discende soprattutto dalla circostanza che la comunione di azienda non risulta considerata nel contesto generale del nostro sistema dei rapporti tra privati nei termini di autonomo soggetto di diritti (nè come fenomeno di distinta imputazione, nè come espressione di una propria responsabilità patrimoniale).

Con la conseguenza che, in questa evenienza, la trasformazione viene di necessità ad acquistare (anche) i tratti di una vicenda circolatoria di beni e diritti (cfr. già Cass., 6 febbraio 2002, n. 1593, pur se in una prospettiva ancora per certi versi legata a una visione “naturalistica” della soggettività giuridica).

Tale vicenda circolatoria non manca, del resto, di presentare a sua volta profili ulteriori di specifica peculiarità. Discorrendosi di trasformazione in “comunione di azienda” – e non già in una struttura soggettiva individuale (sulla quale si veda la puntuale impostazione di Cass., 14 gennaio 2015, n. 496, come intesa a escludere, per questa particolare situazione, la sussistenza di una “trasformazione in senso tecnico”) – in luogo della precedente struttura societaria stanno, all’effetto della compiuta vicenda trasformativa, i più ex soci dell'”ente trasformato”.

La stessa prosecuzione dei rapporti pendenti, che è stabilita dalla norma dell’art. 2498 c.c., si trova dunque a esigere l’utilizzo delle categorie normative della solidarietà attiva e della solidarietà passiva; per i rapporti contrattuali (eventualmente in essere), poi, la regola ivi dettata dev’essere adattata a mezzo del ricorso alla nozione di “parte complessa”.

13.- Segue ai rilievi sin qui esposti la rilevazione che l’istituto della trasformazione, di cui ai vigenti artt. 2498 c.c. e ss., non può sicuramente essere assunto in termini di blocco “unico”, con risvolti identici per tutte le diverse fattispecie tipo in cui l’istituto stesso può venire a manifestarsi.

Segue inoltre, e in via strettamente correlata, che la corrente impostazione della trasformazione in termini di “modificazione” del contratto originario e del conseguente soggetto giuridico – quale tradizionalmente sviluppatasi in chiave di contrapposizione dialettica con un’idea del fenomeno basata invece su una dinamica di “estinzione-creazione” di soggetti – finisce per manifestarsi come non esaustiva (cfr., così, anche Cass. 19 giugno 2019, n. 16511, proprio a proposito di una trasformazione di società di capitali in comunione di azienda); e comunque come non risolutiva di ogni possibile problema possa venire a porsi per le varie fattispecie tipo di trasformazione (sulla constatazione che l’alternativa di leggere la trasformazione come vicenda modificativa di contratto e di soggetto o come invece estintiva del soggetto trasformato con creazione di nuovo soggetto si manifesta, in sè stessa, “non risolutiva per i fini dell’applicazione della L. Fall., art. 10″ concorda la recente pronuncia di Cass., n. 10302/2020).

Soprattutto, per quanto qui direttamente interessa, la lettura della trasformazione, che assegna tratto comunque connotante al suo comportare una modifica del contratto istitutivo dell'”ente” (salvo il marginale caso sia programmata sin nell’atto costitutivo, nei fatti la trasformazione comporta per definizione una modifica del contratto originario), non suppone – nè implica – che la struttura originaria, quale sussistente prima della trasformazione, non sia più suscettibile di distinta e autonoma considerazione dopo che l’operazione sia avvenuta. Che è quanto risulta, per contro, postulare la lettura cui si affida il ricorrente.

Non sempre, soprattutto, l'”ente” originario viene a dissolversi senza residui nell'”ente trasformato”.

14.- Con specifico riferimento all’ipotesi di trasformazione di una s.r.l. in una comunione di azienda, è invero da mettere in evidenza che in tale fattispecie tipo – come peraltro in numerose altre pure senza dubbio inscrivibili nell’istituto della trasformazione, di cui agli artt. 2498 c.c. e ss. (cfr. già sopra, nel n. 10) – l’operazione in discorso viene a modificare il regime di responsabilità patrimoniale di cui alla precedente struttura giuridica.

Nella fattispecie di trasformazione di s.r.l. in comunione di azienda, in particolare, all’autonomia patrimoniale dell'”ente” originario viene a fare seguito e riscontro – all’effetto dell’avvenuta trasformazione – la sussistenza dei più patrimoni propri degli ex soci coinvolti (e ora comproprietari), con correlato concorso sui patrimoni medesimi dei rispettivi loro creditori particolari.

Ora, è importante esplicitare, a questo proposito, che l’istituto della trasformazione non ha in sè la forza di mutare retroattivamente il regime di responsabilità relativo alla struttura precedente al compimento dell’operazione.

A tacitare ogni eventuale dubbio si possa nutrire al riguardo sta, in ogni caso, la disposizione dell’art. 2500 quinquies c.c., comma 1, laddove ribadisce – per il caso di trasformazione di società con soci illimitatamente responsabili in società con autonomia patrimoniale perfetta – che l’operazione “non libera i soci” (pure la detta norma venendo a predisporre un meccanismo “semplificato” di eventuale liberazione dei richiamati soci da uno o più degli obblighi pregressi, ove nel concreto risulti consentita dai singoli creditori).

Perciò, i creditori di titolo anteriore al verificarsi della trasformazione si avvantaggiano del regime di responsabilità che è proprio della struttura precedente alla detta operazione (salvo, nel caso occorrente, quelli che, per atto di loro autonomia, abbiano liberato i soci illimitatamente responsabili dal pregresso, in tutto o in parte); i creditori di titolo posteriore al compiersi dell’operazione si giovano invece di quello che connota la nuova struttura (a questi risultati, in sè stessi determinanti per il tema della fallibilità della società che si cancella dal registro delle imprese perchè trasformata, approda pure la già citata pronuncia di Cass., n. 16511/2019).

La mera circostanza che, con la trasformazione, i rapporti in essere proseguano con l'”ente trasformato” – su cui insiste in modo particolare il ricorrente – è, in realtà, aspetto che non incide in alcun modo sul regime di responsabilità patrimoniale anteriore e posteriore al compimento dell’operazione.

15.- A tutto ciò consegue, com’è evidente, che il problema della fallibilità dell'”ente” originario (qui dato da una s.r.l.) si pone nel caso di mutamento del regime di responsabilità patrimoniale per effetto dell’avvenuta trasformazione – in termini oggettivamente distinti e autonomi da quello dell’eventuale fallibilità dell'”ente trasformato” (qui, una comunione di azienda).

Che quest’ultimo eserciti, oppure no, attività di impresa è sicuramente rilevante in funzione dell’eventualità di un suo fallimento (ove nel concreto concorrano, naturalmente, anche tutti gli altri presupposti richiesti dalla legge, a muovere da quelli fissati nella L. Fall., art. 1, comma 2), ma non viene a incidere in nulla sulla prospettiva del fallimento dell’ente originario.

Nè, d’altro canto, si scorgono ragioni atte a fare ipotizzare una diversa soluzione: appare del tutto accidentale – nei confronti della pregressa attività svolta dall'”ente” originario (nella specie concreta, data da una s.r.l.) – che gli ex soci, e ora comunisti dell’azienda, vengano a svolgere un’attività di impresa oppure no; come anche che lo faccia taluno di essi (magari prendendo in “affitto” le quote di azienda proprie degli altri comproprietari) da solo ovvero in unione con altri soggetti, estranei alla comunione.

Non appare corretto, in definitiva, considerare la trasformazione (e la connessa disciplina di prosecuzione dei rapporti in essere) nei termini di istituto idoneo a “purgare” una situazione di dichiarabile fallimento dell'”ente” originario.

16.- Ciò posto, è adesso da osservare che, secondo quanto tradizionalmente si ritiene, la figura della trasformazione assolve propriamente a una funzione di riorganizzazione della struttura degli enti, sub specie di semplificazione operativa in termini di passaggi (eliminando, ove ritenuto praticamente possibile e utile, le attività di scioglimento e liquidazione di un ente con contestuale creazione di una nuova struttura) e quindi pure di tempi. Con riferimento puntuale alla fattispecie tipo della trasformazione di società di capitali in comunione di azienda, poi, si nota solitamente come questa operazione sia di per sè destinata a “sostituire” il procedimento di liquidazione di cui agli artt. 2484 c.c. e ss..

Ora, può stimarsi sicuro che, nel vigente sistema normativo, un fenomeno che ha, in sè, sostanza riorganizzativa di enti e strutture – qual è quello in discorso – non può, in termini di principio, “realizzare una causa di sottrazione dell’impresa societaria dalla soggezione alle procedure concorsuali” (per l’esplicitazione di questo rilievo di base si veda, in particolare, la recente pronuncia di Cass., 21 febbraio 2020, n. 4737).

Per produrre un simile risultato occorrerebbe, in altre parole, una norma che espressamente sancisca il risultato della compiuta sottrazione. Norma che, tuttavia, non risulta appartenere al novero di quelle attualmente vigenti.

17.- Secondo quanto emerge pianamente dalla lettura del testo normativo, specifico presupposto di applicazione della disposizione della L. Fall., art. 10 altro non è che la cancellazione dell’imprenditore – “individuale” ovvero “collettivo” – dal registro delle imprese.

Il testo della norma non risulta fare differenze, invero, in ragione del “titolo” per cui, nel concreto, avviene la cancellazione. Non emergono, in particolare, indicazioni atte a sottrarre al destino comune la cancellazione per avvenuta trasformazione, secondo quanto afferma per contro il ricorrente. Determinante, sotto il profilo concreto, si rivela comunque il mutamento di regime di responsabilità patrimoniale, posto che, ai sensi della norma della L. Fall., art. 10, a fallire è l'”ente” originario: da ritenere “esistente” – sotto questo peculiare profilo – allo stesso modo, e negli stessi termini, di una qualunque società cancellata dal registro e dichiarata fallita nel corso dell’anno susseguente.

Ciò posto, per la maggiore chiarezza del discorso è bene anche aggiungere che l’applicazione della norma della L. Fall., art. 10 non presuppone, sempre e necessariamente, che la corrispondente attività di impresa – come già svolta dal soggetto imprenditore di cui si predica la fallibilità ancora per l’anno successivo alla cancellazione dal registro – venga pure a cessare sul piano oggettivo.

Da quest’angolo visuale, l’ipotesi della trasformazione – che comporti un mutamento rispetto al regime di responsabilità patrimoniale proprio dell'”ente” originario – appare per più versi prossima, nella sostanza, alla fattispecie dell’imprenditore che abbia ceduto ad altri l’intera sua azienda, come pure a quella rappresentata dalla scissione totale di una società (per questa seconda ipotesi cfr., in particolare, Cass. n. 4737/2020).

Ha rilevato questa Corte che la norma dela L. Fall., art. 10, là dove precisa il limite temporale entro cui può intervenire la dichiarazione di fallimento, si manifesta funzionale all’obiettivo di “non estendere all’infinito gli effetti di una attività di impresa non più attuale” (Cass., n. 16511/2019). Ora, questa situazione di cessata “attualità” dell’attività ben può ravvisarsi pure nel caso in cui il soggetto più non l’esercita, in ragione del fatto che ha ceduto la relativa azienda ad altri; come pure nel caso in cui sia venuto meno, per sopravvenuta trasformazione, il regime di responsabilità patrimoniale che accompagnava l'”ente” originario (nell’evocare lo stesso concetto di fondo che è stato qui appena espresso, con diversa formulazione la pronuncia di Cass. n. 10302/2020 afferma che la norma dell’art. 10 “presuppone l’intervento di un fenomeno estintivo… della compagine sociale attinta dall’istanza di fallimento”).

18.- Non viene a inficiare la fila delle considerazioni sin qui sviluppata la constatazione che – nella dinamica del suo compiersi l’operazione di trasformazione eterogenea, configurata dal transito di una s.r.l. in una comunione di azienda, risulta soggetta al meccanismo dell’opposizione dei creditori ai sensi dell’art. 2500 novies c.c.

Non è infatti condivisibile l’affermazione del ricorrente, per cui la predisposizione di una simile meccanismo di tutela dei creditori possiede in realtà una valenza sostanzialmente sostitutiva di quella che è rappresentata dallo svolgimento della procedura fallimentare (cfr. sopra, nel n. 7).

19.- Come ha rilevato la sentenza di Cass., 4 dicembre 2019, n. 31654, nel sistema vigente lo strumento dell’opposizione dei creditori risulta porsi non come rimedio “sostitutivo e necessario”, quanto invece solo “aggiuntivo”.

L’assunto è stato formulato con specifico riferimento alla materia della scissione. Non v’è ragione, tuttavia, per cui lo stesso non debba risultare riferibile anche alle altre ipotesi in cui l’ordinamento prevede simile strumento: e così, in particolare, alla materia della trasformazione eterogenea, che qui specificamente interessa.

Del resto, in un sistema in cui la procedura fallimentare non viene rimessa alla disponibilità dei creditori occorrerebbe, in proposito, una apposita disposizione che sancisse la sostituzione di tutela, che è assunta dal ricorrente.

Lo svolgimento del giudizio di opposizione alla trasformazione – è ancora da notare – non può essere considerato in qualche modo “equivalente” a quello dell’esecuzione fallimentare (si pensi, anche solo, alla materia della revocatoria fallimentare).

Sì che, da un lato, la mancata presentazione dell’opposizione non potrebbe mai essere intesa come manifestazione rinunciativa del potere di presentare l’istanza di fallimento ovvero la domanda di insinuazione al passivo. Dall’altro, e soprattutto, l’assunta sostituzione dell’opposizione al fallimento comporterebbe – per la categoria dei creditori anteriori alla trasformazione – una diminuzione di tutela (rispetto alla comune posizione dei creditori di impresa) tale da potersi anche dubitare della legittimità costituzionale di una soluzione di questo genere.

Con specifico riferimento alla trasformazione in comunione di azienda, si deve poi anche rimarcare che, secondo quanto si ritiene in letteratura, anche i creditori personali ai soci divenuti comproprietari dell’azienda sono legittimati a proporre opposizione.

20.- A conclusione dell’analisi dei motivi dal secondo al quinto compresi, vanno dunque espressi i seguenti principi di diritto.

L’istituto della trasformazione, di cui agli artt. 2498 c.c. e ss., ricomprendendo in sè una congerie di figure diverse e anche molto dissimili tra loro, non si presta a una ricostruzione unitaria delle tematiche che le singole figure vengono a proporre.

La trasformazione di una società di capitali in una comunione di azienda presenta la caratteristica propria di dare tra l’altro vita a un fenomeno di circolazione di diritti, dato che la comunione di azienda non è considerata dall’ordinamento in termini di autonomo soggetto di diritti.

I creditori di titolo anteriore alla cancellazione dell'”ente originario” si avvantaggiano del regime di responsabilità proprio della relativa struttura. A tale regime rimane ancorata, di conseguenza, la fallibilità dell'”ente originario”, che l’intervenuta trasformazione non è idonea a impedire.

In caso di trasformazione, la norma dell’art. 10 trova comunque applicazione nei confronti dell'”ente originario”. La soggettività fallimentare di questo ente non è diversa da quella che viene riconosciuta a una qualunque società cancellata dal registro e dichiarata fallita nel corso dell’anno successivo.

Lo strumento di tutela dei creditori dato dall’opposizione, che è previsto dalla legge in relazione alle operazioni di trasformazione, non può in alcun modo considerarsi sostitutivo di quello rappresentato dal fallimento, posto che, per la categoria dei creditori anteriori alla trasformazione, appronta una tutela di intensità sensibilmente inferiore.

21.- Fermate queste considerazioni, si può ora procedere all’esame del primo motivo di ricorso (cfr. sopra, nn. 5 e 8).

22.- Il motivo non merita di essere accolto.

Posto che l’istruttoria L. Fall., ex art. 15 ha nel concreto riguardato la società a responsabilità limitata (OMISSIS), non può essere oggettivamente dubbio che questa specifica società ne sia l’interlocutore proprio e naturale: al pari di ogni altra ipotesi, pur quando si tratti di impresa ormai cessata e/o di società ormai cancellata (per il rilievo che, nel termine annuale dall’avvenuta cancellazione dal registro, la società non perde la propria capacità processuale v., tra le molte altre, la pronuncia di Cass., 1 marzo 2017, n. 5253).

Le considerazioni sopra svolte assicurano, poi, che – rispetto a questa impostazione – nulla viene a mutare la circostanza che la società in discorso abbia, a un certo punto della propria esistenza, stabilito di trasformare la propria forma giuridica da società di capitali in comunione di azienda.

Quanto poi all’accostamento proposto con la fattispecie della fusione per incorporazione, che è stato presentato dal ricorrente, è da rilevare che – nel caso appunto di una società di capitali che viene a trasformarsi in una comunione di azienda – si assiste a un fenomeno strutturalmente diverso, e assai lontano, da quello che è proprio della fusione per incorporazione: sì che mancano proprio le basi per postulare una identità, ovvero una somiglianza, di regime disciplinare in proposito.

Nel caso di trasformazione in comunione di azienda – mancando quest’ultima di uno statuto in termini di propria soggettività – le posizioni di diritto e di obbligo, che fanno perno sulla società della cui trasformazione si discute, – vengono direttamente a “proseguire” in capo agli ex soci (su questi aspetti v. ampiamente sopra, specie nel n. 12). Cosa che indubbiamente non viene a verificarsi nel caso di fusione per incorporazione: dove è l’incorporante – e non certo i suoi soci – ad “assumere” le relative posizioni di diritto e di obbligo.

23.- Resta da aggiungere – con immediato riferimento alla seconda sub-censura esposta dal ricorrente (cfr. nel n. 5, ultimo capoverso) – che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il fatto che si verta in ipotesi di istruttoria prefallimentare relativa a una società cancellata non altera in alcun modo l’iter procedimentale segnato dalla L. Fall., art. 15, comma 3, (Cass., 12 giugno 2020, n. 11356).

24.- In conclusione, il ricorso è da rigettare.

Le spese del giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 6.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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