Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23171 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. I, 22/10/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 22/10/2020), n.23171

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

A.A., rappr. e dif. da se stesso e dagli avv. Modestino

Acone, Pasquale Acone e Modestino Rosa elett. Dom. presso Maria

Teresa Acone, in Roma, via Buccari n. 3, come da procura a margine

dell’atto;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore fallimentare pro

tempore;

C.B.;

B.S., S.C., S.M. (EREDI DI

S.R.);

CO.MA.;

F.G., F.I. E V.A.M.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza App. Salerno 17.4.2018, n. 493 rep.

477/2018 in R.G. 288/2013 e 396/2013;

vista la requisitoria del Procuratore Generale, in persona del

sostituto P.G. Dott. De Matteis Stanislao, che ha concluso per il

rigetto del ricorso;

vista la memoria del ricorrente;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 10.7.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A.A. impugna la sentenza App. Salerno 17.4.2018, n. 493 rep. 477/2018, resa sulle cause riunite in R.G. 288/2013 e 396/2013, che, respingendo il suo appello incidentale, nonchè gli appelli in via principale di C.B. e CO.MA. avverso la sentenza Trib. Salerno 14.2.2013, ha: a) dichiarato estinto il giudizio d’appello verso CO.MA. e FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. (FALLIMENTO); b) dichiarato il difetto di legittimazione passiva di F.G., F.I. E V.A.M.; c) condannato, per quanto qui rilevante, A. stesso in solido con C. al pagamento delle spese di lite verso il fallimento;

2. la corte ha premesso che: a) il fallimento aveva promosso azione di responsabilità ai sensi degli artt. 2393,2394 c.c. e L. Fall., art. 146 nei confronti di F.A.A., A.A., C.B., Co.Ma. e S.R., quali amministratori della società (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita con sentenza Trib. Salerno 24.4.1987, chiedendone la condanna risarcitoria per danni, quantificata in 2 milioni di Euro; b) nel giudizio si costituivano, chiedendo il rigetto anche nel merito, Co.Ma. (eccependo la competenza del giudice del lavoro, il vizio del decreto autorizzatorio del giudice delegato, la prescrizione), C.B. (eccependo la prescrizione, il difetto di accertamento definitivo della responsabilità penale, per impugnazione in corso della relativa condanna), S.R. (eccependo la prescrizione, l’inefficacia in sede civile del patteggiamento) e A.A. (eccependo che il fallimento, costituitosi parte civile nel giudizio penale nel quale era imputato per i reati di cui alla L. Fall., artt. 216,219 e 223, non aveva impugnato il proscioglimento, così decadendo dal poter agire in sede civile autonoma, nonchè contestando di essere stato amministratore di fatto); c) il tribunale riconosceva la responsabilità di F.A.A. (rimasto contumace), S.R. e A.A., condannati in solido per 85.308,95 Euro ed analoga condanna, ma per 623.544,74 Euro, era resa verso C.B. e Co.Ma.; d) appellavano in via principale, censurando comunque il fondamento della responsabilità, Co.Ma. (anche per la prescrizione, nonchè la valenza in sede civile della sentenza penale di prescrizione), C.B. (anche per prescrizione, erronea utilizzazione delle risultanze del giudizio penale) e in via incidentale A.A. (in adesione agli appelli principale, nonchè invocando prescrizione, effetto a sè favorevole del proscioglimento penale, erroneità della C.T.U., difetto di legittimazione del fallimento, vizi dell’atto autorizzatorio del giudice delegato, prescrizione anche dell’obbligazione solidale risarcitoria verso gli altri convenuti; e) espletata istruttoria, anche con integrazione di C.T.U., venivano dichiarate la contumacia di S.R., l’estinzione del processo fra Co.Ma. e il fallimento (per rinunzia accettata), il difetto di legittimazione passiva di F.G. e F.I. (per avere rinunciato all’eredità del genitore F.A.) e di V.A.M. (per venuta meno del vincolo matrimoniale ex L. n. 898 del 1970, con F.A.).

3. la corte, trattando in modo congiunto gli appelli di C. e A., ha ritenuto che: a) l’azione unitariamente promossa dal curatore, a contenuto inscindibile ove egli faccia valere la responsabilità tanto verso la società che verso i soci, comprende anche il danno da reato, e per essa può aversi sia un titolo contrattuale che extracontrattuale; b) ove il curatore agisca per il risarcimento del danno da reato, la prescrizione decorre secondo i termini più lunghi di cui all’art. 2947 c.c., comma 3, applicandosi la regola in caso di coincidenza dell’illecito dedotto in giudizio con il fatto-reato, senza necessità che coincidano altresì i rispettivi interessi protetti, laddove nella specie ricorreva il termine di 15 anni per il contestato delitto di bancarotta L. Fall., ex art. 216, comma 1, artt. 223 e 219; c) ad analoga conclusione può pervenire il giudice civile ove accerti incidenter tantum il medesimo fatto-reato, circostanza provata, restando irrilevante la pronuncia di estinzione del reato emessa verso gli imputati-appellanti, resa per prescrizione; d) quanto alla prescrizione per l’azione art. 2394 c.c. essa decorre da quando il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i debiti, presumendosi il dies a quo nella sentenza di fallimento e salvo prova contraria di una data anteriore nella specie non integrata, mentre per l’azione sociale la decorrenza si ha da quando il danno diventi oggettivamente percepibile all’esterno, restando sospesa dalla vigenza di carica degli amministratori; e) con la costituzione di parte civile nel processo penale, in data 19.11.1999 il curatore interrompeva il termine di prescrizione rispetto alla dichiarazione di fallimento del 29.4.1987, un effetto mantenutosi, quanto ad A., sino al 10.7.2002 (pronuncia di nullità del decreto di rinvio a giudizio) e poi fino alla sentenza GUP Trib. Salerno di non doversi procedere per prescrizione (irrevocabile dal 3.1.2003), conseguendone la tempestività dell’iniziativa assunta dal fallimento nel 2004; f) nel merito, era pacifico che A. aveva rivestito la carica (insieme a F. e S.) dal 27.6.1980 al 30.6.1983, così rispondendo dei danni cagionati alla società, desumibili dalle risultanze di relazioni L. Fall., ex art. 33, C.T.U. nella procedura fallimentare e nel giudizio civile, rivalutazione dei giudizi penali; g) nessun vizio atteneva allo svolgimento della C.T.U. in appello, non avendo gli amministratori cooperato per l’inoltro della documentazione sollecitata, così essendosi svolte le operazioni peritali solo su quella disponibile rispetto al quadro contabile, in particolare gli atti messi a disposizione dal curatore e risultando alfine, oltre ad irregolarità e anomalie nella tenuta delle scritture, specifici atti di mala gestio quali sconti sui listini del nuovo abbondantemente oltre soglia con danno perpetrato tra gennaio 1982 e luglio 1985 per complessivi 708.853,69 Euro, alla luce di criteri di correlazione diretta fra singole voci e danno concreto e pur senza che sia stato possibile giungere a determinare l’incidenza degli oneri fiscali sulle vendite; f) era infondata la censura di nullità dell’atto di citazione ex art. 164 c.p.c., stante la sua genericità e considerando la costituzione del convenuto, così come quella sul vizio di autorizzazione del giudice delegato, per ammissione al contrario dell’avvenuta circostanza e comunque riscontro di atto del 14.4.2004; g) la questione della responsabilità solidale era conseguentemente assorbita;

4. il ricorso principale è su tre motivi; il ricorrente ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo contesta, in via cumulativa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 la violazione dell’art. 2947 c.c., comma 3, la nullità della sentenza e il vizio di motivazione, laddove la sentenza non ha accertato l’identità del fatto-reato (per come al ricorrente imputato) con quello elevato dal curatore a condotta foriera di responsabilità civilistica, difettando anche i presupposti soggettivi e la specifica riferibilità al ruolo svolto in seno all’organo amministrativo;

2. con il secondo motivo, ancora in via cumulativa, si adduce la violazione dell’art. 2947 c.c., comma 3 e art. 2394 c.c., la nullità della sentenza e il vizio di motivazione, non avendo considerato la sentenza che, anche nell’ipotesi di termine di prescrizione allungato, comunque non vi era stato valido atto interruttivo nel quindicennio dal fatto, posto che comunque già nel bilancio 1982 vi era un’insufficienza patrimoniale;

3. con il terzo motivo, articolato come i precedenti, è invocata la violazione degli artt. 2697,2393,2394 c.c. e art. 116 c.p.c., oltre che nullità della sentenza e vizio di motivazione, non avendo dato conto la sentenza acriticamente recependo la C.T.U. – delle ragioni dell’anomalia della scontistica praticata sulle vendite, specie se riguardata ex ante, dunque non risultando imprudenza o avventatezza;

4. premette il Collegio che ciascuno dei tre motivi – come puntualmente rilevato dallo stesso Procuratore generale – esprime un comune profilo di inammissibilità, laddove il relativo ampio e poco specifico svolgimento s’infrange sul principio, qui ribadito, per cui “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass. 26874/2018);

5. quanto al primo motivo e per gli altri profili, per come proposto, non emerge la supposizione di non coincidenza fra il fatto-reato e il fatto presupposto nell’attribuzione di illiceità civile della condotta ascritta al ricorrente come amministratore; si tratta di censura anche specificamente inammissibile, in base ai nuovi limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 8053/2014), perchè, per un verso, essa si sostanzia in una mera critica della motivazione, laddove la pronuncia è pervenuta ad un giudizio di coincidenza descrivendo la gestione sociale contraria alla correttezza amministrativa e contabile, sostenuta da irregolarità formali e sostanziali in punto di partitari delle vendite ai privati e ai rivenditori e dannosa per via dei minori prezzi senza giustificazione praticati rispetto alla scontistica anche vagliata secondo le duplici soglie di negligenza; si tratta di fattispecie che, anche nel merito e per altro verso, non solo appare sufficientemente indicata come interamente connessa ai capi d’imputazione richiamati per le vicende penali cui era stato attinto il medesimo ricorrente, ma è il frutto di una ricostruzione perseguita nel giudizio civile secondo le autonome regole di accertamento;

6. va così aggiunto che proprio il mancato esito condannatorio della pronuncia penale, culminata in una mera declaratoria di prescrizione, permette la valorizzazione del principio, comunque rispettato nella vicenda, per cui “all’azione risarcitoria si applica l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato (art. 2947 c.c., comma 3, prima parte) perchè il giudice, in sede civile, accerti “incidenter tantum”, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi” (Cass. s.u. 27337/2008, Cass. 24988/2014, Cass. 2350/2018); nè infatti il ricorrente ha riportato quando, con quale ritualità e in che termini, nel giudizio di merito avrebbe contrapposto alternativi elementi di condotta riducenti l’apporto causale della sua partecipazione, come amministratore del periodo e quindi coautore della citata gestione dannosa, rivelandosi la censura inammissibile altresì per difetto di specificità;

7. il secondo motivo è, anch’esso nei residui profili, inammissibile avendo correttamente la corte, dopo aver richiamato l’inscindibile unitarietà dell’azione promossa dal curatore (Cass. 23452/2019), collocato l’epoca del fatto cui commisurare la decorrenza a ritroso della prescrizione dalla dichiarazione di fallimento, come consentito per il difetto di riscontri più puntali di anteriore risultanza dell’insufficienza patrimoniale di cui all’art. 2394 c.c. in capo ai creditori sociali; vi è stata dunque coerenza con il principio per cui essa “decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui alla L. Fall., art. 5, derivante, “in primis”, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa” (Cass. 24715/2015); il richiamo, in questa sede, ai risultati di bilancio del 1982 non è assistito da alcuna autosufficiente rappresentazione, stante il riferimento del tutto generico e dunque l’apparenza di novità della questione;

8. il terzo motivo, anch’esso per i residui profili, è inammissibile, risolvendosi in una impropria critica della sola motivazione, sia dove la sentenza in realtà ha qualificato siccome affetta da negligenza priva di giustificazione ed ex ante la rilevante scontistica sui prezzi di listino nei termini stigmatizzati, sia dove ha condiviso e recepito le risultanze non solo della C.T.U. (dopo aver dato conto dei limiti ed anzi dei rifiuti di cooperazione tenuti dalla parte), ma anche di altri documenti omogeneamente illustrativi della mala gestio (quali le relazioni curatoriali L. Fall., ex art. 33, la prima C.T.U. affidata dal giudice delegato) e rispettivamente non idoneamente contestati nella presente sede; può così ribadirsi che “in tema di responsabilità dell’amministratore di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata, l’insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (cd. “business judgement rule”) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia “ex ante”, secondo i parametri della diligenza del mandatario, alla luce dell’art. 2392 c.c., – nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla novella introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003 – sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere” (Cass. 15470/2017);

ne consegue che il ricorso è inammissibile; sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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