Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23170 del 08/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/11/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 08/11/2011), n.23170

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21163-2008 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POLLIA

23 29, presso lo studio dell’avvocato SASSI FRANCESCO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, EMANUELE DE ROSE, TADRIS PATRIZIA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1487/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 30/08/2007 R.G.N. 766/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2011 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato SASSI FRANCESCO;

udito l’Avvocato CORETTI ANTONIETTA per delega TADRIS PATRIZIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine

il rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Catanzaro, in riferma della decisione di primo grado, censurata dall’INPS, ha rigettato la domanda proposta da M.G. per ottenere, quale lavoratrice agricola, l’indennità di maternità con riferimento a un parto del 21 giugno 1992, ritenendo non provata l’effettività del rapporto di lavoro subordinato assunto dalla odierna ricorrente come intercorso con la propria madre, R. M., a decorrere dal mese di febbraio 1992.

Per la cassazione di questa sentenza M.G. ha proposto ricorso fondato su un unico, articolato motivo.

L’INPS resiste con controricorso.

Motivazione Semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La ricorrente, nell’unico, articolato motivo deduce, contestualmente: A) violazione dell’art. 2094 c.c., art. 2099 c.c., comma 4, artt. 2107 e 2110 c.c.; B) difetto di motivazione,per carenza, contraddittorietà e insufficienza; C) mancata osservanza della legge processuale in ordine alla motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 118 c.p.c., comma 1); D) nullità della sentenza per omessa pronuncia, ovvero mancata corrispondenza tra “il chiesto e il pronunciato” e per mancata esposizione dei motivi di diritto della pronuncia (violazione art. 112 c.p.c., e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4): E) nullità della sentenza per omesso esame degli elementi probatori e documentali su punti decisivi (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

2. In particolare, sostiene che la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto indimostrata la validità del rapporto lavorativo intercorso con la propria madre, R. M., sarebbe frutto di “gratuite congetture”, perchè smentita da puntuali, paci fiche risultanze probatorie; sarebbe, altresì, carente per non aver considerato il rapporto di lavoro subordinato precedentemente intercorso – dal settembre 1991 e il dicembre 1991, per 51 giornate – con il proprio padre, M.V., benchè (anche) su questo rapporto fosse stata fondata la domanda e lo stesso risultasse dalle prove testimoniali e dall’attestazione rilasciata il 4 marzo 1997 dalla Direzione provinciale de lavoro. Contesta, inoltre, alla Corte di merito di essere incorsa in palese error in procedendo per non essersi pronunciata sul detto rapporto di lavoro.

3. Osserva, preliminarmente la Corte che è inammissibile la censura di mancata considerazione del rapporto di lavoro (asseritamente) intercorso con M.V. perchè proposta, contraddittoriamente, nell’unico motivo, sia sotto il profilo di vizio di motivazione, sia sotto il profilo dell’omessa pronuncia.

4. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti (vedi Cass. n. 15882 del 2007, n. 12952 del 2007) è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il secondo presuppone. invece, l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione e va denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Senza dire che, per quanto risulta dagli atti di causa, nel suo ricorso in appello l’INPS ebbe a premettere che il solo rapporto lavorativo rilevante ai fini della richiesta prestazione previdenziale era quello allegato dalla M. come intercoso con la madre a decorrere dal febbraio 1992 e tale preliminare rilievo non fu contrastato dall’appellata che, infatti, nella memoria difensiva, si limitò a contestare l’asserito (dall’INPS) difetto di prova della esistenza e della durata del rapporto in parola, senza menzionare il precedente, e riproporre, come necessario, le questioni allo stesso relative. Correttamente, quindi, la sentenza impugnata ha limitato la propria valutazione alla sola attività lavorativa espletata dalla M. nel 1992 a favore della madre.

5. Con riferimento, infine, ai denunciati vizi di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nella valutazione delle prove (dichiarazioni rese direttamente dalla M. agli Ispettori dell’INPS e deposizioni delle testi C., S. e Ra.) – valutazione in esito alla quale il giudice d’appello ha ritenuto non raggiunta con certezza la dimostrazione, da parte dell’interessata, della validità del rapporto con R.M. e, altresì, del tutto indimostrato il requisito consistente nel numero di giornate effettivamente lavorate – l’operato della Corte di merito deve ritenersi in tutto conforme all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte la quale, in materia di attività lavorativa agricola prestata in ambito familiare e soprattutto quando l’esistenza di un rapporto subordinato sia contestata dall’INPS con la produzione in giudizio di verbali ispettivi recanti dichiarazioni dello stesso lavoratore interessato, esige che la parte che rivendica in giudizio diritti a prestazioni previdenziali derivanti da un tale rapporto fornisca una prova rigorosa del numero di giornate lavorate nell’anno (almeno 51) nonchè della sussistenza della subordinazione e della onerosità; precisando, quindi, che, a tal fine, non è sufficiente la dimostrazione dell’avvenuta esecuzione della prestazione lavorativa, ma devono essere forniti elementi idonei a far risultare l’esistenza di un nesso di corrispettività tra la prestazione in parola e quella retributiva (come entrambe caratterizzate dalla obbligatorietà), nonchè l’esistenza di quel tanto di direttive e controlli che valgano a differenziarla dal lavoro autonomo, pur se in quadro di maggiore elasticità degli orari e di altre modalità (vedi, da ultimo, Cass. 12551 del 201 1, n. 9043 del 2011, n. 26816 del 2008).

6. In realtà, le indicate censure non evidenziano lacune o vizi logici dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata, tali da rendere la decisione priva di razionale giustificazione, ma si risolvono, attraverso la messa in discussione del giudizio relativo della incertezza del quadro probatorio relativo alla effettività del dedotto rapporto di lavoro subordinato (tra l’altro nessuna specifica critica è rivolta all’affermazione della sentenza d’appello relativa alla mancata dimostrazione del numero di giornate lavorate), in critiche strumentali a una revisione del merito del convincimento del giudice e, per ciò stesso, devono ritenersi inammissibili, in quanto incompatibili con il sindacato di (sola) legittimità proprio del giudizio di cassazione.

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

8. Nulla deve disporsi per le spese del giudizio di cassazione ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 269 del 2003 (convertito dalla L. n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2011

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