Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2317 del 26/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 26/01/2022, (ud. 25/11/2021, dep. 26/01/2022), n.2317

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5349-2016 proposto da:

CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DI BARI, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA BUCCARI 3, presso lo studio dell’avvocato PIETRO AUGUSTO

DE NICOLO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALESSANDRO DE FEO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2897/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 14/12/2015 P.G.N. 2381/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/11/2021 dal Consigliere Dott.ssa TRICOMI IRENE.

 

Fatto

RITENUTO

1. La Corte d’Appello di Bari ha rigettato l’appello proposto dal Consorzio A.S.I. per lo Sviluppo Industriale di Bari nei confronti di G.I. avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale della stessa città, che aveva rigettato l’opposizione proposta dal Consorzio al decreto ingiuntivo emesso in favore della lavoratrice.

2. A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva il buon diritto della lavoratrice alla percezione degli arretrati, sulla base delle due deliberazioni consortili, l’una del 5 luglio 1991, n. 188 (adottata all’epoca in cui era ancora ente pubblico, di attribuzione ai propri dipendenti delle qualifiche e dei corrispondenti parametri e livelli retributivi-funzionali in base agli accordi nazionali di cui il D.P.R. n. 268 del 1987 aveva imposto l’applicazione, con rinvio a successivi provvedimenti esecutivi per la determinazione del maturato economico di ciascuno) e l’altra del 2 dicembre 1991, n. 276 (adottata dal Consorzio dopo la sua trasformazione, il 24 ottobre 1991, in ente pubblico economico, di ricostruzione, sul diretto richiamo della prima deliberazione, del maturato economico spettante alla lavoratrice).

Questa seconda ne aveva tuttavia escluso il pagamento degli arretrati anteriori al 1 luglio 1988, in applicazione della condizione ostativa posta dal Co.Re.Co. con presa d’atto 30 ottobre 1991 (nel resto recante parere favorevole alla prima deliberazione consortile), peraltro dichiarata illegittima con sentenza 2093/2003 del Tar Puglia, passata in giudicato, con conseguente disapplicabilità, in parte qua, dal giudice ordinario competente sul rapporto per la soggezione all’ordinario regime privatistico del Consorzio A.S.I. divenuto ente pubblico economico, senza necessità di una distinta ed autonoma impugnazione, erroneamente ritenuta dal primo giudice.

3. Il Consorzio A.S.I. ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste la lavoratrice con controricorso, assistito da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso il Consorzio ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e, in particolare, di tutte le norme che disciplinano natura ed effetti della sentenza amministrativa nonché di tutte le norme che disciplinano natura e poteri dell’ente pubblico ovvero dell’ente pubblico economico nell’esercizio di poteri amministrativi.

2. Il motivo non è fondato.

Analoga questione è già stata esaminata da questa Corte con la sentenza n. 6178 del 2016, alla quale, richiamandone la motivazione, si intende dare continuità.

Esattamente la Corte territoriale ha ritenuto sussistere il diritto della lavoratrice alla ricostruzione della carriera sotto il profilo giuridico-economico in virtù della prima deliberazione consortile, rinviante ad altre successive per la concreta determinazione conseguente. Ma la realizzazione di tale volontà “incontrò un ostacolo nella presa d’atto condizionata del Coreco il quale aveva posto la condizione che gli arretrati non dovessero avere decorrenza anteriore al 1 luglio 1998. Una volta espunta tale condizione, per effetto della sentenza del Tar Puglia” (neppure prodotta, con conseguente violazione del principio di autosufficienza del ricorso) “la prima delibera ha ripreso tutto il suo vigore” (così al terzo e quarto capoverso di pg. 6 della sentenza).

L’effetto di annullamento della condizione ostativa del Co.Re.Co. si riflette sulla deliberazione consortile, che l’aveva assunta quale presupposizione: sicché essa cade una volta venuto meno l’atto condizionante, posto che l’esclusione degli arretrati era stata esplicitamente giustificata dalla predetta condizione, operante come presupposto di fatto imprescindibile nella formazione della volontà negoziale dell’ente (Cass. 18 settembre 2009, n. 20245).

L’indagine diretta all’identificazione della sussistenza di una presupposizione costituisce accertamento riservato all’apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se sorretto da una motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. Il marzo 2006, n. 5390): come, appunto nel caso di specie, per le ragioni illustrate.

3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, nella misura in cui la Corte d’Appello non si è pronunciata né ha esaminato la circostanza che la dipendente avesse arbitrariamente effettuato conteggi soggettivi ed unilaterali operando una autonoma ed illegittima “correzione ed integrazione” della Delib. n. 265 del 1991.

4. Il motivo è inammissibile.

Per consolidato orientamento di questa. Corte, riaffermato anche di recente (Cass. n. 743 del 2017; n. 32436 del 2018; n. 32437 del 2018; da ultimo: n. 24091 del 2020: n. 23541 del 2020, n. 1562 del 2021): “Nell’ipotesi di “doppia conforme”. prevista dall’art. 348-ter, comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal citato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) -deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass. sez. un. 21/09/2018, n. 22430). Proprio tale situazione si è verificata nei gradi di merito di questo giudizio, atteso che la Corte d’Appello ha confermato il percorso argomentativo del Tribunale.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022

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