Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23169 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. I, 22/10/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 22/10/2020), n.23169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

B.L., B.M., M.R., rappr. e dif. dagli

avv. Carlo Rondelli, e Nicola di Pierro, elett. dom. presso lo

studio del secondo, in Roma, via Tagliamento n. 55, come da procura

in calce all’atto;

– ricorrente –

Contro

CASSA DEI RISPARMI DI FORLI’ E DELLA ROMAGNA s.p.a., (Cariromagna

s.p.a.), in persona di procuratore speciale, rappr. e dif. dagli

avv. Stefano Molza, e Dario Martella, elett. dom. presso lo studio

del secondo, in Roma, Largo di Torre Argentina n. 11, come da

procura in calce all’atto;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza App. Bologna 30.11.2015, n. 1971

rep. 1840/2015 in R.G. 1119/2010;

viste le memorie delle parti;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro, alla camera di consiglio del 10.7.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. B.L., B.M., M.R. impugnano la sentenza App. Bologna 30.11.2015, n. 1971 rep. 1840/2015 in R.G. 1119/2010, che, in accoglimento parziale dell’appello di CASSA DEI RISPARMI DI FORLI’ E DELLA ROMAGNA s.p.a. (CARIROMAGNA S.P.A.) avverso la sentenza Trib. Forlì 27.1.2010, n. 55, ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto quadro concluso fra le parti il 17.7.1998, condannando i ricorrenti alla restituzione di 87.608,69 Euro nel frattempo percepiti in esecuzione della sentenza riformata;

2. la corte ha premesso che: a) il tribunale, in accoglimento della domanda svolta ex art. 1453 c.c., dichiarava risolto – grave inadempimento degli obblighi d’informazione ai sensi del TUF e delle disposizioni CONSOB – il citato contratto quadro per la negoziazione di strumenti finanziari, eseguito dalla banca mediante acquisto in favore dei clienti attori di obbligazioni emesse dall'(OMISSIS) e di bonds Cirio nel periodo (OMISSIS) per la somma di Euro 83.563,53; b) con la sentenza, la banca era condannata a restituire agli attori Euro 73.288,94, pari al capitale investito al netto delle cedole incassate, oltre agli interessi dalla domanda al saldo;

3. la corte ha ritenuto che: a) gli appellati non avevano riproposto la domanda di nullità e annullamento del contratti d’investimento, già dichiarata non fondata dal tribunale; b) la restituzione dei titoli effettuata dagli appellati, chiesta dalla banca appellante sul presupposto di omessa pronuncia di tale obbligo nel solo dispositivo della sentenza di primo grado, non equivaleva ad una accettazione tacita di tale sentenza, ma solo alla realizzazione, in capo alla banca, di un proprio diritto ove fosse stata effettivamente confermata la sentenza poi impugnata, “accettazione” estranea ad una transazione; c) la banca, pur dando corso in un biennio ad investimenti indirizzati a clienti di “alto profilo di rischio”, non aveva dato prova di avere ottemperato agli obblighi informativi delle caratteristiche delle obbligazioni ed in particolare della loro natura speculativa, non apparendo a tale fine sufficiente, all’atto della sottoscrizione del contratto quadro, la mera consegna del “documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari” secondo il testo CONSOB; d) tuttavia, il riconoscimento della “adeguatezza” dell’investimento ai sensi dell’art. 29 Regolamento CONSOB (11522/1998), rispetto al citato profilo del cliente, rendeva presumibile che questi l’avrebbe accettato anche se provvisto delle mancate informazioni specifiche, circostanza che sottraeva gravità all’inadempimento e nesso causale al suo rapporto con il danno dedotto; e) la stessa composizione del portafoglio dei clienti, che si erano rifiutati di fornire informazioni su situazione finanziaria e propensione al rischio, non esonerava la banca dal valutare l’adeguatezza dell’investimento oggetto d’incarico ma andava riguardata come circostanza significativa dell’orientamento non conservativo del capitale investito; f) ne conseguiva che, tenuto conto dell’epoca delle operazioni rispetto ai default dell'(OMISSIS) e del gruppo Cirio (rispettivamente (OMISSIS) e fine (OMISSIS)), le singole operazioni non erano inadeguate.

4. il ricorso è su tre motivi; ad esso resiste con controricorso la banca; entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo contesta la violazione dell’art. 1965 c.c., avendo riguardo all’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 laddove ha errato la corte nell’escludere che tra le parti fosse intervenuta, nelle more dei termini di appello, una transazione, eseguita da entrambe e, da ultimo, dai ricorrenti con la restituzione dei titoli, secondo un testo che, tra l’altro, prevedeva la rinuncia da parte della banca all’impugnazione nella più generale definizione di ogni reciproca pretesa e contestazione;

2. con il secondo motivo si censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per plurime violazioni di T.U.F. (art. 21), nonchè Regolamento CONSOB 11552/1998 (artt. 26, 28-29), nonchè artt. 1218 e 1455 c.c., ove ha riconosciuto l’inadempimento informativo della banca, salvo neutralizzarne gli effetti per via di un’adeguatezza dell’investimento, così escludendo sia la sua gravità che il nesso causale con ogni danno;

3. il terzo motivo censura la sentenza, ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per le precedenti violazioni, nonchè artt. 2697,2727 e 2729 c.c. e D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 4 laddove essa ipotizza, sulla scorta degli investimenti pregressi (non altrimenti descritti, quanto ad accettazione), che i ricorrenti avrebbero operato le medesime operazioni di rischio contestate anche se debitamente informati, nonostante sul punto siano mancate allegazioni e prove in giudizio da parte della banca, comunque difettando la consapevolezza di quella natura;

4. il primo motivo è infondato; il giudice di merito ha ricostruito la reciproca “corrispondenza” fra le parti, conseguente alla pronuncia di primo grado, quale accordo imperniato sul pagamento, da parte della banca, dell’importo di condanna ivi statuito e “contestuale restituzione dei titoli”; le rispettive allegazioni e produzioni nel presente giudizio non smentiscono la circostanza del pagamento pressochè immediato ad opera della banca e della consegna dei titoli, da parte dei ricorrenti, per nulla contestuale (avvenuta oltre un mese dopo), allorchè la banca, per non incorrere in decadenza, già aveva notificato l’appello, nel termine breve determinato dalla subita notifica della pronuncia stessa; la censura s’infrange allora nel principio, correttamente seguito dalla corte, per cui “l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, atteso che successivamente è possibile solo una rinunzia espressa all’impugnazione, da effettuarsi nelle forme previste dalla legge) consiste nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, manifestazione che può avvenire in forma espressa o tacita, in quest’ultimo caso estrinsecandosi in atti o comportamenti dai quali sia possibile desumere in maniera precisa ed univoca il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia; la valutazione di tali atti o comportamenti da parte del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità se assistita da congrua motivazione” (Cass. 5074/2000); così come, è stato ribadito, “la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado non comporta di per sè acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi del disposto di cui all’art. 329 c.p.c., e può risultare fondata anche sulla mera volontà di evitare le eventuali, ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione” (Cass. 4537/2011);

5. il secondo e terzo motivo, riuniti in trattazione perchè connessi, sono fondati; di essi, si premette, va selezionato il nucleo afferente alla violazione di legge, dato che il quadro normativo di riferimento, ratione temporis, concerne – con i rinvii di contenuto alle Delib. Consob 1 luglio 1998, n. 1522, artt. 28 e 29 – il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 21; questo prevede, per quanto qui d’interesse, che “Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”; a sua volta l’art. 28 Reg. CONSOB cit. introduce una serie di obblighi di informazione nella relazione tra intermediari e investitori, per cui “1. Prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell’inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono: a) chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonchè circa la sua propensione al rischio. L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo art. 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore; b) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’Allegato n. 3 2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”;

6. nella presente controversia, ai fini attuali di causa, appare pacifico che: a) la domanda di nullità del contratto quadro concluso fra le parti il 17.7.1998, e sulla cui base gli acquisti sarebbero stati compiuti, è stata rigettata dal tribunale, al pari di quella di annullamento, la corte d’appello ne ha rilevato il passaggio in giudicato e su tale parte la sentenza non è censurata; b) nella specie, i ricorrenti si sarebbero rifiutati di fornire informazioni sulla propria situazione finanziaria oltre che sulla rispettiva propensione al rischio, anche per tale parte non risultando impugnata la sentenza; c) è infine incontroverso che vi è stata omissione, da parte della banca, dell’obbligo di informazione dei clienti circa le caratteristiche dei titoli, in particolare della loro attitudine speculativa, stante la ritenuta insufficienza della consegna del solo documento sui rischi cd. generali;

7. la ratio assolutoria dell’intermediario, ciononostante assunta in sentenza, va dunque confrontata con i principi giurisprudenziali maturati in materia avendo riguardo alla adeguatezza anche soggettiva delle operazioni in concreto effettuate, per conto degli investitori, quanto ad oggetto e tipologia di profilo emerso; sul punto, Cass. 7905/2020 ha condivisibilmente precisato che “in tema di distribuzione dell’onere della prova nei giudizi relativi a contratti d’intermediazione finanziaria… alla stregua del sistema normativo delineato dal D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e 23 (TUF) e dal Reg. Consob n. 11522 del 1998, l’inadempimento dei doveri informativi da parte della banca intermediaria costituisce di per sè un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento e ingenera una presunzione di riconducibilità alla banca intermediaria della responsabilità dell’operazione finanziaria. Tale condotta omissiva, pertanto, viene considerata normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore, il che, tuttavia, non esclude la possibilità di una prova contraria da parte dell’intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze capaci di deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria informativa” (conf. Cass. 3914/2018, 24142/2018); e, si è aggiunto, “tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perchè anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati”;

8. la sentenza, pur indicando alcuni fattori al fine di tratteggiare l’orientamento dei ricorrenti verso prodotti finanziari rischiosi, si è limitata, da un canto, a indicare l’anteriorità degli acquisti contestati rispetto ai default degli emittenti e, dall’altro, ad operare un mero riferimento descrittivo di altri e diversi titoli, pervenuti in portafoglio con operazioni effettuate con la medesima banca, ma omettendo di indicare, per ciascuna di esse, le condizioni di negoziazione e gli elementi di rischio, ciò impedendo di pervenire ad un giudizio di ulteriore e meno apodittica consapevolezza informativa in capo al cliente, circostanza determinante per interrompere l’altrimenti presunto nesso causale tra inadempimento e pregiudizio;

9. va invero ribadito che il criterio ordinante del rapporto intermediario-investitore procede, in primo luogo e – come visto – già ai sensi dell’art. 28 Reg. Consob 1 luglio 1998, n. 11522 e del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 21 dall’obbligo in capo al primo di fornire un’informazione tempestiva, qualificata e completa, secondo una condotta di diligenza, correttezza e trasparenza, da assumere nell’interesse dei clienti ed altresì per l’integrità dei mercati; ne consegue che il difetto di tale preliminare adempimento, se determina la menzionata inversione dell’onere della prova sul nesso con il danno patito dall’investitore, comunque permette la prova contraria soltanto laddove, alla mancanza di un’informazione tipizzata e preventiva sulla singola operazione, possa eccepirsi la piena consapevolezza comunque raggiunta in concreto dal cliente sul rischio dell’investimento o del disinvestimento; per tale ragione, eventuali operazioni pregresse di pari segno speculativo debbono essere almeno ricostruite, oltre che per i rispettivi indici di alto rischio, altresì per la citata, indispensabile, relazione tra volontarietà di darvi corso e piena informazione del cliente sulla possibile perdita di capitale e curva dei rendimenti attendibili; solo in tal modo, cioè “dimostrando che il pregiudizio si sarebbe comunque concretizzato quand’anche l’investitore avesse ricevuto le informazioni omesse” (Cass. 7905/2020) e dunque per via presuntiva qualificata ex art. 2729 c.c., viene sottratta all’inadempimento informativo, omesso dall’intermediario nelle forme normativamente prescritte, la portata deterministica del danno in capo all’investitore, di cui va ricostruita, operazione per operazione, una condizione puntuale di consapevolezza finanziaria, cui devono concorrere elementi storici specifici ovvero anche, appunto, presuntivi di concludenza, invero generici o assenti nella pronuncia impugnata;

ne consegue che il ricorso va accolto quanto al secondo e terzo motivo, respinto il primo, con cassazione e rinvio, nonchè deferimento al giudice del rinvio anche della liquidazione delle spese del procedimento.

P.Q.M.

la Corte rigetta il primo motivo, accoglie il ricorso quanto al secondo e terzo motivo; cassa e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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