Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23164 del 08/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/11/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 08/11/2011), n.23164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23291-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato, FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato PANNONE OTTAVIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.A.;

– intimata –

e sul ricorso 26059-2007 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, viale

GORIZIA 14, presso lo studio dell’avvocato SABATINI FRANCO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARINO PAOLO MICHELE, giusta

delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5159/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/09/2006 R.G.N. 3511/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PANNONE OTTAVIO;

udito l’Avvocato CLAUDIO IVO GABRIELE per delega MARINO PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per: in via principale, a nuovo ruolo

in attesa della Corte Costituzionale, in subordine rigetto del

ricorso principale e inammissibilità dell’incidentale.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 11.9.2006, la Corte di Appello di Roma, in accoglimento dell’appello incidentale proposto da C. A. ed in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava la nullità della clausola di apposizione del termine a contratto del 1.7/30 settembre 1998, stipulato dall’appellante incidentale con la s.p.a. Poste Italiane, per esigenze sostitutive del personale in ferie nel detto periodo, e la intercorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal 1.7.1998; in parziale accoglimento dell’appello principale, condannava le Poste al pagamento, in favore della lavoratrice, di tutte le retribuzioni maturate come determinate nella pronunzia di primo grado, dalla data del 21.1.2003, formale messa in mora, in tale misura quantificando il risarcimento del danno riconosciuto.

Riteneva la Corte territoriale che la mancata indicazione del nominativo dei dipendenti sostituiti per ferie determinasse l’illegittimità del relativo contratto a tempo determinato e che anche la contrattazione autorizzatoria era limitata temporalmente a contratti stipulati anteriormente alla data di quello in oggetto e di quelli successivi del 19.10.1998 e del 3.5.1999 pure stipulati tra le stesse parti.

Propone ricorso per cassazione la società, deducendo:

1) Violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. b e art. 3, art. 8 ccnl 26.11.1994, della L. n. 56 del 1987, art. 23, art. 1362 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Formula quesiti di diritto, che riassumono il contenuto della doglianza, con la quale si sostiene i autonomia della ipotesi di fonte collettiva rispetto a quella legislativa e la non necessità di indicazione del nome dei dipendenti sostituiti.

2) Violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 8 ccnl 26.11.1994, nonchè degli accordi sindacali del 25.9.1997, 16.1.1998, 27 4 1998, 2.7.1998, 24.5.1999 e 18.1.2001, in connessione con l’art. 1362 c.c. e ss. (art. 360 c.p.c., n. 3). Con i quesiti formulati, viene domandato se ad un contratto che integri il contenuto di uno precedente debba riconoscersi valenza ed efficacia temporale pari al contratto di cui costituisce integrazione; se, nell’interpretare un accordo collettivo si deve tenere conto del significato letterale delle espressioni usate e del comportamento complessivo delle parti anche successivo, si che gli accordi cd.

attuativi, intervenuti sino al 18.1.2001, costituiscono atti con funzione meramente ricognitiva, che non pongono nuovi limiti temporali alla facoltà di effettuare assunzioni a termine e se i termini individuati negli accordi successivi non si riferiscano alla scadenza dell’autorizzazione a stipulare contratti a termine, ma alla durata delle assunzioni, una volta accertata la persistenza delle esigenze organizzative. Con ulteriore quesito si chiede se la posizione giuridica attiva meritevole di tutela possa definirsi diritto quesito.

3) Omessa ed insussistente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Rileva la società che gli accordi attuativi si riferirebbero solo ad una delle ragioni previste dall’accordo del 25.9.19978 e che quindi le residue ragioni non potevano ritenersi temporalmente limitate.

4) Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3), in relazione agli artt. 1217 e 1233 c.c.. In termini riassuntivi con il quesito si domanda se, per il principio di corrispettività, il lavoratore – a seguito dell’accertamento dell’illegittimità del contratto a termine – ha diritto a pagamento delle retribuzioni solo dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 e ss. c.c..

Resiste, con controricorso, la C., che propone ricorso incidentale, con il quale si chiede cassarsi la pronunzia della Corte territoriale, laddove ha disposto il pagamento delle retribuzioni solo dal gennaio 2003 e non, come stabilito dal primo giudice, già dal 6.1999.

La società ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Va, preliminarmente, disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Il primo motivo, con il quale si censura la affermazione della nullità del termine in relazione alla causale riguardante la “concomitanza di assenze per ferie” merita accoglimento.

Sul punto, con riferimento a tale causale, in particolare già Cass. 13-6-2005 n. 12632 ha affermato che “in materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati regolata dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e non dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, la mancata indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non comporta alcuna nullità del contratto per difetto di forma nè la conseguente conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, non essendo la nullità per difetto di forma prevista dalla legge applicabile al rapporto “ad substantiam”, stante il principio di tassatività della forma vigente nel nostro ordinamento”.

Nel contempo, più in generale, si è consolidato l’indirizzo secondo cui la L. n. 56 del 1987, art. 23 “che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, (v. fra le altre Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In specie, poi, questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su una fattispecie simile a quella in esame con riferimento alla previsione collettiva ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, relativa alla “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre) ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito, avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

In particolare, la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie, ponendosi in contrasto col principio di diritto della “delega in bianco” enunciato dalle Sezioni Unite .

Altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, sempre con riferimento alla precedente analoga previsione collettiva ed, in senso conforme, Cass 9 giugno 2006 n. 13457 e Cass. 20.3.2009 n. 8913) hanno confermato la decisione di merito che aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Erroneo deve, dunque, ritenersi quanto deciso dalla Corte di merito, che ha affermato l’illegittimità del termine apposto al primo dei contratti stipulati tra le parti, avendo attribuito rilievo decisivo, tra l’altro, al fatto che, avendo le parti raggiunto un’intesa originariamente priva di termine, le stesse avevano stipulato accordi attuativi che avevano fissato un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, limite fissato inizialmente al 31 gennaio 1998 e, successivamente al 30 aprile 1998; il contratto a termine in esame, stipulato in epoca successiva all’ultimo dei termini sopra indicati, era illegittimo anche in quanto privo del supporto derogatorio.

Tale impostazione, censurata dalla società ricorrente, deve, come già detto, ritenersi erronea con riferimento al primo contratto, atteso che non si applicano gli accordi richiamati dalla Corte territoriale stipulati per la diversa ipotesi di contratti a termine conclusi in presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, con la conseguenza che, in adesione al citato orientamento giurisprudenziale, che deve essere pienamente confermato, la sentenza impugnata deve essere cassata sul punto.

Con riferimento al secondo contratto a termine, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr.. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va, quindi, confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo.

In relazione alle suddette conclusioni devono ritenersi assorbite le censure concernenti i contratti successivi, mentre inammissibile deve dichiararsi il quarto motivo, in quanto il relativo quesito, che riguarda la mora crederteli, risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie, risolvendosi nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso Cass. 4.1.2001 n. 80). Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve esse chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v., ad es., Cass., S.U., 5.1.2007 n. 36), dovendosi, peraltro, ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. Così risultato inammissibile il quarto motivo, riguardante le conseguenze economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070). In tale contesto è altresì necessario che il motivo di ricorso, che investe, anche indirettamente il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia anche ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4 gennaio 2011 n. 80). Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

In definitiva, il ricorso deve essere accolto limitatamente alla censura formulata nel primo dei motivi, laddove gli ulteriori motivi devono essere rigettati ed il ricorso incidentale deve dichiararsi inammissibile in quanto non spiega le ragioni della chiesta retrodatazione del risarcimento e non formula quesito al riguardo.

La sentenza va, dunque, cassata in relazione a quanto sopra precisato e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va decisa nel merito confermandosi la declaratoria di illegittimità del secondo contratto, con spostamento della decorrenza del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato al 19.10.1998, confermata ogni statuizione riguardante le conseguenze economiche.

Conferma meritano anche le statuizioni riguardanti le spese processuali delle fasi di merito, attesa la prevalente soccombenza della società, laddove quelle del presente giudizio di legittimità possono compensarsi, stante la reciproca parziale soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale; rigetta gli ulteriori motivi del ricorso principale e dichiara l’inammissibilità di quello incidentale; cassa in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, conferma la declaratoria di illegittimità del termine del secondo contratto e, per l’effetto, dichiara l’intercorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, dal 19.10.1998, con condanna della società al risarcimento dei danni, in favore della C., in misura corrispondente alle retribuzioni maturate dal 21.1.2003, oltre accessori di legge.

Conferma, quanto alle spese processuali, le statuizioni dei giudici di merito, e compensa te spese di giudizio del legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2011

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