Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2316 del 01/02/2010

Cassazione civile sez. II, 01/02/2010, (ud. 04/11/2009, dep. 01/02/2010), n.2316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27094/2004 proposto da:

L.A. (OMISSIS), S.L.

(OMISSIS), in proprio e quali associati dello studio legale

SARTI & LANDOLFO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

VINCENZO

TANGORRA 9, presso lo studio dell’avvocato MARAZZITA GIUSEPPE,

rappresentati e difesi dall’avvocato FELUCA Antonio;

– ricorrenti –

contro

DINO CHIAPPINI DITTA SRL P.IVA (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore FAUSTA GRALDI, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA AREZZO 38, presso lo studio dell’avvocato MESSINA

MAURIZIO, rappresentata e difesa dall’avvocato BROZZI Sergio;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2807/2004 della GIUDICE DI PACE di FIRENZE,

depositata il 30/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/11/2009 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato MATONTI Antonio, con delega depositatain udienza

dell’Avvocato BROZZI Sergio, difensore della resistente che ha

chiesto rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La srl Dino Chiappini si opponeva con atto notificato il 7 ottobre 2004 al decreto ingiuntivo per Euro 622,39, ottenuto nei suoi confronti dagli avvocati S. e L., quale compenso per prestazioni professionali. Chiedeva la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, la revoca dello stesso e il rigetto della domanda, nonchè in ipotesi e in via riconvenzionale che fosse dichiarata la parziale compensazione delle somme dovute agli avvocati con quelle già versate dal cliente. Costituendosi in giudizio, i convenuti rilevavano che le somme versate dalla opponente erano anticipazioni per spese vive relative a questioni della società, ma anche personali e sollevavano l’eccezione di incompetenza per valore in relazione alla proposizione di domanda riconvenzionale eccedente la competenza del giudice adito. Trattata la causa davanti al giudice di pace di Firenze e sostituito il difensore dell’opponente, la sentenza del 30 giugno 2004 qualificava come eccezione di pagamento l’eccezione sollevata dall’opponente e, rilevato che i creditori ingiungenti non avevano dimostrato l’imputabilità del pagamento ad altri crediti, accoglieva l’opposizione.

Gli avvocati S. e L. hanno proposto ricorso immediato per cassazione svolgendo tre motivi. Parte opponente ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo lamenta violazione dell’art. 38 c.p.c.. Parte ricorrente deduce che è pendente avanti il tribunale di Firenze altro giudizio in cui è controverso il presunto credito della società opponente per aver versato oltre 13.000 Euro, agli avvocati ingiungenti, resistito dalla pretesa di questi ultimi di aver ricevuto tali somme a titolo di spese non imponibili (quanto a Euro 9.001,10), per le cause in cui hanno assistito il cliente, e il residuo quale anticipazione. Aggiunge che il giudice di pace avrebbe dovuto separare il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo dalla riconvenzionale svolta da controparte, rimettendo la causa riconvenzionale al giudice superiore.

Il secondo motivo espone violazione dell’art. 112 c.p.c., e conseguente nullità della sentenza impugnata. Secondo parte ricorrente l’ultrapetizione consisterebbe nell’avere il giudice di pace pronunciato su eccezione nuova, sollevata al di fuori del contraddittorio soltanto con la memoria conclusionale. Ivi l’opponente avrebbe eccepito il fatto estintivo dell’avvenuto pagamento, mentre in precedenza era stata richiesta la revoca del decreto ingiuntivo per insussistenza del credito e la parziale compensazione tra le somme dovute e quelle accreditate.

I motivi, da esaminare congiuntamente, perchè attengono a profili processuali della controversia e in particolare alla individuazione della materia del contendere, sono infondati.

L’esame dell’atto di citazione, consentito dalla natura delle censure, rivela che parte opponente richiese in via principale dopo aver rilevato l’effettuazione di cospicui acconti in favore dei due legali, chiese in via principale “previa revoca e/o dichiarazione di inefficacia del d.i. opposto” di “rigettare la domanda di pagamento”.

Aggiunse poi in via di ipotesi e riconvenzionale la richiesta di parziale compensazione tra il versato e il dovuto, ma “entro i limiti della domanda proposta e della competenza per valore del Giudice adito”. E’ quindi inequivocabile dal tenore dell’atto che non vi era alcun possibile esubero di competenza, perchè la riconvenzionale, ipotizzata evidentemente in funzione della possibile multiforme qualificazione del fatto eccepito (il pagamento degli acconti), era espressamente contenuta nel limite anzidetto. Il giudice di pace doveva quindi trattenere la causa in ogni caso, anche ove fosse stato necessario pronunciare su una “domanda riconvenzionale” finalizzata alla eccezione di compensazione. I limiti di valore posti erano infatti espressamente enunciati.

E’ bene aggiungere che la richiesta di rigetto della domanda, in conseguenza dell’allegazione del fatto del versamento al creditore di acconti rilevanti, conteneva l’eccezione di pagamento meglio illustrata negli atti di causa. A tanto inequivocabilmente mirava la richiesta di revoca del decreto e di rigetto, una richiesta, cioè, volta a far valere l’effetto estintivo di un fatto il pagamento di acconti eccedenti la pretesa azionata – che veniva opposto in via di eccezione. L’accoglimento di questa prima conclusione escludeva inoltre l’operare della seconda istanza (quella proposta “ipoteticamente” in via riconvenzionale), poichè chiaro era, come ha rilevato anche la sentenza impugnata, che il fine di questa seconda era finalizzato (e quindi subordinato) al raggiungimento dello scopo di ottenere il rigetto della limitata pretesa creditoria fatta valere con quell’ingiunzione. In definitiva alla parcellizzazione dei crediti, voluta da parte ingiungente frazionando le molte partite di debito/credito aperte tra le parti (sul frazionamento delle pretese creditorie v. utilmente S.U. 23726/07), parte opponente ha coerentemente resistito opponendo il maggior pagamento effettuato, ma nei limiti del credito esposto e comunque della competenza del giudice adito, così evidenziando lo scopo, preminente e assorbente, di eccepire il non fondamento della pretesa.

2) Il terzo motivo di ricorso denuncia omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa l’avvenuto pagamento, la imputazione dello stesso, la fondatezza delle argomentazioni accolte.

Fin da SS.UU. 716 del 1999 è stato rilevato che “A seguito della nuova formulazione dell’art. 113 cod. proc. civ., comma 2, il giudice di pace, quando pronunzia in controversie di valore non superiore ai due milioni non deve procedere alla individuazione della norma di diritto sostanziale astrattamente applicabile alla fattispecie, nè è tenuto al rispetto dei principi regolatori della materia e dei principi generali dell’ordinamento, essendo tenuto soltanto all’osservanza delle norme costituzionali e di quelle comunitarie (ove di rango superiore a quelle ordinarie), nonchè, a norma dell’art. 311 cod. proc. civ., di quelle processuali e di quelle sostanziali cui le norme processuali facciano rinvio, giacchè, in tali controversie, egli deve giudicare facendo immediata applicazione di un’equità cosiddetta formativa o sostitutiva (e non della cosiddetta equità correttiva o integrativa) e deve perciò fondarsi su di un giudizio di tipo intuitivo e non sillogistico. Ne consegue che le sentenze pronunciate dal giudice di pace in controversie del suindicato valore (sentenze da ritenersi sempre pronunciate secondo equità, anche quando il giudice abbia fatto applicazione di una norma di legge, con o senza espressa indicazione della sua rispondenza all’equità) sono ricorribili in cassazione per violazione delle norme processuali ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1, 2 e 4 (in quest’ultimo caso anche con riferimento alle ipotesi di inesistenza della motivazione), nonchè ai sensi del citato art. 360 c.p.c., n. 5, quando l’enunciazione del criterio di equità adottato sia inficiata da un vizio che, attenendo ad un punto decisivo della controversia, si risolva in un’ipotesi di mera apparenza, ovvero di radicale ed insanabile contraddittorietà della motivazione, mentre la censura di violazione della legge sostanziale ai sensi del citato art. 360 c.p.c., n. 3, è consentita soltanto in caso di inosservanza o falsa applicazione della costituzione e delle norme comunitarie (se di rango superiore a quelle ordinarie), senza che tale interpretazione dell’art. 113 cod. proc. civ., comma 2, renda la norma sospettabile di illegittimità1 costituzionale per contrasto con l’art. 24 Cost.. Detto regime è mutato solo con riguardo a sentenze rese dopo il 2 marzo 2006, ditalchè la presente vi resta soggetta. Poichè la censura prospettata non attiene a un’ipotesi di mera apparenza o insanabile contraddittorietà della motivazione, ma si avventura faticosamente nelle sfumature argomentative della congrua e argomentata sentenza impugnata, il motivo di ricorso risulta inammissibile.

Segue da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna di parte soccombente alla refusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 400,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2010

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