Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23158 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2020, (ud. 18/04/2019, dep. 22/10/2020), n.23158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4982/2016 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– ricorrente –

contro

ARCOFIL DI T. & C. s.n.c., (C.F.: (OMISSIS)) con sede legale

in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

assistita e difesa dall’Avv. Gregorio Leone ed elettivamente

domiciliata presso l’Avv. Lorenza Roberta Leone, presso lo studio

Salustri e Associati in Roma, in via Luigi Luciani n. 42;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria, n. 191/04/2015, pronunciata il 22 gennaio 2015 e depositata

il 10 febbraio 2015;

udita la relazione svolta nell’udienza del 18 aprile 2019 dal

Consigliere Antezza Fabio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale

Mastroberardino Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avv. Rocchitta Gianmario (dell’Avvocatura

Generale dello Stato) che ha insistito nell’accoglimento del

ricorso; udito, per il controricorrente, l’Avv. Lorenza Leone (in

sostituzione dell’Avv. Gregorio Leone) che ha insistito nel

controricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (“A.D.”) ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza (indicata in epigrafe) di rigetto dell’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza n. 166/13/2010 emessa dalla CTP di Genova.

Il Giudice di primo grado, a sua volta, aveva accolto l’impugnazione proposta dalla contribuente ARCOFIL DI T. & C. s.n.c. avverso avviso di rettifica dell’accertamento definitivo con riferimento a bolletta doganale per il pagamento di dazi relativi ad importazione di “barre e profilati e fili di zinco”, effettuata in regime preferenziale in quanto dichiarata di origine preferenziale israeliana.

2. Dalla sentenza impugnata, oltre che dagli atti di parte, emerge, circa i fatti di causa, che la contribuente presentò all’Ufficio delle Dogane dichiarazione per l’importazione di “barre e profilati e fili di zinco”, dichiarando la merce di origine preferenziale israeliana sulla base dell’attestazione d’origine sostitutiva di certificato EUR 1 contenuta nella documentazione commerciale estera allegata. L detta importazione fu eseguita in attuazione dell’Accordo Euromediterraneo (in particolare protocollo n. 4, artt. 17, 22 e 32), Decisione n. 2/2005 del Consiglio di Associazione U.E.-Israele del 22 dicembre 2005 (in particolare gli artt. 16, 22 e 339), Avviso agli importatori n. 2005/C 20/02 (pubblicato su G.U.U.E. n. C20 del 25 gennaio 2005) e documento TAXUD/1609/05-EN-Add.2 del 2005.

L’A.D., ritenuta l’esistenza di irregolarità formali nella dichiarazione di origine in oggetto, come detto sostitutiva del certificato EUR 1 in forza del citato “Accordo Euromediterraneo”, ed in particolare un “ragionevole dubbio” circa la regolarità del certificato, attivò la relativa procedura di cooperazione amministrativa tra Stati, di cui agli artt. 121 e ss. del Reg CEE n. 2 luglio 1993, n. 2454, della Commissione (di seguito, anche: “D.A.C.”) recante “talune disposizioni d’applicazione” del Codice Daganale Comunitario (Reg. CEE 12 ottobre 1992 n. 2913, del Consiglio, di seguito anche: “C.D.C.”).

L’Amministrazione, non ottenendo risposta dallo Stato estero, nei termini e con le modalità di cui alla detta procedura, revocò il beneficio daziario, con conseguente richiesta del dazio dovuto per importazione da “Paesi Terzi”, mediante atto impositivo, impugnato dalla contribuente, fondato sulla mancanza nella fattura (emessa dall’esportatore) dell’indicazione del posto di produzione ed in particolare del nome della Città e del codice postale previsto dal citato Accordo (CE – Israele).

3. La CTP accolse l’impugnazione in ragione, per quanto ancora rileva ai presenti fini, dell’infondatezza dei dubbi nutriti dall’A.D. circa la dichiarazione di origine della merce (indicando, la fattura dell’esportatore, “espressamente il nome ed il CAP della Città sede dell’esportatrice Barze-lan, (OMISSIS) oltre al telefono ed al fax” (così, letteralmente, la CTP, per come riportato nel controricorso oltre che per quanto evidenziato nella sentenza impugnata).

4. Rigettando l’appello dell’Amministrazione, la CTR, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, confermò la statuizione di primo grado, ritenendo l’infondatezza dei dubbi nutriti dall’A.D. circa la dichiarazione di origine della merce indicando, la fattura dell’esportatore, “espressamente il nome ed il CAP della Città ove ha sede l’esportatrice Barze-lan, (OMISSIS) oltre al telefono ed al fax” (così, letteralmente, la CTR).

All’esito, la CTR ritenne sostanzialmente assorbite le ulteriori doglianze e le eccezioni ma chiarì che, comunque, trattandosi di merce che avrebbe dovuto essere indicata con codice doganale differente, l’importazione era legittimamente avvenuta anche senza l’applicazione del dazio da “Paesi Terzi” (integrando, ciò, ulteriore ragione fondante la statuizione d’appello).

5. Contro la sentenza d’appello l’A.D. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, ed il contribuente si difende con controricorso, instando anche per l’inammissibilità del primo motivo oltre che per il rigetto di tutte le doglianze.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso non merita accoglimento, per le ragioni e nei termini di seguito evidenziati.

2. Con il motivo I di ricorso si deduce “erronea applicazione degli artt. 20,26 e 27 Reg. CEE n. 2913/1992 (C.D.C.) nonchè dell’Accordo Euromediterraneo del 20711/1995 e successive modifiche e/o integrazioni, pubbl. su GUCE del 21.6.2000, posti a disciplina del trattamento tariffario preferenziale nell’ambito degli scambi commerciali fra l’Unione Europea e i suoi Stati membri, da un lato, e Israele, dall’altro”.

Al di là della formulazione della rubrica oltre che della tecnic utilizzata per la formulazione della censura, in sostanza l’A.D. si duole della motivazione della CTR laddove essa argomenta l’infondatezza dei dubbi nutriti dall’Amministrazione circa la dichiarazione di origine della merce indicando, la fattura dell’esportatore, “espressamente il nome ed il CAP della Città ove ha sede l’esportatrice Barze-lan, (OMISSIS) oltre al telefono ed al fax” (così, letteralmente, la CTR).

2.1. Il motivo, oltre che inammissibile, è infondato, con assorbimento degli altri motivi di ricorso.

L’inammissibilità della doglianza ex art. 366 c.p.c., nella specie, risiede nel difetto di specificità (in termini di autosufficienza) in quanto per la sua disamina necessiterebbe della verifica del contenuto dell’atto impositivo oltre che del documento inerente la dichiarazione di origine (nella specie la fattura dell’esportatore) nelle relative parti essenziali a tale scopo, invece non riprodotti nel ricorso oltre che ad esso non allegati (per l’inammissibilità dovuta a difetto di specificità del motivo di ricorso, in termini di autosufficienza, per mancata riproduzione del documento, si vedano, ex plurimis: Cass. sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679, Rv. 645334-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9499, Rv. 643920-01, in motivazione; Cass. sez. 5, 15/07/2015, n. 14784, Rv. 636120-01; Cass. sez. 3, 09/04/2013, n. 8569, Rv. 625839-01, oltre che Cass. sez. 3, 03/07/2009, n. 15628, Rv. 609583-01).

A quanto innanzi si aggiungono altri profili di inammissibilità del motivo in esame che, oltre a non contenere il parametro di riferimento della doglianza (in relazione a taluna delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1), non evidenzia una violazione o falsa applicazione di legge finendo, nella sostanza, con il prospettare un vizio motivazionale, in termini peraltro inammissibili con riferimento al riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in modo comunque tale da sostituire, inammissibilmente, una diversa valutazione degl elementi probatori a quella del giudicante (circa l’idoneità delle indicazioni di cui alla fattura dell’esportatore a fornire l’indicazione del posto di produzione).

Al di là degli evidenziati profili di inammissibilità, la doglianza è comunque infondata.

Lo stesso provvedimento impugnato si fonda sull’assunta idoneità, astratta della fattura (ritenuta dall’A.D. in concreto insussistente), a fornire i dati necessari inerenti l’origine preferenziale (in ragione dell’accordo con Israele) e la CTR, proprio in base alla detta fattura, con valutazione di merito in questa sede non sostituibile, ha ritenuto raggiunta la prova dell’origine preferenziale.

2.2. L’infondatezza della doglianza di cui al motivo I, implicando il passaggio in giudicato della sentenza della CTR con riferimento alla prima delle due rationes fondanti la decisione, implica l’inammissibilità e comunque l’assorbimento degli altri motivi di ricorso.

Con essi, difatti, ci si duole: (motivo II) della violazione dell’art. 1697 c.c., laddove però la CTR ha statuito in ragione della ritenuta accertata rispondenza al vero della documentazione della provenienza preferenziale (doglianza anche inammissibile in ragione della mancata considerazione dell’effettiva ratio decidendi); (motivo III) di error in procedendo/nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per falsa applicazione del principio di non contestazione, inerente la seconda ragione della decisione; (motivo IV) violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 4, e degli artt. 201 C.D.C. 1 199 D.A.C., che pongono in capo al dichiarante/importatore la responsabilità circa la mancata correttezza delle dichiarazioni riportate nella bolletta, laddove, invece, come detto, la CTR ha ritenuto accertata l’idoneità della dichiarazione ai fini dell’applicazione del relativo regime preferenziale.

4. In conclusione, il ricorso non è accolto ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali inerenti il presente giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che si liquidano, in applicazione dei parametri ratione temporis applicabili, in Euro 900,00, oltre al 15% per spese forfettarie, IVA e CPA, come per legge.

L’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione, trattandosi di Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esente dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (ex plurimis: Cass. sez. Cass. sez. 6-4, 29/01/2016, n. 1778, Rv. 638714-01; Cass. sez. 6-4, 05/11/2014, n. 23514, Rv. 633209-01; Cass. sez. 3, 14/03/2014, n. 5955, Rv. 630550-01).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali inerenti il presente giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che si liquidano in Euro 900,00, oltre al 15% per spese forfettarie, IVA e C.N.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

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