Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23152 del 17/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/09/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 17/09/2019), n.23152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19831-2018 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANIELLO SCHETTINO;

– ricorrente –

Contro

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

BASTIONI DI MICHELANGELO 5/A, presso lo studio dell’avvocato FAUSTA

MARCHESE, rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO SICURO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 697/2018 del TRIBUNALE di PARMA, depositata il

16/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

Fatto

RILEVATO

che:

D.G. convenne in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Parma F.A. per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti in seguito a condotta diffamatoria tenuta nei suoi confronti dalla convenuta; condotta consistita nell’averla falsamente accusata, presso alcune colleghe di lavoro, di diffamazione; in particolare, in un messaggio di posta elettronica era stato affermato che il 18 giugno 2009 la D’Amore, nella sede di lavoro, aveva inveito contro la F., apostrofandola con gli epiteti “puttana, culona etc”; siffatta circostanza era sicuramente inveritiera in quanto nella detta data l’attrice non era neanche presente sul luogo di lavoro.

Si costituì F.A. chiedendo il rigetto della domanda e spiegando anche riconvenzionale al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della condotta diffamatoria tenuta dall’attrice.

L’adito Giudice di Pace accolse la domanda dell’attrice e rigettò la riconvenzionale.

Con sentenza 697/2018 del 16-5-2018 il Tribunale di Parma, in accoglimento dell’appello proposto dalla F., ha rigettato la domanda proposta dall’attrice e, in accoglimento della riconvenzionale, ha condannato D.G. al pagamento, in favore della F., della somma di Euro 5.000,00, oltre interessi, a titolo di risarcimento danni; in particolare il Tribunale ha ritenuto che, in base alla documentazione agli atti, la condotta diffamatoria lamentata dall’attrice non poteva essere addebitata alla F.; nello specifico, infatti, la menzionata lettera e-mail non era stata redatta dalla F. ma da tale Patrizia Bertelli ed in seguito ad una lettera (a quest’ultima inviata) firmata da tali C.A.P., V.G. e B.I. con la quale gli stessi avevano riferito che la D’Amore, in loro presenza ed assenza della F., aveva proferito espressioni offensive della dignità della F. medesima; i tre redattori della lettera, sentiti a sommarie informazioni dalla P.G., avevano poi rettificato la data dei fatti (non 18 ma 17 giugno); data quest’ultima, peraltro, riportata anche nella prima parte delle e-mail della B., sicchè la data contenuta nella lettera (18 giugno) doveva ritenersi mero lapsus calami; ciò posto, il Tribunale ha quindi ritenuto che fosse stata la D’Amore ad essersi resa responsabile di diffamazione ex art. 20143 c.c., in danno della F…

Avverso detta sentenza D.G. propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso F.A..

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata al ricorrente.

Considerato che:

Con il primo motivo la ricorrente denunzia “vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per travisamento da parte del giudice di merito della prova acquisita in giudizio, avendo erroneamente attribuito alla contraddizione nella quale sono incorse tutte e tre le testimoni escusse dal Giudice di Pace valore di mera rettifica rispetto a quanto dalle medesime dichiarato nella comunicazione copia di un messaggio di un messaggio di posta elettronica, datato 21 luglio 2009… che come tale “non consente ragionevolmente di inficiare integralmente le deposizioni dei suddetti testi” ritenendo” assolutamente verosimile che quella contenuta nella lettera sia stato un mero lapsus calami”; siffatta erronea valutazione è, a dire della ricorrente, da ritenersi in aperto contrasto con le risultanze istruttorie e si risolve in una vera e propria distorsione delle stesse.

Con il secondo motivo la ricorrente denunzia vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere accolto la domanda proposta da F.A. in via riconvenzionale, travisando quanto emerso dalle dichiarazioni testimoniali rese da B.T.j.E., V.G. ed C.A.P..

I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono entrambi inammissibili, in quanto si risolvono in una critica alla valutazione delle prove operata dal giudice di merito, che ha solo attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.

Come già precisato da questa S.C., invero, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione; siffatta censura, in particolare, non è inquadrabile nè nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto storico da intendere quale preciso accadimento o precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio (fatto storico, così inteso, non dedotto nel caso di specie), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che -per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, attenendo all’esistenza della motivazione in sè, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; c.d. riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; (Cass. 11892/2016; v. anche Cass. sez. unite 8053/2014); anomalia motivazionale neanche dedotta nel caso di specie.

In conclusione, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese di lite relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.500,00 oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019

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