Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23151 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. I, 07/11/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 07/11/2011), n.23151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.L. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GIULIA DI COLLOREDO 46/43, presso lo studio dell’avvocato DE

PAOLA GABRIELE, che lo rappresenta e difende giusta mandato in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS) in persona del

Ministro in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 645/08 R. Ricorsi della CORTE D’APPELLO di

VENEZIA del 14/05/09, depositato il 30/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito l’Avvocato De Paola Gabriele, difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. NICOLA LETTIERI che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che M.L., con ricorso del 12 luglio 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo un unico motivo di censura -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Venezia depositato in data 30 maggio 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del M. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, -, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale ha concluso per l’inammissibilità o per l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare al ricorrente la somma di Euro 1.650,00, a titolo di equa riparazione;

che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 19.666,66 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso dell’11 giugno 2008, era fondata sui seguenti fatti: a) il M., ex appartenente delle Forze armate, asseritamente creditore dell’indennità di ausiliaria, aveva promosso la relativa causa dinanzi alla Corte dei conti in data 4 agosto 1997; b) la Corte adita aveva deciso la causa con sentenza di rigetto del 7 giugno 2007;

che la Corte d’Appello di Venezia, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in tre anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del processo presupposto -, ha determinato il periodo eccedente la ragionevole durata in sei anni e nove mesi ed ha liquidato equitativamente, a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale, la somma di Euro 1.650,00, calcolata sulla base di Euro 250,00 per ogni anno di ritardo, tenuto conto sia della posta in gioco, sia della natura collettiva del ricorso e, conseguentemente, della modestia della sofferenza patita, sia della accertata invalidità della nuova istanza di fissazione dell’udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con i motivi di censura viene denunciata come illegittima, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, la insufficiente determinazione del quantum dell’indennizzo, nonchè l’omessa considerazione che l’indennizzo per l’irragionevole durata del processo non può essere decurtato oltre certi limiti in ragione della natura collettiva del ricorso;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata dello stesso processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte – come nella specie – sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le sentenze nn. 9938 del 2010, 25595 del 2008, 21088 del 2005);

che, nella specie, i Giudici a quibus hanno eccessivamente ridotto la normale determinazione del quantum dell’indennizzo, fondandosi sui criteri della posta in gioco, sulla natura collettiva del ricorso introduttivo del giudizio presupposto e sull’esito “processuale” di questo per la ritenuta invalidità della istanza di fissazione dell’udienza, senza tuttavia tener conto dei normali criteri di determinazione seguiti da questa Corte;

che questa Corte infatti, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto de quo è pacificamente iniziato in data 4 agosto 1997 e si è concluso alla data del 7 giugno 2007, con la conseguenza che esso si è protratto in modo irragionevole per la durata di sei anni e nove mesi circa;

che la fattispecie è inoltre caratterizzata dalle incontestate circostanze della natura collettiva del ricorso e della accertata invalidità della cosiddetta “istanza di prelievo”;

che, quanto all’istanza di prelievo, questa Corte, inoltre, ha già più volte affermato il principio secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, secondo cui l’innovazione, introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1 (per il quale la domanda non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza di prelievo ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51), non può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in mancanza di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere, e secondo cui – tuttavia – la mancata o ritardata presentazione dell’istanza di prelievo può incidere, entro i limiti dell’equità, sulla determinazione; dell’entità dell’indennizzo, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni unite, 24901 del 2008, 14753 del 2010);

che tale orientamento giurisprudenziale ha ottenuto sostanziale avallo dalla Corte EDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi contro Italia) la quale, con due recentissime decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia; 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille/00 Euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 14753 del 2010 cit.);

che, nella specie – caratterizzata dalla invalida presentazione dell’istanza di prelievo -, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati, nonchè dei recepiti correttivi consentiti dalla giurisprudenza della Corte EDU, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, va equitativamente determinato in Euro 6.000,00 per i sei anni e nove mesi circa di irragionevole ritardo, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

-che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, par. 4^, e B, par. 1^, allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Gabriele e Francesco De Paola dichiaratisene antistatari;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

PQM

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento al ricorrente della somma di Euro 6.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Gabriele e Francesco De Paola dichiaratisene antistatari, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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