Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23150 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/10/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 22/10/2020), n.23150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2007-2015 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 80, presso lo studio dell’avvocato ANNA (ANNAISA) GARCEA,

rappresentato e difeso dagli avvocati RAIMONDO GARCEA, GIUSEPPE

SARDANELLI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE

DE ROSE, GIUSEPPE MATANO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1709/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 30/12/2013 R.G.N. 1663/2010.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 30.12.2013, la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta da P.L. avverso il decreto ingiuntivo con cui gli era stato ingiunto di pagare all’INPS somme per contributi omessi in danno di taluni lavoratori irregolarmente occupati alle sue dipendenze, per come accertato in occasione di un accesso ispettivo della Guardia di Finanza;

che avverso tale pronuncia P.L. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;

che l’INPS ha depositato delega in calce al ricorso notificatogli.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere la Corte di merito statuito sull’eccezione relativa al mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sull’INPS circa il numero delle giornate lavorative in nero svolte dai lavoratori oggetto del verbale ispettivo;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte territoriale considerato che non era stata raggiunta la prova del numero delle giornate in nero asseritamente svolte dai lavoratori occupati;

che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione del D.L. n. 6 del 1993, art. 4 conv. con L. n. 63 del 1993, per non avere la Corte di merito ritenuto che “l’INPS non avrebbe potuto semplicemente detrarre dalle somme accertate i pagamenti effettuati con la domanda di condono per 185 giornate lavorative, considerando tamquam non esset agli effetti dei benefici di legge, ma avrebbe dovuto piuttosto ritenere condonate 185 giornate, procedendo poi al ricalcolo di contributi e sanzioni per quelle semmai restanti” (così il ricorso per cassazione, pag. 34);

che il primo motivo è inammissibile, non potendosi configurare alcun vizio di omessa pronuncia denunciabile ex art. 112 c.p.c. e ex art. 360 c.p.c., n. 4 rispetto ad una mera difesa, quale deve considerarsi l’affermazione circa la spettanza in capo all’attore dell’onere della prova del fatto costitutivo del diritto (cfr. in tal senso già Cass. n. 12626 del 2011);

che parimenti inammissibile è il secondo motivo, pretendendo parte ricorrente di sottoporre a questa Corte una richiesta di rivalutazione del materiale istruttorio acquisito al processo e sulla scorta del quale la Corte territoriale ha ritenuto la riferibilità delle prestazioni lavorative, per il numero di giornate oggetto dell’accertamento ispettivo e risultanti dalle agende rinvenute in occasione del medesimo, all’attività di impresa edile dell’odierno ricorrente, invece che a quella agricola della di lui madre (Cass. S.U. n. 8053 del 2014 e innumerevoli successive conformi);

che del pari inammissibile, per difetto di specificità, è il terzo motivo, non comprendendosi dalla lacunosa esposizione di cui al ricorso quale sarebbe l’errore in cui sarebbe incorso l’INPS (e, conseguentemente, la sentenza) nel calcolo delle somme dovute al netto del condono, che è stato pacificamente conteggiato e detratto dall’ammontare dei contributi ancora dovuti;

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, nulla statuendosi sulle spese del giudizio di legittimità per non avere l’INPS svolto alcuna apprezzabile attività difensiva al di là del deposito della procura in calce al ricorso notificatogli;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

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