Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23150 del 14/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 14/11/2016, (ud. 19/07/2016, dep. 14/11/2016), n.23150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

cui ricorso 1010=2013 proposto da:

P.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DELLE ACACIE 13, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO DI

GENIO (c/o CENTRO CAF), rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE

AMATO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati VINCENZO STUMPO, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 865/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 03/08/2012 R.G.N. 1424/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/07/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato CORETTI ANTONIETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 3 agosto 2012, accogliendo gli appelli proposti da P.A. contro le sentenze rese dal Tribunale di Salerno in data 28 settembre 2010 (n. 3972) e del 25 maggio 2011 (n. 2587), ha, con riferimento al primo giudizio, riliquidato le spese processuali poste a carico dell’Inps in Lire Euro 1.200,00, di cui Euro 720,00 per diritti e Euro 480,00 per onorari; con riferimento al secondo giudizio ha dichiarato sussistente tra la P. e l’impresa agricola “Curcio Michele” un rapporto di lavoro subordinato agricolo per centodue giornate relative all’anno 2007 e ordinato all’Inps la reiscrizione della ricorrente nell’elenco dei lavoratori agricoli del Comune di residenza per la suddetta annualità e per il numero di giornate sopraindicato. Ha quindi condannato l’Istituto previdenziale al pagamento del trattamento di disoccupazione agricola richiesto. Infine, ha posto a carico dell’Inps le spese del primo grado del giudizio, liquidate, come per l’altro giudizio, in Euro 1200,00, di cui Euro 720,00 per diritti, nonchè le spese del giudizio di appello determinate in complessivi Euro 1.800,00, e liquidate “partitamente” sino alla riunione in considerazione della più contenuta attività difensiva svolta e cumulativamente dalla riunione in poi.

Contro la sentenza, ricorre la P., affidando l’impugnazione a tre motivi, illustrati anche da memoria. L’Inps si difende con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., dell’articolo unico della L. 7 novembre 1957, n. 1051, della tariffa adottata con Delib. Consiglio nazionale forense del 20 settembre 2002, approvata con D.M. 8 aprile 2004, n. 127 (e violazione dei minimi previsti dalla stessa, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 10 c.p.c. e ss. in combinato disposto con il D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 6. Denuncia altresì l’errata valutazione degli atti di causa e il vizio di motivazione.

Ritiene che la liquidazione delle spese operata dalla Corte d’appello per il giudizio di primo grado in relazione alla sentenza n.3972/2010 violava i minimi delle tariffe professionali senza che il giudice avesse motivato le ragioni per cui si discostava dalla nota spese riportata nell’atto d’appello, nè indicato lo scaglione tariffario di riferimento, considerato altresì che la causa – avendo ad oggetto l’accertamento dell’esistenza del rapporto di lavoro agricolo subordinato – era di valore indeterminabile, e non invece determinato come erroneamente ritenuto dal giudice.

2. – Il secondo motivo ha ad oggetto la violazione delle stesse disposizioni con riferimento al secondo giudizio (definito con la sentenza n. 2587/2011) e si lamenta che nella liquidazione delle spese il giudice, anche in assenza di una nota specifica, aveva omesso di considerare le attività espletate esaminando gli atti di causa in relazione alle tariffe professionali vigenti. Anche in tale mezzo si rileva che il valore della controversia era da ritenersi “indeterminabile”, atteso che la domanda aveva ad oggetto l’accertamento di un rapporto di lavoro agricolo subordinato, sicchè lo scaglione di riferimento per i diritti era quello della tabella B, par. 1, col. 5 (da Euro 25.901 a Euro 51.700), mentre per gli onorari occorreva aver riguardo alla tabella A, par. 2, col. 3 (da Euro 25.901 a Euro 51.700) della tariffa di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127. Tenuto conto delle attività svolte, tutte documentate e trascritte nel ricorso per cassazione in ossequio al principio di autosufficienza, avrebbero dovuto essere liquidati per l’intero Euro 1.151,00 per i diritti e Euro 1010,00 per gli onorari relativi al giudizio di primo grado.

3. – Il terzo motivo ha anch’esso ad oggetto la violazione dell’art. 91 c.p.c., dell’art. unico della L. 7 novembre 1957, n. 1051, della tariffa approvata con D.M. 8 aprile 2004, n. 127, dell’art. 5, punto 4, parte seconda del D.M. n. 12 del 2004, degli artt. 10 c.p.c. e segg. in combinato disposto con il D.M. n. 127 del 2004, art. 6. Si denuncia altresì il vizio di motivazione. Si lamenta l’errata liquidazione delle spese del giudizio di appello, determinate in modo onnicomprensivo in Euro 1800,00 senza distinguere i diritti dagli onorari, con ciò impedendo alla parte di controllare la legittimità del provvedimento. Il valore del primo giudizio di appello era di valore determinato (Euro 2.628,00), con riguardo all’importo delle spese del giudizio di cui si chiedeva la riliquidazione, mentre il valore del secondo giudizio di appello era da ritenersi indeterminabile. Peraltro anche in presenza di riunione dei giudizi i diritti erano dovuti per intero in relazione a tutto giudizio e per ciascuna parte. L’onorario era dovuto per intero per ciascun giudizio fino alla riunione, mentre solo per le attività successive alla riunione era dovuto un solo onorario maggiorato della percentuale prevista per ogni altro giudizio riunito. Ne conseguiva che le spese del giudizio di appello dovevano essere liquidate in Euro 2818,00, oltre accessori.

4. – Le censure, che si trattano unitariamente in quanto involgenti le medesime questioni, sono fondate.

Va in primo luogo rilevata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dall’Inps nel controricorso: il ricorso espone con sommarietà e sufficiente precisione lo svolgimento del processo, riassume l’iter motivazionale seguito dal giudice d’appello ed enuncia con chiarezza le censure che adesso vengono mosse, correttamente inquadrate nella violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e nel vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

I dati indicati anche con riferimento al valore della causa consentono un controllo autosufficiente, ossia fondato sul solo contenuto del ricorso, nel quale risultano inseriti, sia pure con la tecnica dell’assemblaggio, gli atti e i verbali dei giudizi di merito che attestano l’effettiva attività difensiva svolta e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate (cfr. sotto il profilo dell’ammissibilità del motivo di ricorso concernente l’errata liquidazione delle spese processuali, Cass., 10 ottobre 2003, n. 15172; Cass., 29 ottobre 2014 n. 22983).

5. – Non vi è dubbio infatti si sia in presenza per entrambi i giudizi di primo grado di cause di valore indeterminabile, avendo ad oggetto l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in agricoltura. L’affermazione che si legge sentenza, secondo cui la somma di Euro 1200,00, di cui 720 per diritti di avvocato, per ciascun giudizio di primo grado, è stata liquidata tenendo conto delle questioni giuridiche trattate e delle svolte attività procuratorie “valutate con lo scaglione di valore determinato” non soddisfa i parametri di una compiuta valutazione, non avendo la Corte ha precisato le ragioni per le quali ha ritenuto la causa di valore determinato nè specificato lo scaglione di riferimento applicato. Sussiste pertanto, sotto tale profilo, il denunciato vizio di motivazione.

6. – Quanto agli onorari, considerato che lo scaglione tariffario da utilizzare ai fini della liquidazione delle spese è quello relativo alle cause di valore da Euro 25.900,00 a Euro 51.700,00 e che la richiesta degli onorari di avvocato è formulata in relazione ai minimi previsti dalla tariffa forense (art. 5 D.M. 2004), la riduzione di tale voce operata dalla Corte territoriale, senza peraltro alcuna motivazione a riguardo, si pone in contrasto con il principio della inderogabilità dei minimi edittali sancita dalla L. 13 giugno 1942, art. 24 (in tal senso, Cass., ord. 11 aprile 2014, n. 8517; v. pure sul valore della causa; Cass., 26 febbraio 2014, n. 4590).

Nè rileva in questa sede che non risulti depositata una nota specifica, giacchè è principio consolidato di questa Corte che il regolamento delle spese di lite è consequenziale ed accessorio rispetto alla definizione del giudizio, potendo la condanna essere emessa, a carico del soccombente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., anche d’ufficio e pure se non sia stata prodotta la nota spese, prevista dall’art. 75 disp. att. c.p.c.. In tal caso, il giudice non è onerato dell’indicazione specifica delle singole voci prese in considerazione (Cass., ord. 28 febbraio 2012, n. 3023; Cass., 3 ottobre 2005, n. 19269), ma deve tuttavia tener conto delle attività effettivamente espletate come emergenti dagli atti di causa e dei minimi tariffari applicabili.

Nel caso in esame, nella determinazione dei diritti e degli onorari per ciascun grado del giudizio ed in relazione all’attività defensionale svolta, la Corte non ha rispettato questi parametri.

Altrettanto va detto con riguardo alle spese del giudizio di appello. E’ infatti principio di questa Corte (affermato con riferimento al D.M. n. 585 del 1994, ma che in parte qua è testualmente riprodotto nel D.M. n. 12 de4l 2004, art. 5, punto 4) quello secondo cui “la facoltà del giudice di aumentare del venti per cento la misura dell’onorario unico spettante al difensore dì più persone aventi la medesima posizione processuale, ai sensi del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, art. 5 non è estensibile nè alle spese, nè ai diritti di procuratore” (Cass., 3 settembre 2013, n. 20147; Cass., 22 luglio 2009, n. 17095; Cass. n. 12601 del 16 ottobre 2001).

Inoltre la regola dell’onorario unico vale, ai sensi dell’art. 5, comma 4 della Tariffa del 1994 (in tutto analoga alla tariffa del 2004) solo per le attività difensive svolte dopo la riunione (Cass., 10 novembre 2015, n.22883).

Ne consegue che la Corte territoriale operando la liquidazione globale delle spese di lite dell’intero giudizio di appello, senza distinguere partitamente gli onorari dai diritti, nonchè per quanto riguarda gli onorari senza distinguere le attività svolte prima della riunione da quelle successive, ha violato il D.M. n. 12 del 2004, art. 5. Anche sotto tale profilo, la sentenza deve essere cassata.

In definitiva, il ricorso va accolto e la causa deve essere rinviata alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione per una nuova liquidazione delle spese processuali. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2016

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