Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23147 del 17/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/09/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 17/09/2019), n.23147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14328-2018 proposto da:

S.M., nella qualità di titolare della DITTA

INDIVIDUALE MIKISER, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato LUIGI DE GAETANO;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE DE LUCA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 653/2017 del TRIBUNALE di CASTROVILLARI,

depositata il 10/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 11/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

Fatto

RILEVATO

che:

S.M., quale titolare dell’azienda commerciale esercente attività di internet point e phone center, convenne in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Corigliano Calabro la Telecom Italia SpA per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 3.000,00, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito in conseguenza dell’interruzione del servizio di telefonia fissa dall’11 al 21-6-2010 e poi il 14-72010 sull’utenza allo stesso intestata; danno consistito in “stress, nervosismo, forte stanchezza e mancato guadagno”.

Con sentenza 572/2011 del 29-6-2011 l’adito Giudice di Pace, in parziale accoglimento della domanda, condannò la Telecom al pagamento della somma di Euro 1.000,00.

Con sentenza 653/2017 del 10-11-2017 il Tribunale di Castrovillari, in accoglimento dell’appello principale proposto dalla Telecom, ha rigettato la domanda risarcitoria del S., di cui ha respinto anche il gravame incidentale; in particolare il Tribunale ha, in via preliminare, rigettato l’eccezione di nullità dell’atto di appello principale, sollevata dal convenuto appellato per la mancata indicazione del suo codice fiscale, evidenziando al riguardo che la nullità prevista dall’art. 164 c.p.c. era stata sanata dal raggiungimento dello scopo; nel merito, precisato che la domanda era stata proposta (ed accolta) solo in ordine al danno non patrimoniale, ha rilevato che nè l’attore in primo grado nè il Giudice di pace avevano ricondotto la lesione, concretizzantesi in modificazioni delle abitudini relazionali e disagi, ad un interesse costituzionalmente protetto, sicchè doveva ritenersi insussistente un danno suscettibile di risarcimento.

Avverso detta sentenza S.M. propone ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi ed illustrato anche da successiva memoria.

La Telecom Italia SpA resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 163 c.p.c. si duole che il Tribunale, nonostante la mancanza nell’atto di appello del codice fiscale dell’appellato, abbia ritenuto sanata la nullità per il raggiungimento dello scopo.

Il motivo è infondato.

Come già precisato da questa S.C., invero, “la violazione della previsione contenuta nell’art. 125 c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. n. 193 del 2009, art. 4, comma 8, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 24 del 2010, secondo la quale “il difensore indica il proprio codice fiscale”, non è causa di nullità del ricorso, non essendo, tale conseguenza, espressamente comminata dalla legge, e non potendo ritenersi che siffatta omissione integri la mancanza di uno dei requisiti formali indispensabili all’atto per il raggiungimento dello scopo cui è preposto” (Cass. 767/2016). Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione degli artt. 115 e 342 c.p.c. e dell’art. 1226 c.c., si duole che il Tribunale non abbia considerato che i motivi posti a fondamento dell’appello erano generici e privi di fondamento, sicchè correttamente il Giudice di Pace, in assenza di una quantificazione precisa sull’ammontare, aveva fatto ricorso alla valutazione equitativa; la Compagnia telefonica aveva ripristinato il servizio dopo oltre due settimane, provocando un disservizio, ed era incorsa quindi in colpevole inadempimento, con conseguenti danni.

Il motivo è inammissibile.

Questa S.C. ha già affermato che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di individuare i termini del motivo e ciò che lo fonda – vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte; in particolare è stato precisato che “anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali”; nella specie il ricorrente non riporta i motivi di appello formulati dalla controparte, nè (come invece sostenuto in memoria) ne riporta il contenuto nella misura necessaria, impedendo, quindi, a questa S.C. di valutare la fondatezza o meno del motivo di ricorso per cassazione.

Il motivo è inammissibile anche nel punto in cui deduce incomprensibilmente una violazione dell’art. 1226 c.c. e dell’art. 115c.c.p., rimanendo tuttavia su un piano assolutamente generico senza identificare la parte della sentenza impugnata oggetto di critica (v. Cass. Sez. unite 7074/2017, in motivazione).

Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la violazione degli artt. 1175,1372,1375,1218 e 1453 c.c. nonchè dell’art. 32 Cost., si duole che il Tribunale, accertato l’inadempimento della Compagnia, non abbia poi ritenuto leso un interesse di rango costituzionale inerente al danneggiato, comportante un pregiudizio nella quotidianità del creditore; in particolare per non avere considerato che lo stress, il nervosismo, la forte stanchezza, il mancato guadagno incidono in generale sulla tenuta psico – fisica dell’individuo, per cui afferiscono alla salute in quanto diritto tutelato e protetto dall’art. 32 Cost..

Il motivo, rimanendo anch’esso su un piano assolutamente generico, è inammissibile; lo stesso, peraltro, non individua adeguatamente nè un interesse leso di rilevanza costituzionale nè una lesione grave dello stesso nè la non futilità del danno, così come invece richiesto da Cass. S.U. 26972/2008 (e seguenti), e non è quindi idoneo a contrastare l’impugnata decisione.

Con il quarto motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la violazione della L. n. 794 del 1942, art. 24, si duole della liquidazione delle spese operata dal Giudice di Pace.

Il motivo è inammissibile essendo incomprensibilmente diretto non alla statuizione del Tribunale ma a quella del Giudice di Pace.

In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019

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