Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23147 del 04/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 04/10/2017, (ud. 03/05/2017, dep.04/10/2017),  n. 23147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29872-2010 proposto da:

D.P.D., T.R., T.L., T.O.,

T.G., T.A., elettivamente domiciliati in

ROMA VIA GIULIO ARISTIDE SARTORIO 40, presso lo studio dell’avvocato

ANNA MOLLE, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI AVERSA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 204/2009 della COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA,

depositata il 03/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/05/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 21.12.2006 l’Agenzia delle Entrate notificava agli eredi di T.N., già titolare di una ditta individuale esercente attività di pulizie, un avviso di accertamento, per l’anno di imposta 1999, con il quale, ritenuta la sussistenza di “gravi incongruenze” tra i ricavi dichiarati (Lire 8.840.000) e quelli fondatamente attribuibili sulla base degli studi di settore (Lire 33.156.000), determinava le corrispondenti maggiori imposte Irpef, Irap ed Iva.

Gli eredi, nelle persone di D.P.D., T.G., O., L., R. ed A. proponevano ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Caserta che lo accoglieva con sentenza n. 500 del 2007.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale che lo accoglieva con sentenza del 3.11.2009, confermando l’avviso di accertamento impugnato.

Contro la sentenza di appello gli eredi di T.N. ricorrono per due motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Primo motivo: “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, alla L. n. 146 del 1998, art. 1e al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies convertito nella L. n. 427 del 1993”, poichè l’accertamento è fondato esclusivamente sugli studi di settore costituenti mere presunzioni semplici.

2. Secondo motivo: “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3 e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5”, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale non ha rilevato d’ufficio la nullità assoluta dell’atto impositivo perchè privo di motivazione, non contenendo una adeguata replica alle giustificazioni addotte dal contribuente, nonchè per mancato invito al contraddittorio.

I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Con la sentenza delle Sez. U. n.26635 del 2009 questa Corte non ha affermato che la procedura di accertamento mediante applicazione degli studi di settore prevista dal D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies convertito nella L. n. 427 del 1993, è ontologicamente inidonea a costituire prova presuntiva qualificata della esistenza di maggiori ricavi e quindi di maggior reddito tassabile. Ben diversamente, ha affermato che l’elemento presuntivo costituito dallo scostamento tra ricavi dichiarati e ricavi attribuibili mediante l’applicazione degli studi di settore acquisisce i necessari requisiti della gravità, precisione e concordanza solo a seguito del contraddittorio obbligatorio con il contribuente, il quale è legittimato ad opporre all’Ufficio la ricorrenza di circostanze che, nel caso concreto, hanno giustificato lo scostamento dal parametro ordinario di redditività, con conseguente onere in capo all’Ufficio di motivare l’avviso di accertamento anche con l’indicazione delle ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere le giustificazioni addotte dal contribuente.

A tali regole il giudice di appello si è conformato. Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti (in maniera contraddittoria: si deduce la nullità dell’avviso per mancata instaurazione del contradditorio preventivo e, contemporaneamente, si deduce la nullità dell’avviso perchè non motivato in ordine alle giustificazioni addotte dai contribuenti in sede di contraddittorio), la Commissione tributaria regionale ha rilevato che l’Ufficio, prima della notificazione dell’avviso di accertamento, ha proceduto in data 4.12.2006 all’instaurazione del contraddittorio con i contribuenti, i quali sia nel corso del contraddittorio preventivo che nel corso del successivo giudizio, non hanno fornito validi elementi a sostegno dello scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli accertati, avendo addotto, quale unica giustificazione alla rilevata sussistenza di “gravi incongruenze”, il decesso del titolare dell’impresa avvenuto nel 2005, ossia a distanza di ben sei anni dal periodo di imposta oggetto di accertamento (anno 1999).

Contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, il vizio di nullità dell’atto tributario (nella specie per difetto di motivazione) deve essere inteso come vizio di annullabilità, il quale non è rilevabile d’ufficio ad opera del giudice ma deve essere espressamente eccepita dalla parte interessata nel termine di decadenza previsto per la proposizione del ricorso a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21.

A conferma il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 61, comma 2 stabilisce espressamente che “la nullità dell’accertamento ai sensi dell’art. 42, comma 3 ed in genere per difetto di motivazione, deve essere eccepita a pena di decadenza nel giudizio di primo grado.” (conformi Sez. 5, Sentenza n. 8114 del 05/06/2002, Rv. 554887 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 18448 del 18/09/2015, Rv. 636451 – 01).

Spese regolate come da dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro duemila e cento oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2017

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