Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23145 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. I, 07/11/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 07/11/2011), n.23145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.V. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CALABRIA 17, presso lo studio dell’avvocato GALLO FABRIZIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato LO GIUDICE VINCENZO giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS) in persona del

Ministro in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza N. R.G. 79/09 della CORTE D’APPELLO di PALERMO

del 7/05/09, depositata il 26/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

è presente il P.G. in persona del Dott. NICOLA LETTIERI che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che M.V., con ricorso del 1 aprile 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo due motivi di censura -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Palermo depositato in data 26 maggio 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del M. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, -, in contraddittorio con il Ministro Ili dell’economia e delle finanze – il quale ha concluso per la reiezione del ricorso -, ha respinto la domanda;

che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 10.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 29 gennaio 2009, era fondata sui seguenti fatti: a) il M., asseritamente titolare di qualifica professionale superiore a quella attribuitagli, aveva proposto – con ricorso del 14 febbraio 1995 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Regione Siciliana; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza del 30 aprile 2008, rigettando la domanda;

che la Corte d’Appello di Palermo, con il suddetto decreto impugnato, ha respinto la domanda sia perchè la reiezione della domanda nel processo presupposto sulla base di pregressa ed univoca giurisprudenza dei t.a.r. dimostrava la originaria consapevolezza del ricorrente della manifesta infondatezza della stessa domanda, sia perchè non era stata mai presentata istanza di prelievo.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati congiuntamente -, viene denunciata come illegittima, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, l’affermata insussistenza del diritto all’indennizzo in base all’esito del giudizio presupposto ed alla mancata presentazione dell’istanza di prelievo;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che, infatti, questa Corte ha già più volte affermato il principio secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza dì prelievo od alla ritardata presentazione di essa, secondo cui l’innovazione, introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2 convertito in legge con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1 (per il quale la domanda non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza di prelievo ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51), non può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in mancanza di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere, e secondo cui – tuttavia – la mancata o ritardata presentazione dell’istanza di prelievo può incidere, entro i limiti dell’equità, sulla determinazione dell’entità dell’indennizzo, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni unite, 24901 del 2008, 14753 del 2010);

che tale orientamento giurisprudenziale ha ottenuto sostanziale avallo dalla Corte EDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi contro Italia) la quale, con due recentissime decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia; 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille/00 Euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 14753 del 2010 cit.);

che inoltre, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza dì queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte – come nella specie – sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le sentenze nn. 9938 del 2010, 25595 del 2008, 21088 del 2005);

che, nella specie, i Giudici a quibus hanno sostanzialmente – ed erroneamente – fondato la ratio decidendi sull’esito del giudizio presupposto, senza accertare la sussistenza dei presupposti della fattispecie di abuso del processo sulla base delle prove eventualmente dedotte dal Ministro resistente;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 500,00 per ciascuno degli anni di irragionevole durata del processo presupposto;

che, nella specie, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 va equitativamente determinato in Euro 6.580,00 per i tredici anni e due mesi circa di irragionevole ritardo, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere liquidate – sulla base delle tabelle A, par. 4^, e B, par. 1^, allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

PQM

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento al ricorrente della somma di Euro 6.580,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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