Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23138 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. I, 22/10/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 22/10/2020), n.23138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 28139/2014 proposto da:

Curatela del Fallimento della (OMISSIS) S.r.l., in persona del

curatore Avv. L.C., elettivamente domiciliata in Roma,

Piazza A. Capponi n. 16, presso lo studio dell’Avvocato Carlo

Cermignani, rappresentata e difesa dall’Avvocato Giovanni Schiavoni,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale

Mazzini n. 73, presso lo studio dell’Avvocato Vincenzo Augusto, che

la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 4449/2014 del Tribunale di Bari, depositato il

28/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/09/2020 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

NARDECCHIA Giovanni Battista, che si riporta alla requisitoria

scritta già depositata;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Giovanni Schiavoni che si

riporta ai propri atti ed insiste per l’accoglimento;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Arnaldo Del Vecchio, con

delega scritta dell’avv. Augusto, che si riporta ai propri atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Giudice delegato al fallimento di (OMISSIS) s.r.l. non ammetteva al passivo della procedura il credito di Euro 662.560,05 vantato da M.P.S. Gestione Crediti s.p.a., quale procuratore della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., a titolo di saldo di due rapporti di anticipazione su fatture accesi dalla compagine poi fallita.

2. A seguito dell’opposizione proposta da M.P.S. Gestione Crediti s.p.a. il Tribunale di Bari osservava in primo luogo che la mancata produzione di copia autentica del provvedimento impugnato non costituiva causa di improcedibilità del giudizio, poichè la disciplina di cui all’art. 339 c.p.c., non trova applicazione ai giudizi di opposizione a stato passivo.

Rispetto al merito della controversia il Tribunale riteneva che l’opposizione fosse meritevole di accoglimento, in quanto dalla congerie istruttoria risultava che la società fallita avesse perfezionato con la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. due contratti di conto corrente per anticipazione su fatture in virtù dei quali l’istituto di credito aveva effettuato una serie di anticipi per un complessivo ammontare, stando alle risultanze della consulenza espletata, di Euro 285.556,50.

3. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso la curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l. prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a..

Questa sezione, con ordinanza interlocutoria del 10 luglio 2019, ha rimesso la causa in pubblica udienza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., per la particolare rilevanza delle questioni di diritto su cui occorre statuire.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380 bis.1 c.p.c., sollecitando il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 339,345,347 e 348 c.p.c., L. Fall., artt. 97,98 e 99, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione fra le parti: il Tribunale, a fronte dell’eccezione della curatela in merito alla mancata presenza in atti di copia autentica del provvedimento impugnato, avrebbe escluso l’applicazione al giudizio di opposizione a stato passivo del disposto dell’art. 339 c.p.c., senza considerare però che il provvedimento del G.D. impugnato doveva comunque essere presente in atti al momento della decisione.

4.2 Il motivo è infondato.

4.2.1 La giurisprudenza di questa Corte ha – da tempo e costantemente – precisato che l’opposizione allo stato passivo del fallimento (come disciplinata a seguito del D.Lgs. n. 169 del 2007), ancorchè abbia natura impugnatoria, costituendo il rimedio avverso la decisione sommaria del giudice delegato, non è un giudizio di appello, per cui il relativo procedimento è integralmente disciplinato dalla L. Fall. (si vedano in questo senso, ex plurimis, 24972/2013, Cass. 9617/2016, 21581/2018 e Cass. 21581/2018).

In questa prospettiva interpretativa si è osservato che se il giudizio di opposizione a stato passivo, seppur di natura impugnatoria, non è qualificabile come appello, allo stesso non può di conseguenza trovare applicazione la disciplina di cui agli artt. 339 c.p.c. e segg.; il deposito della copia autentica del decreto impugnato nell’ambito del giudizio di opposizione a stato passivo può perciò effettuarsi in qualsiasi momento, anche nel giudizio di rinvio, fino alla chiusura del contraddittorio, trattandosi di documento indispensabile per la decisione (Cass. 18253/2015, Cass. 6804/2012).

Depone in questo senso del resto il dato testuale della L. Fall., art. 99, il quale, nell’indicare il necessario contenuto del ricorso introduttivo dell’opposizione e delle produzioni da compiersi in uno con il suo deposito, non fa alcun riferimento alla copia del decreto emesso dal G.D. in sede di formazione dello stato passivo.

La mancata produzione del provvedimento del G.D. contestualmente all’atto di opposizione non costituisce causa di improcedibilità del procedimento.

4.2.2 La natura impugnatoria del giudizio di opposizione rende evidente la necessità per il Tribunale di esaminare il contenuto del provvedimento del giudice delegato, perchè ad esso il collegio di merito deve giocoforza parametrare le censure prospettate dall’opponente al fine di accertarne la fondatezza.

Si tratta allora di stabilire le modalità con cui il giudice dell’opposizione possa venire a conoscenza del provvedimento impugnato e, più precisamente, se tale conoscenza dipenda necessariamente da un’iniziativa di parte.

La soluzione va cercata tenendo conto che l’opposizione allo stato passivo è – come detto – un procedimento di impugnazione non qualificabile come appello che rimane regolato dalla precipua disciplina prevista dalla L. Fall., artt. 98 e 99 e però, nel contempo, si sviluppa in seno alla procedura fallimentare, dalla quale non può essere isolato (e nel cui orizzonte le statuizioni assunte rimangono confinate L. Fall., ex art. 96).

Appare perciò un fuor d’opera il ricorso a una norma, l’art. 347 c.p.c., propria del giudizio di appello che l’impugnazione contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo non integra.

Piuttosto occorre considerare che gli atti e i provvedimenti attinenti al procedimento fallimentare, formati dagli organi della procedura o assunti dall’autorità giudiziaria nel progressivo evolversi del fallimento, sono raccolti nel fascicolo di cui alla L. Fall., art. 90, norma di portata generale che trova applicazione anche al procedimento di opposizione allo stato passivo (cfr. Cass. 16101/2014, Cass. 26639/2016).

Questi atti e provvedimenti rimangono nella disponibilità del giudice delegato e del Tribunale fallimentare, i quali possono attingere al fascicolo della procedura al fine di verificare e prendere in esame le statuizioni adottate nel corso del procedimento concorsuale.

Il decreto con cui il giudice delegato, ai sensi della L. Fall., art. 96, comma 4, forma lo stato passivo e lo rende esecutivo, una volta depositato, entra a far parte del fascicolo della procedura e, al pari degli altri documenti della medesima natura ivi contenuti, rimane acquisito nella sfera conoscitiva dell’autorità giudiziaria preposta al procedimento, liberamente (a differenza dei documenti già prodotti dal creditore istante in uno con la domanda di ammissione al passivo, che, pur essendo ora ricompresi nel fascicolo informatico della procedura, devono essere specificamente indicati, a pena di decadenza, all’interno dell’atto di opposizione L. Fall., ex art. 99, comma 2, n. 4, per poter poi essere utilizzati).

Il decreto in discorso sfugge quindi nell’ambito del giudizio di impugnazione regolato dalla L. Fall., artt. 98 e 99, tanto alla specifica disciplina del giudizio di appello, quanto alle regole in materia di produzione dei documenti di parte, perchè lo stesso, secondo la fisiologia propria del procedimento fallimentare, costituisce un atto del fascicolo della procedura consultabile da parte del Tribunale direttamente e senza impedimento alcuno (Cass. 3872/2020).

Pertanto non occorre che chi impugna il decreto di formazione dello stato passivo emesso dal giudice delegato produca necessariamente tale provvedimento nel corso del giudizio, perchè il Tribunale, ove questi abbia mancato di renderlo disponibile, accederà direttamente al fascicolo di cui alla L. Fall., art. 90, per conoscere il contenuto della statuizione che l’impugnazione intende censurare.

5.1 Il secondo mezzo assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116,212 e 277 c.p.c., artt. 2712,2719,2704,2697,1321,1325,1326 e 1418 c.c. e art. 117 T.U.B. nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione fra le parti: in tesi di parte ricorrente il Tribunale non avrebbe in alcun modo considerato le eccezioni della curatela sulla non conformità agli originali delle fotocopie esibite dalla banca, sulla mancanza di data certa di detti documenti, sulla non riconducibilità alla fallita della documentazione esibita e sulla mancanza di sottoscrizione dei medesimi documenti da parte della banca; il Tribunale, ove avesse provveduto alla delibazione delle eccezioni pretermesse, non sarebbe potuto addivenire alla conclusione del rituale perfezionamento dei contratti di conto corrente per anticipazione su fatture.

5.2 Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 61,112,191,194 e 277 c.p.c., artt. 1282,1283,1284,1418,1825,1826,1834,2697 e 2725 c.c. e art. 50 T.U.B. nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione fra le parti: il Tribunale, nell’ignorare le eccezioni della curatela in ordine alla non conformità delle fotocopie esibite dalla banca agli originali, alla mancanza di sottoscrizione della banca sui documenti prodotti, alla nullità o inefficacia delle clausole anatocistiche e in materia di capitalizzazione trimestrale degli interessi, determinazione di un interesse ultralegale o pattuizione della commissione di massimo scoperto nonchè rispetto all’assoluta carenza di prova del credito, avrebbe non solo omesso di provvedere sulle eccezioni sollevate, ma anche emesso un provvedimento in violazione del principio che regola l’onere probatorio ex art. 2697 c.c., dato che l’estratto conto prodotto aveva un valore dimostrativo limitato alla sede monitoria.

Oltre a ciò il Tribunale avrebbe supplito al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della banca disponendo una consulenza tecnica, nel corso della quale era stata esaminata documentazione non presente agli atti di causa e irritualmente acquisita, e in questo modo avrebbe ritenuto dimostrato il credito della banca piuttosto che constatare l’assenza di adeguata prova documentale a suffragio della domanda di insinuazione.

5.3.1 I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro parziale sovrapponibilità e dei coincidenti vizi che li affliggono, risultano l’uno inammissibile, l’altro in parte inammissibile, in parte infondato.

5.3.2 Il ricorrente, pur deducendo il mancato esame da parte del collegio dell’opposizione di svariate eccezioni sollevate, non ha riportato alcuna indicazione di elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale denunciato, onde consentire a questa Corte di apprezzare il preciso contenuto delle difese effettivamente tralasciate e controllare, senza compiere generali verifiche degli atti, in primo luogo la ritualità e la tempestività delle stesse e, in secondo luogo, la loro decisività.

Ora la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è sì anche giudice del fatto processuale e ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa al fine di valutare la fondatezza del vizio denunciato, purchè però lo stesso sia stato ritualmente indicato e allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4; è perciò necessario, non essendo tale vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (si vedano in questo senso, fra molte, Cass. 2771/2017, Cass. 19410/2015).

Occorreva pertanto che l’odierno ricorrente accompagnasse la denunzia del vizio con la riproduzione, diretta o indiretta, del contenuto dell’atto che sorreggeva la censura, dato che questa Corte non è legittimata a procedere a un’autonoma ricerca degli atti segnalati come viziati ma solo a una verifica del contenuto degli stessi.

In mancanza di una simile indicazione le doglianze in esame risultano, sul punto, giocoforza inammissibili per violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

5.3.3 L’apprezzamento da parte del consulente tecnico d’ufficio, nell’ambito di un esame contabile, di documenti non ritualmente prodotti in causa e senza il consenso delle parti è fonte di nullità relativa, al pari di ogni altro vizio della consulenza tecnica.

Una simile nullità rimane soggetta al regime di cui all’art. 157 c.p.c., sicchè il difetto deve ritenersi sanato se non è fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione peritale (Cass. 15747/2018, Cass. 8659/1999).

La mancata allegazione da parte del ricorrente di una tempestiva censura in sede di merito delle nullità asseritamente verificatesi nel corso delle operazioni peritali determina l’infondatezza, sul punto, del terzo motivo di ricorso, non risultando dimostrata la condizione necessaria perchè eventuali irregolarità commesse dal consulente tecnico possano ritenersi non sanate.

5.3.4 E’ ben vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte la banca, nell’insinuare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente, ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali (cfr. Cass. 22208/2018).

Assunto che tuttavia non può essere inteso, in mancanza di alcun precetto normativo al riguardo, nel senso che una simile produzione sia l’unica modalità con cui la banca possa dimostrare la fondatezza delle proprie pretese creditorie, ben potendo il creditore fare ricorso a ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo negativo maturato (Cass. 11543/2019).

Risultano poi inammissibili le doglianze sollevate al fine di sostenere l’impossibilità per il Tribunale, sulla base della documentazione prodotta, di statuire in merito all’esistenza del credito ammesso al passivo.

Una simile critica deduce, apparentemente, una violazione di norme di legge ma mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito e risulta, quindi, inammissibile (Cass. 8758/2017).

Il ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011).

5.3.5 L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel suo attuale testo riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nozione da intendersi come riferita a un preciso accadimento o una specifica circostanza in senso storico-naturalistico e non ricomprendente questioni o argomentazioni.

Sono quindi inammissibili le censure irritualmente formulate che estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. 21152/2014, Cass. 14802/2017).

Non risulta perciò censurabile sotto il profilo dedotto la mancata valutazione delle eccezioni e delle difese illustrate dalla procedura opposta nell’ambito del giudizio di merito.

6.1 Con il quarto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione degli artt. 90,91 e 92 c.p.c., nonchè dell’omesso esame di un fatto già oggetto di discussione fra le parti: il Tribunale, dopo aver erroneamente accolto l’opposizione ed ammesso il credito, avrebbe, altrettanto erroneamente, condannato la curatela al pagamento delle spese di lite e della consulenza tecnica espletata, senza tenere conto che il giudizio di opposizione si era reso necessario a causa dell’assoluta carenza di documentazione a corredo dell’istanza di ammissione al passivo.

6.2 Il motivo è inammissibile.

Nel liquidare le spese di lite il giudice del merito deve applicare il criterio della soccombenza previsto dall’art. 91 c.p.c., avendo riguardo all’esito finale del giudizio, che nel caso di specie ha condotto alla parziale ammissione al passivo del credito vantato dall’opponente.

A fronte di un esito parzialmente favorevole per l’opponente il Tribunale non poteva condannare l’opponente, neppure in parte, al pagamento delle spese processuali, le quali, ove non fossero state interamente poste a carico della procedura opposta, potevano solo essere, totalmente o parzialmente, compensate tra le parti in presenza dei presupposti previsti dall’art. 92 c.p.c., comma 2 (Cass. 21069/2016).

Quest’ultima facoltà rientrava poi nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non era tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del suo mancato uso; di conseguenza la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. 11329/2019).

7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

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