Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23138 del 17/09/2019

Cassazione civile sez. I, 17/09/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 17/09/2019), n.23138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3842/2018 proposto da:

W.S., rappresentato e difeso dall’Avv.to Marco Ugo Metano con

studio in Torino Corso Lione 72 giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1829/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 04/08/2017.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Torino con sentenza in data 4/8/2017, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Torino in ordine alle istanze avanzate da W.S. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dal Senegal aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Torino di essere fuggito dal proprio paese per motivi di salute in quanto affetto da epatite B e bisognoso di cure. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione il ricorrente affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,D.Lgs 25 del 2008, art. 8 ed D.P.R. n. 394 del 2004, art. 28, comma 1 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte, nonostante la situazione di vulnerabilità del ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria e non ha applicato i principi di cooperazione istruttoria in ordine alle dichiarazioni rese dal ricorrente ritenendolo non credibile.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la Corte non ha tenuto conto degli atti di persecuzione a cui andrebbe incontro il ricorrente in caso di ritorno in Senegal per ragioni di carattere religioso.

Il ricorso proposto che si articola in due motivi nei quali si chiede la protezione umanitaria è inammissibile.

Il riconoscimento della protezione umanitaria, secondo i parametri normativi stabiliti dal T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 2 e D.Lgs.n. 251 del 2007, art. 32, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale nel nostro paese come il ricorrente, non può escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine. A tal fine non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass., 23/02/2018, n. 4455).

Il diritto alla protezione umanitaria non può essere riconosciuto per il semplice fatto che lo straniero versi in non buone condizioni di salute, necessitando, invece, che tale condizione sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel Paese di provenienza (Cass., 21/12/2016, n 26641). Nel caso concreto, la Corte territoriale ha escluso – con ricorso a fonti internazionali citate nella decisione – che la regione di provenienza dell’istante sia connotata da una situazione di violenza indiscriminata e da violazioni di diritti umani. Quanto alla situazione di salute del ricorrente – affetto da epatite b non solo non risultato neppure allegato, nel giudizio di merito, che tale condizione sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel Paese di provenienza, ma la Corte territoriale ha, altresì, accertato che in Senegal è attivo un programma di screening per la profilassi dell’epatite, e che i soggetti risultati positivi sono stati sottoposti a cure.

L’eccessivo costo delle cure necessarie lamentato nel ricorso introduttivo è motivo nuovo che non è stato sollevato davanti alla Corte territoriale e pertanto inammissibile in Cassazione.

Tenuto conto della assenza di palesi violazioni dei diritti umani nel Paese d’origine, accertata dalla Corte d’appello con valutazione in fatto incensurabile, nessun rilievo assume, di per sè, la integrazione lavorativa del ricorrente (Cass. 4455/2018).

Per quanto sopra il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese di giudizio.

Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poichè la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, a motivo di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente che sui liquidano in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della Corte di Cassazione, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019

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