Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23136 del 17/09/2019

Cassazione civile sez. I, 17/09/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 17/09/2019), n.23136

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20838/2017 proposto da:

I.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Filippo

Marchetti 19 presso lo studio dell’avvocato Pinto Guglielmo che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Tarchini Maria

Cristina giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno Per il Riconoscimento Della Protezione

Internazionale Di Brescia – Commissione Territoriale;

– intimato –

avverso la sentenza n. 155/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 02/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/05/2019 da Dott. MELONI MARINA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Brescia con sentenza in data 2/2/2017, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale in ordine alle istanze avanzate da I.M. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dal Pakistan aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Brescia di essere fuggito dal proprio paese in quanto aveva ricevuto minacce ed era stato aggredito da alcuni uomini a causa della sua fede musulmana.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione il ricorrente affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 perchè la Corte territoriale non ha applicato i principi di cooperazione istruttoria in ordine alle dichiarazioni rese dal ricorrente ritenendolo non credibile.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. C) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte non ha tenuto conto che lo Stato di provenienza ha dimostrato di non volere e non potere fornire protezione al ricorrente contro le persecuzioni da lui subite ad opere dei gruppi sciiti a causa della dilagante corruzione.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. B in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte ha escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria nonostante il trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente a causa della sua appartenenza alla minoranza sciita.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, lett. C) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, in quanto la Corte, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.

Il ricorso è privo di fondamento e deve essere respinto.

Il primo motivo di ricorso relativo alla credibilità del richiedente in relazione allo status di rifugiato è inammissibile. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, invero, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. Per contro, poichè il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, il giudizio di fatto circa la credibilità del ricorrente non può essere censurato sub specie della violazione di legge (Cass., 05/02/2019, n. 3340). Inoltre, requisito essenziale per il riconoscimento dello “status” di rifugiato è, il fondato timore di persecuzione “personale e diretta” nel Paese d’origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate. Il relativo onere probatorio – che riceve un’attenuazione in funzione dell’intensità della persecuzione – incombe sull’istante, per il quale è tuttavia sufficiente dimostrare, anche in via indiziaria, la “credibilità” dei fatti allegati, i quali, peraltro, devono avere carattere di precisione, gravità e concordanza (Cass. 14157/2016). Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto la narrazione dei fatti, che avevano indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese, poco credibile in quanto confusa e lacunosa, trattandosi dell’aggressione di alcuni ragazzi per strada, la cui dinamica non era stata chiarita dal richiedente. Lo Stato (Pakistan) di appartenenza dell’istante era poi intervenuto tempestivamente su denuncia del medesimo, ed i responsabili dell’aggressione, erano stati processati ed assolti. Nè è parso credibile l’assunto circa la parzialità del giudice, tenuto conto anche del fatto che l’odierno ricorrente appartiene alla religione sunnita, praticata dall’80% circa della popolazione del Pakistan. A fronte di tali motivate argomentazioni, il motivo di ricorso – fondato inammissibilmente sulla violazione di legge – si limita ad allegazioni circa il regime giuridico dello status di rifugiato ed a riproporre questioni di merito, già sottoposte alla Corte territoriale.

Il secondo e terzo motivo (protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) persecuzione posta in essere da privati ex art. 5 cit. decreto) sono infondati in conseguenza dell’inammissibilità del primo. E’, difatti, evidente che i presupposti di cui all’art. 14, lett. a) e b) (condanna a morte e tortura) sono esclusi per effetto della non credibilità del richiedente (Cass., 19/02/2019, n. 4892). E’ bensì vero, inoltre, che il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Cass., 20/07/2015, n. 15192; Cass., 03/07/2017, n. 16356; Cass., 09/10/2017, n. 23604). E tuttavia, nel caso concreto, la Corte territoriale ha motivatamente escluso l’inerzia degli organi statali, essendo stati gli aggressori arrestati e sottoposti a processo, ed il ricorrente si limita a riproporre temi – come la parzialità del giudice – già esaminati dal giudice di merito, e non riesaminabili in questa sede.

Il quarto motivo è inammissibile.

Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria – secondo la disciplina previgente, applicabile ratione temporis (Cass. 4890/2019) -è evidente che la attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 4455/2018), la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi. Il che è stato escluso, nel caso di specie, per i motivi suesposti.

Per quanto sopra il ricorso proposto deve essere respinto. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla spese. Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della Corte di Cassazione, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019

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