Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23135 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. I, 22/10/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 22/10/2020), n.23135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12307/2019 r.g. proposto da:

H.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Federica

Montanari, con cui elettivamente domicilia in Roma, Viale

Maresciallo Pilsudki n. 118, presso lo studio dell’Avvocato Luca

Zanacchi;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna, depositato in data

14.3.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/7/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Bologna ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da H.S., cittadino (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato in (OMISSIS) e di essere sposato con donna marocchina, titolare di regolare permesso di soggiorno e residente in Italia con i due figli; ii) di essere entrato nel territorio italiano in condizioni di irregolarità per ricongiungersi ai suoi familiari e per svolgere regolare attività lavorativa in Italia.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della mancata allegazione da parte del ricorrente dei presupposti fattuali legittimanti la richiesta protezione internazionale; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Marocco, paese di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato, c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che non era stata documentata la proposizione della domanda volta al ricongiungimento familiare e perchè il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano, essendo, invece, emersa la diversa circostanza della commissione in Italia di diversi e gravi reati da parte del ricorrente.

2. Il decreto, pubblicato il 14.3.2019, è stato impugnato da H.S. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14 e 17, D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in riferimento ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dell’art. 2 Cost. e dell’art. 8 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo.

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1 Già il primo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.

La censura mossa dal ricorrente non coglie, invero, la ratio decidendi della motivazione impugnata che, in relazione al profilo del diniego del richiesto status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, non fonda la decisione di rigetto delle relative domande su uno scrutinio negativo del racconto del richiedente che, anzi, viene posto alla base del predetto provvedimento di diniego, e ciò proprio in riferimento alla riferita necessità di emigrare per ragioni economiche e per la volontà di ricongiungersi ai famigliari residenti in Italia.

Ne consegue che la censura mossa alla valutazione di non credibilità del ricorrente (valutazione – come detto – mai espressa dal tribunale emiliano) si pone “fuori fuoco” rispetto alle ragioni poste a sostegno della decisione impugnata e determina il sicuro insuccesso delle doglianze così veicolate da parte del ricorrente.

Ed invero, il ricorrente ha riferito che le ragioni della sua emigrazione dal paese di origine erano collegate alla volontà di trovare un lavoro in Italia e il tribunale ha correttamente evidenziato che la fattispecie concreta allegata dal richiedente per invocare la richiesta protezione internazionale non rientrava nel paradigma applicativo della disciplina protettiva dettata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, e ciò con particolare riferimento al richiesto riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria sempre D.Lgs. n. 251, ex art. 14, lett. e b, sopra richiamato.

A fronte di questa chiara (e condivisibile, dal punto di vista giuridico) motivazione espressa dal tribunale, il ricorrente ha incomprensibilmente impugnato una presunta valutazione negativa dei giudici del merito in relazione al profilo di credibilità del ricorrente, valutazione, invece, mai espressa da parte del tribunale.

4.2 Anche il secondo motivo è inammissibile per come formulato.

Il motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del Marocco, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che nel predetto paese nordafricano non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata.

4.3 La terza censura è inammissibile perchè, in primis, non coglie le rationes decidendi della motivazione impugnata. Ed invero, il provvedimento del tribunale emiliano fonda la sua decisione di diniego dell’invocata protezione umanitaria, da un lato, sulla mancata dimostrazione di un serio radicamento nella realtà sociale italiana da parte del richiedente (che, anzi, si sarebbe macchiato della commissione di diversi e gravi reati, nella sua permanenza da irregolare in Italia) e, dall’altro, dalla mancata dimostrazione in giudizio della presentazione di una domanda volta al riconoscimento delle ragioni del richiedente in merito alla sua esigenza di ricongiungimento familiare. Orbene, tali ragioni della decisione sono state trascurate dal ricorrente che, invece, sul punto qui da ultimo in discussione, ha solo avanzato generiche richieste di rivalutazione del merito della decisione attraverso la rilettura degli atti istruttori.

4.3.1 A ciò va aggiunto che non corrisponde al vero il denunciato profilo di omesso esame di fatti decisivi, declinato dal ricorrente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che il provvedimento impugnato ha, al contrario, esaminato funditus la questione relativa alla situazione familiare del ricorrente (e cioè presenza della moglie – anch’ella cittadina marocchina e titolare di permesso di soggiorno – e dei due figli in Italia), ritendola non rilevante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, in assenza della prova della presentazione della sopra ricordata domanda di ricongiungimento e comunque contraddetta dai numerosi comportamenti antisociali del ricorrente, che risulta aver commesso numerosi e gravi reati nel suo periodo di soggiorno irregolare in Italia.

4.3.2 Per il resto la doglianza rivolge – come sopra accennato – irricevibili richieste di rivalutazione del merito della decisione.

Sul punto, non è inutile ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012 (cfr. Sez. 6, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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