Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23131 del 17/09/2019

Cassazione civile sez. II, 17/09/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 17/09/2019), n.23131

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

N.P., rappresentato e difeso dagli Avvocati Giancarlo

Tonetto e Giandomenico De Francesco, con domicilio eletto presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, via Filippo Corridoni, n. 19;

– ricorrente –

contro

ORDINE PROVINCIALE DEI MEDICI CHIRURGHI E DEGLI ODONTOIATRI DI

VENEZIA; PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI

VENEZIA; MINISTERO DELLA SALUTE; FEDERAZIONE NAZIONALE DELL’ORDINE

DEI MEDICI CHIRURGHI E DEGLI ODONTOIATRI;

– intimati –

per la cassazione della decisione della Commissione centrale per gli

esercenti le professioni sanitarie depositata il 13 febbraio 2019.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12

settembre 2019 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento per

quanto di ragione del sesto motivo, assorbito l’ottavo,

inammissibile il nono, rigetto del resto;

udito l’Avvocato Giancarlo Tonetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – L’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della Provincia di Venezia, con Delib. 13 ottobre 2014, ha irrogato al Dott. N.P. la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per mesi diciotto, avendolo ritenuto responsabile dei seguenti addebiti:

avere – nella sua qualità di titolare dell’omonimo studio dentistico sito in (OMISSIS) – reiteratamente consentito ed agevolato, con più atti costituenti attuazione di un unitario disegno criminoso, l’esercizio abusivo all’interno dello stesso delle professioni sanitarie di odontoiatra e igienista dentale da parte dell’assistente alla poltrona L.R. (la quale, in particolare, aveva proceduto ad espletare interventi di pulizia dentaria e ablazione del tartaro, nonchè ad eseguire lastre radiografiche a denti), senza che questa fosse in possesso della prescritta abilitazione dello Stato e degli indispensabili requisiti tecnici (in violazione dell’art. 67 codice deontologico e della L. 5 febbraio 1992, n. 175, art. 8);

avere – nella qualità sopra indicata – reiteratamente abbandonato in modo incontrollato nei cassonetti della spazzatura della raccolta comune o comunque smaltito secondo modalità illecite rifiuti speciali pericolosi a rischio infettivo prodotti nello svolgimento della sua attività odontoiatrica (in violazione dell’art. 5 codice deontologico);

– avere tenuto un comportamento non collaborativo (in violazione dell’art. 64 codice deontologico), non presentandosi mai alle convocazioni del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, ex art. 39, avanti al presidente della Commissione albo odontoiatri (CAO), che in più occasioni aveva precisato come questa fase pre-disciplinare fosse indispensabile ai fini dell’istruttoria.

2. – L’incolpato ha proposto gravame avverso la Delibera dell’Ordine, che è stato rigettato dalla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie con decisione depositata in segreteria il 13 febbraio 2019.

2.1. – La Commissione centrale – dopo avere rilevato che al Dott. N. è stata applicata dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Venezia, ex art. 444 c.p.p., la pena di Euro 160 di multa per il reato di cui all’art. 348 c.p. e di tre mesi di arresto e di Euro 1.400 di ammenda per lo smaltimento di rifiuti speciali con modalità illecite – ha escluso che sussista l’obbligo per il giudice disciplinare di attendere l’esito del procedimento penale, affermando che la Commissione ben può assumere i fatti posti a fondamento dell’imputazione di natura penale come presupposto e base giuridica per l’avvio di un autonomo procedimento disciplinare rivolto a valutare l’illiceità della condotta sotto il profilo deontologico.

La Commissione centrale ha inoltre rigettato il motivo di impugnazione con cui il N. ha eccepito la nullità degli atti del procedimento disciplinare per violazione del diritto di difesa, osservando che l’Ordine territoriale ha fatto tutto quanto necessario per rispettare il principio del contraddittorio e la possibilità di difesa da parte del ricorrente.

Quanto, poi, al dedotto vizio di partecipazione del Dott. N.G., presidente della Commissione albo odontoiatri (CAO), in seno all’organo di disciplina, vizio dovuto alla situazione di incompatibilità allo stesso afferente per la grave inimicizia con l’incolpato, la Commissione centrale, dopo avere premesso che non risulta agli atti del procedimento la proposizione rituale da parte del ricorrente di istanza di ricusazione, ha rilevato che l’audizione preliminare è riservata in modo esclusivo dalla legge (D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39) al presidente dell’organo di disciplina e che, comunque, tale preliminare attività non ha alcun rilievo e incidenza sul momento decisorio (atteso che l’istituto dell’audizione è atto processuale affine all’invito a dedurre). In ogni caso – ha precisato la Commissione centrale – per quanto riguarda la seduta della CAO in cui si è deliberato di aprire il procedimento disciplinare, il Dott. N.G. si è allontanato dalla sede della riunione e non ha partecipato nè alla discussione sul caso nè alla votazione per la relativa decisione.

La Commissione centrale ha infine rilevato: che è legittimo il provvedimento disciplinare che si basi sulle risultanze delle indagini preliminari compiute in sede penale, ove il relativo giudizio si sia poi concluso con una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., quando l’organo disciplinare proceda ad una autonoma valutazione dei fatti accertati, come verificatosi nel caso di specie; che la Commissione di disciplina ha rivalutato gli elementi probatori emersi in sede penale, giungendo a contestare all’incolpato violazioni aventi rilevanza deontologica; che gli atti delle indagini preliminari ben possono costituire elemento di prova in sede disciplinare quanto all’accertamento dei fatti nella loro oggettività.

3. – Per la cassazione della decisione della Commissione centrale il Dott. N.P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 25 febbraio 2019, sulla base di otto motivi.

Il ricorrente ha altresì richiesto (al punto 9 del ricorso) la sospensione degli effetti della decisione impugnata.

Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva in questa sede.

In prossimità dell’udienza, in data 11 settembre 2019, il ricorrente ha depositato documenti (la Delib. 26 giugno 2019 dell’Ordine dei medici di Venezia che dà attuazione, con decorrenza 1 agosto 2019, al provvedimento di sospensione impugnato; la richiesta del legale del ricorrente volta ad ottenere la revoca della citata Delibera; la comunicazione del 6 agosto 2019 dell’Ordine dei medici di Venezia che respinge la richiesta e conferma l’attuazione del provvedimento disciplinare; la comunicazione del 23 agosto 2019 della difesa del ricorrente alla Commissione centrale per conoscere le modalità e i criteri con cui si è proceduto alla nomina dei componenti della Commissione centrale che hanno adottato la deliberazione impugnata, con riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 215 del 2016).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va rilevato che nessuna incidenza sulla decisione impugnata può avere l’interrogativo – esternato dalla difesa del ricorrente con la nota in data 23 agosto 2019 rivolta alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie – sulle modalità e i criteri di nomina dei componenti della Commissione stessa che hanno adottato la decisione impugnata. Poichè, infatti, in nessun motivo del ricorso per cassazione è stata censurata la nullità della decisione impugnata per vizi di composizione dell’organo giudicante, detta nullità, suscettibile di essere fatta valere nei limiti e secondo le regole proprie dei mezzi di impugnazione ex art. 161 c.p.c., comma 1, non può essere prospettata per la prima volta con la documentazione depositata in cancelleria in prossimità dell’udienza (cfr. Cass., Sez. II, 31 ottobre 2018, n. 27923).

2. – Con il primo motivo si denuncia la nullità della decisione impugnata per omessa convocazione del ricorrente avanti alla Commissione centrale per l’adunanza del 5 ottobre 2018, in violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, artt. 59 e 62, anche in relazione agli artt. 24 e 111 Cost.. Il ricorrente sottolinea che nessuna convocazione è stata effettuata dalla Commissione centrale al Dott. N.P., nè alla sua residenza in (OMISSIS), nè presso il difensore avv. Giandomenico De Francesco in (OMISSIS), nello studio del quale, in (OMISSIS), egli aveva eletto domicilio nel ricorso ex art. 54 del D.P.R. n. 221 del 1950 con cui aveva impugnato la delibera dell’Ordine provinciale di Venezia.

2.1. – La censura è infondata.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. III, 27 agosto 1999, n. 8996; Cass., Sez. III, 27 luglio 2001, n. 10284; Cass., Sez. III, 22 marzo 2013, n. 7247), nel procedimento di impugnazione innanzi alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie del provvedimento dell’Ordine professionale territoriale con il quale è stata irrogata una sanzione disciplinare nei confronti del professionista, questi, ma anche le altre parti del giudizio, hanno facoltà di richiedere di essere udite. Pertanto, ove esse ne facciano richiesta, la trattazione del ricorso nell’adunanza fissata deve avvenire alla loro presenza. Ne consegue la necessità dell’avviso alle parti della convocazione dell’adunanza, previsto dal D.P.R. n. 221 del 1950, art. 62, comma 1.

Tale principio è stato osservato nella specie nel procedimento svoltosi dinanzi alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.

Risulta infatti dagli atti che, fissata l’udienza del 5 ottobre 2018 per l’esame del ricorso del Dott. N.P., questi è stato convocato alla predetta udienza con apposita comunicazione (firmata dal segretario della Commissione Dott. F.A.), effettuata il 3 settembre 2018 alle ore 10:04:42 a mezzo pec presso il suo difensore avv. Giancarlo Tonetto, all’indirizzo di posta elettronica giancarlo.tonetto.venezia.pecavvocati.it (vale a dire all’indirizzo indicato dal Dott. N. per le comunicazioni nel ricorso del D.P.R. n. 221 del 1950, ex art. 54, davanti alla Commissione centrale). Nella predetta comunicazione si rammentava che all’udienza dinanzi alla Commissione centrale erano ammesse sia la partecipazione delle parti che l’assistenza legale.

3. – Con il secondo mezzo il ricorrente eccepisce la prescrizione dell’azione disciplinare e, conseguentemente, lamenta la violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51. I fatti che avrebbero comportato la violazione delle norme disciplinari sarebbero accaduti nel 2011; e siccome la durata del procedimento disciplinare non può superare i cinque anni, la Commissione centrale – si sostiene – avrebbe dovuto dichiarare la prescrizione dell’azione disciplinare.

3.1. – Il motivo è infondato.

La censura si limita a rilevare che le condotte oggetto della contestazione disciplinare, conseguenti al controllo dei NAS presso l’ambulatorio dentistico del Dott. N., sono state poste in essere nel 2011 e che la durata del procedimento disciplinare ha superato i cinque anni previsti dal D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51.

Ma il motivo non considera:

che l’azione disciplinare è stata promossa dopo che il giudice del Tribunale di Venezia aveva emesso sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti; e sotto questo profilo va ribadito che il termine quinquennale di prescrizione, cui è soggetta l’azione disciplinare, decorre dalla commissione dell’illecito, ma è interrotto dall’eventuale avvio di procedimento penale a carico dell’incolpato (Cass., Sez. III, 2 marzo 2006, n. 4658; Cass., Sez. III, 7 maggio 2009, n. 10517);

che la prescrizione quinquennale prevista dal D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51, dell’azione disciplinare nei confronti degli esercenti professioni sanitarie è interrotta con effetto istantaneo ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 1, dal promovimento della detta azione disciplinare in sede amministrativa (nella specie avvenuto nella seduta del 18 settembre 2013), mentre per la fase giurisdizionale davanti alla Commissione centrale (avviata l’11 novembre 2014 con la notifica del ricorso) è applicabile del menzionato art. 2945, il comma 2, che prevede l’effetto permanente dell’interruzione (Cass., Sez. III, 30 luglio 2001, n. 10396; Cass., Sez. III, 15 giugno 2006, n. 13771).

4 – Con il terzo motivo (rubricato “della pregiudizialità del giudizio penale rispetto a quello disciplinare in applicazione dell’art. 295 c.p.c.”) il ricorrente deduce che il procedimento disciplinare è stato avviato dall’Ordine quando la fase processuale penale, che ha interessato il Dott. N.P., non si era ancora pacificamente conclusa, avendo la Corte di cassazione fissato per l’udienza del 19 dicembre 2013 la discussione sul ricorso in cassazione avverso la sentenza ex art. 444 c.p.p.; e deduce che, poichè solo con la decisione del 19 dicembre 2013 la Cassazione avrebbe definito il processo penale, tutte le attività e i provvedimenti, nel frattempo adottati dall’Ordine, sarebbero radicalmente nulli.

4.1. – Il motivo è infondato.

La censura muove dal presupposto che il procedimento disciplinare non avrebbe potuto essere avviato fino a che non fosse divenuta irrevocabile la sentenza, emessa dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Venezia in data 2 maggio 2012, di applicazione della pena su richiesta delle parti; ma si tratta di presupposto interpretativo erroneo, giacchè con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale è venuto meno il principio della cosiddetta pregiudiziale penale.

E’ stato infatti chiarito (Cass., Sez. III, 29 settembre 2006, n. 21251; Cass., Sez. II, 26 giugno 2019, n. 17556) – proprio in sede di ricorsi avverso decisioni disciplinari rese dalla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie – che la sospensione del processo è necessaria solo quando la previa definizione di altra controversia, penale o amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice, sia imposta da un’espressa disposizione di legge, ovvero quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l’indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipende la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato; ne consegue che allorquando pendano nei confronti della medesima persona, contemporaneamente, un procedimento penale ed un procedimento disciplinare, quest’ultimo non deve essere necessariamente sospeso, salvo che la sospensione non risulti essere imposta da una specifica disposizione di legge, perchè la definizione del procedimento penale non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico del giudizio disciplinare, non solo perchè questo si fonda sul diverso presupposto della violazione di regole deontologiche e non penali, ma anche perchè, dal combinato disposto degli artt. 653 vigente c.p.p. e art. 211 disp. att. c.p.p. si evince il venir meno, con l’entrata in vigore del nuovo codice di rito, del principio della cosiddetta pregiudiziale penale sancita, in via generale, dall’art. 3 dell’abrogato c.p.p..

E’ pertanto corretta la statuizione della Commissione centrale che ha escluso che la previa definizione del procedimento penale costituisca necessario presupposto per l’avvio del procedimento disciplinare.

5. – Il quarto motivo è rubricato “della nullità del procedimento disciplinare per violazione degli artt. 24 e 111 Cost.”. Secondo il ricorrente, nel procedimento disciplinare sarebbero state più volte violate le previsioni contenute negli artt. 24 e 111 Cost., essendo stato negato, all’incolpato, ogni diritto di difesa, tanto che è stato persino impedito al suo difensore di partecipare alla riunione del 21 gennaio 2014 dopo che erano state negate, ingiustamente, le richieste di differimento inviate dal legale dell’iscritto.

5.1. – La censura è inammissibile per genericità.

La doglianza, infatti, non si confronta con la specifica statuizione della Commissione centrale, la quale ha affermato, per un verso, che l’Ordine ha provveduto a convocare il Dott. N. per la celebrazione della seduta disciplinare, inviando copia della predetta comunicazione anche al suo difensore, avv. Tonetto, e, per l’altro verso, che non risponde al vero la circostanza secondo cui il legale del Dott. N. non avrebbe avuto modo di esaminare la documentazione in tempo utile per la seduta del 21 gennaio 2014, risultando che gli atti del fascicolo disciplinare sono stati consegnati al ricorrente in data 24 dicembre 2013, in esito ad una istanza di accesso avanzata in data 17 dicembre 2013.

D’altra parte, il ricorrente per cassazione, nel dedurre che al suo difensore è stato impedito di partecipare alla riunione del 21 gennaio 2014, affida la censura ad un richiamo generico al documento n. 28, senza neppure riportarne il contenuto.

Altrettanto priva di specificità è la doglianza secondo cui “ingiustamente” non sarebbero state accolte “le richieste di differimento inviate dal legale dell’iscritto”, come pure la censura “che in fase di appello… sono state più volte violate le previsioni contenute negli artt. 24 e 111 Cost.”.

6. – Con il quinto motivo ci si duole della nullità del procedimento disciplinare per la partecipazione allo stesso, in violazione dell’art. 111 Cost., del presidente, Dott. N.G., benchè incompatibile. Il procedimento disciplinare sarebbe nullo perchè a tutte le attività preliminari e processuali e fino alla stessa riunione del 21 gennaio 2014 avrebbe partecipato il Dott. N.G., il quale, in grave inimicizia con il ricorrente, era tenuto ad astenersi. Il Dott. N.G. avrebbe curato, personalmente, tutte le fasi precedenti al dibattimento disciplinare, e siccome il procedimento disciplinare si sviluppa in più fasi, tutte tra loro collegate ed interdipendenti, l’illegittimità anche di una sola di esse travolgerebbe l’intero processo.

6.1. – Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio della decisione impugnata.

Da un lato, infatti, la Commissione centrale ha rilevato che – a fronte della ipotizzata situazione di grave inimicizia tra l’incolpato ed il Dott. N.G., presidente della Commissione albo odontoiatri, che avrebbe dovuto comportare l’astensione di quest’ultimo dal partecipare alla seduta dell’organo di disciplina – non risulta agli atti del procedimento la proposizione rituale di istanza di ricusazione da parte del ricorrente. In sostanza, la Commissione centrale muove dalla considerazione che, in difetto di rituale ricusazione presentata dall’incolpato, la violazione dell’obbligo di astensione da parte del presidente della Commissione albo odontoiatri non è deducibile come motivo di nullità della decisione dell’organo di disciplina. Nei confronti di questa statuizione manca una censura specifica, perchè il ricorrente si limita a dedurre che “il procedimento disciplinare è nullo perchè a tutte le attività preliminari e processuali e fino alla stessa riunione del 21 gennaio 2014 ha partecipato il Dott. N.G., il quale, in grave inimicizia con il ricorrente, era tenuto ad astenersi”.

Dall’altro lato, la Commissione centrale ha attribuito rilievo dirimente, per escludere la lamentata nullità del procedimento disciplinare, alla circostanza che il Dott. N.G. si è allontanato dalla sede della riunione allorchè la Commissione albo odontoiatri ha deliberato di aprire il procedimento disciplinare a carico del Dott. N.P., e non ha partecipato nè alla discussione sul caso nè alla votazione per la relativa decisione. Sotto quest’ultimo profilo, è generica la censura secondo cui l’incolpato – essendogli stato “impedito di partecipare alla riunione” del 21 gennaio 2014 – non avrebbe potuto verificare l’allontanamento dalla stessa del Dott. N.G..

In questa prospettiva, rimane priva di valenza viziante la circostanza – su cui insiste il ricorrente a pag. 19 – che il Dott. N.G. avrebbe curato, personalmente, tutte le fasi precedenti al dibattimento disciplinare.

7. – Con il sesto motivo il ricorrente censura le “ulteriori violazioni alla procedura disciplinare sulle quali la Commissione centrale ha omesso di pronunciarsi”. Avrebbe errato la Commissione centrale a ritenere che tanto il quarto motivo che il quinto di gravame risulterebbero assorbiti dalla trattazione (rispettivamente) del secondo e del primo motivo di gravame. Infatti il quinto motivo del gravame alla prima Delibera riguardava la contestazione della pretesa violazione dell’obbligo di collaborazione con l’Ordine, questione che la Commissione centrale non avrebbe per nulla affrontato, nonostante detta mancata collaborazione abbia inciso sulla quantificazione della sanzione disciplinare. Il Dott. N.P. – si sostiene nel ricorso avrebbe sempre risposto a tutte le convocazioni della Commissione e del suo presidente, mettendo a disposizione la sua difesa tecnica; più volte, attraverso il proprio legale, con difesa tecnica, consentita dal codice deontologico, l’incolpato si sarebbe offerto di dimostrare l’insussistenza degli addebiti, ma al suo difensore sarebbe stato persino impedito di partecipare all’udienza del 21 gennaio 2014, in cui si discuteva delle violazioni disciplinari che sarebbero state contestate. Secondo il ricorrente, pertanto, andava escluso che vi fosse stata la mancata collaborazione, per cui la gravata decisione, sul punto, andava riformata. Ad avviso del ricorrente, neppure sussisterebbe la contestata incoerenza della reiterata richiesta di attendere gli esiti del ricorso per cassazione: infatti, il Consiglio dell’Ordine non avrebbe potuto avviare il procedimento disciplinare, nè adottare il provvedimento sanzionatorio, perchè alla data del 21 gennaio 2014, quando la Commissione ha trattato il procedimento disciplinare, non era ancora nota la decisione della Corte di cassazione.

7.1. – Il motivo è – nei sensi di seguito precisati – fondato.

Con il quarto motivo di doglianza fatto valere con il ricorso davanti alla Commissione centrale, il N. ha censurato l’intervenuto accertamento della sussistenza della violazione, da parte dell’iscritto, dell’obbligo di collaborazione con l’Ordine.

Tale motivo è stato ritenuto assorbito dalla Commissione centrale (così a pag. 5 della decisione impugnata).

La statuizione di assorbimento è erronea.

Occorre considerare che il Dott. N. è stato sanzionato, a tale riguardo, per avere tenuto, in violazione dell’art. 64 codice deontologico, un comportamento non collaborativo, non presentandosi mai alle convocazioni del D.P.R. n. 221 del 1950, ex art. 39, avanti al presidente della CAO, che in più occasioni aveva precisato come questa fase pre-disciplinare fosse indispensabile ai fini dell’istruttoria.

Il ricorrente ha contestato questo esito decisorio, evidenziando di avere sempre risposto a tutte le convocazioni della Commissione e del suo presidente, mettendo a disposizione la sua difesa tecnica, data la particolarità delle contestazioni che erano state mosse e le problematiche, strettamente tecnico-giuridiche, che erano emerse e che esulavano dalla sua conoscenza e che potevano essere adeguatamente rappresentate solo da un legale.

La Corte rileva che è assorbente in punto di diritto rilevare che, in applicazione del principio nemo tenetur contra se edere, il sanitario convocato in sede istruttoria, ai sensi del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39, per rispondere riguardo ad ipotesi di illecito disciplinare conseguenti alla emissione, a suo carico, di una sentenza di applicazione della pena su richiesta, non è tenuto ad osservare il dovere di verità, nè a fornire chiarimenti, sicchè la mancata presentazione a tale convocazione non integra l’illecito disciplinare previsto dall’art. 64 codice di deontologia medica, che sancisce il dovere del sanitario di collaborare con il proprio Ordine nell’espletamento delle funzioni e dei compiti ad esso attribuiti dall’ordinamento.

Come è stato chiarito da questa Corte in altra occasione (Cass., Sez. II, 17 gennaio 2014, n. 870), infatti, del D.P.R. n. 221 del 1950, citato art. 39, espressamente include nell’ambito del procedimento disciplinare il momento – anteriore alla formale apertura che si ha con la contestazione dell’addebito e con la fissazione della data della seduta per il giudizio – della raccolta delle opportune informazioni, comprendente l’audizione del sanitario interessato da parte del presidente della competente Commissione. Poichè l’istruzione preliminare non è una fase esterna al procedimento disciplinare, non può dirsi che il sanitario, convocato in sede istruttoria per rispondere a domande con riguardo a fatti integranti ipotesi di illecito disciplinare, sia tenuto a dare risposta a richieste di chiarimenti. Se così fosse, sarebbe vulnerata la regola, basilare di ogni procedimento disciplinare, abbia esso movenze giurisdizionali o amministrative, del nemo tenetur contra se edere, espressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito e prevalente sull’esigenza del pieno e corretto esercizio delle funzioni istituzionali degli ordini professionali.

Ha pertanto errato la Commissione centrale a ritenere assorbito il quarto motivo di gravame e così a confermare la sanzione disciplinare per l’illecito disciplinare di omessa collaborazione conseguente alla mancata presentazione, da parte del professionista, dinanzi al presidente della Commissione che lo aveva convocato in istruttoria disciplinare del D.P.R. n. 221 del 1950, ex art. 39.

In questi limiti va accolto il motivo.

Per il resto, la doglianza articolata con il motivo – là dove si sostiene che il Consiglio dell’ordine non avrebbe potuto avviare il procedimento disciplinare perchè alla data del 21 gennaio 2014, quando la Commissione ha trattato il procedimento disciplinare, non era ancora nota la decisione della Corte di cassazione – è priva di fondamento, perchè muove dalla premessa, già disattesa in sede di scrutinio del terzo motivo, che vede nella definizione del procedimento penale l’indispensabile antecedente-logico giuridico del giudizio disciplinare.

8. – Con il settimo motivo (“della violazione della L. n. 175 del 1992, art. 8”) il ricorrente rimprovera al giudice disciplinare di avere sostenuto contemporaneamente che la sanzione disciplinare sarebbe stata correttamente applicata perchè vi è stata una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e che la Commissione avrebbe rivalutato gli elementi probatori emersi in sede penale, quando nessuna attività istruttoria è stata svolta dall’Ordine territoriale. Il ricorrente sostiene inoltre: che la sentenza penale di patteggiamento non fa stato nel procedimento penale nè può essere recepita acriticamente come fondamento per una affermazione di responsabilità; che in sede disciplinare non poteva essere utilizzata l’attività di indagine – peraltro neppure acquisita – che sarebbe stata svolta dalla Procura della Repubblica di Venezia, trattandosi di attività di parte che viene consegnata al GUP, nel procedimento definito ex art. 444 c.p.p., al solo fine di verificare la congruità dell’accordo tra accusa e difesa; che la Commissione disciplinare non ha svolto una qualche attività istruttoria per verificare se i fatti contestati dal pubblico ministero e ripresi nel capo di incolpazione fossero effettivamente avvenuti. Infine, il ricorrente ricorda che l’onere della prova, nel procedimento disciplinare, grava sulla Commissione, che aveva l’obbligo di acquisire elementi, certi, per fondare la sua decisione.

8.1. – Il motivo è infondato.

La Commissione centrale ha ritenuto la legittimità della impugnata Delibera dell’Ordine di Venezia, avendo rilevato che il relativo provvedimento si basa sulle risultanze delle indagini preliminari compiute in sede penale, essendosi il relativo giudizio concluso con una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., ed avendo l’organo disciplinare proceduto ad una autonoma valutazione dei fatti accertati sotto il profilo deontologico.

Così decidendo, la decisione impugnata si sottrae alle censure articolate dal ricorrente.

Correttamente la Commissione centrale ha dato rilievo alla sentenza penale di patteggiamento (divenuta irrevocabile a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione), con cui gli è stata applicata la pena di Euro 160 di multa per il reato di cui all’art. 348 c.p. e quella di tre mesi di arresto e di Euro 1.400 di ammenda per lo smaltimento di rifiuti speciali con modalità illecite, e alle risultanze delle indagini compiute in sede penale, trasfuse nella sentenza del giudice dell’udienza preliminare di applicazione della pena su richiesta delle parti: difatti, a norma degli artt. 445 e 653 c.p.p., come modificati dalla L. 27 marzo 2001, n. 97, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ha efficacia di giudicato – nei giudizi disciplinari che si svolgono davanti alle pubbliche autorità, e quindi anche in quelli che riguardano odontoiatri quanto all’accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso (cfr. Cass., Sez. U., 31 ottobre 2012, n. 18701, e Cass., Sez. U., 17 giugno 2013, n. 15120).

E, d’altra parte, la stessa Commissione centrale non ha mancato di procedere ad una autonoma valutazione sulla rilevanza di tali fatti – così come accertati in sede penale – sotto il profilo deontologico, prendendo in considerazione il prestigio della professione medica, il decoro della medesima e il comportamento del sanitario che deve essere orientato al primario interesse della salute del paziente.

9. – Con l’ottavo motivo il ricorrente censura l’omessa pronuncia della Commissione centrale circa la scelta della sanzione e la congruità della stessa, con violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 40. Nel ricorso si invoca il fondamentale principio della proporzionalità, intesa come adeguatezza alla concreta fattispecie disciplinare ed espressione della razionalità che fonda il principio di eguaglianza; si deduce inoltre che “a fronte di una violazione penale – quella che ha dato origine al procedimento disciplinare per la pretesa violazione del reato di cui all’art. 348 c.p. – al ricorrente è stata applicata dal giudice penale la pena di Euro 160 di multa, mentre il Collegio di disciplina veneziano ha applicato al ricorrente la sanzione di diciotto mesi di sospensione dall’esercizio della propria attività professionale”.

9.1. – Il motivo è in parte assorbito per effetto dell’accoglimento, per quanto di ragione, del sesto motivo di ricorso con riguardo alla ritenuta, da parte di questa Corte, non configurabilità dell’illecito deontologico di mancata collaborazione con l’Ordine professionale, illecito per il quale con la Delibera dell’Ordine della Provincia di Venezia era stata applicata al N. la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi.

Per il resto la censura è fondata sotto il profilo dell’omessa pronuncia.

Invero, con il ricorso davanti alla Commissione centrale l’incolpato aveva denunciato “l’assurda sproporzionalità della sanzione inflitta, priva di alcuna logica, tenuto anche conto della gradualità dei provvedimenti disciplinari previsti dalle norme deontologiche” (così nel quarto motivo di gravame, a pag. 13).

Va ricordato che in tema di procedimento disciplinare a carico di esercenti professioni sanitarie, la determinazione qualitativa e quantitativa della sanzione rientra tra i poteri discrezionali dell’organo preposto ad irrogarla, nel rispetto dei limiti minimi e massimi edittali, sicchè ogni sanzione, in considerazione della natura punitiva che le è propria, deve essere commisurata alla gravità del fatto, alle circostanze dello stesso e alla personalità del suo autore, alla stregua di quanto stabilito, per gli illeciti penali, dall’art. 133 c.p. e, per quelli amministrativi, dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 11.

Tanto premesso, nella specie, a fronte di una censura specifica sull’entità della sanzione irrogata dall’Ordine professionale formulata con il ricorso alla Commissione centrale, questa si è limitata a giudicare il motivo assorbito, senza prendere posizione sul merito della sollevata doglianza.

10. – Il primo, il secondo, il terzo ed il settimo motivo sono infondati; il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili; il sesto motivo è accolto nei sensi di cui in motivazione; l’ottavo motivo è in parte assorbito e in parte accolto sotto il profilo dell’omessa pronuncia.

La decisione impugnata è cassata in relazione alle censure accolte.

La causa deve essere rinviata alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, che la deciderà in diversa composizione.

L’accoglimento solo in parte del ricorso per cassazione giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

11. – La decisione da parte di questa Corte del fondo del ricorso per cassazione assorbe l’esame della istanza di sospensione della esecutorietà della sanzione irrogata (formulata al punto 9 del ricorso, alle pagg. 29 e 30), tanto più che il difensore del ricorrente, nell’udienza di discussione del ricorso, ha rinunciato all’inibitoria cautelare.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il secondo, il terzo ed il settimo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il quarto ed il quinto, accoglie il sesto nei sensi di cui in motivazione, accoglie in parte ed in parte dichiara assorbito l’ottavo; cassa la decisione impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, in diversa composizione. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019

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