Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23130 del 17/09/2019

Cassazione civile sez. II, 17/09/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 17/09/2019), n.23130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICARONI Elisa – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21088-2015 proposto da:

T.C., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANTONIO DI

BLASIO, presso il cui studio a Pescara, via Rigopiano 17,

elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

RESIDENZA VERDE S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato ELIO DI

FILIPPO ed elettivamente domiciliata a Roma, via Medaglie d’Oro 36,

presso lo studio dell’Avvocato BARBARA BUCCOLERI, per procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 597/2014 della CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA,

depositata il 30/5/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12/6/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Lanciano, con sentenza depositata il 29/1/1994, ha trasferito da F.F. a T.C. la proprietà di un terreno in (OMISSIS), censito in catasto al f. (OMISSIS), p.lle (OMISSIS), in esecuzione in forma specifica del contratto preliminare stipulato tra gli stessi in data 8/6/1990, per il prezzo di Lire 300.000.000, subordinando l’effetto traslativo al pagamento, da parte del T., del residuo prezzo di Lire 200.000.000.

La sentenza è stata trascritta il 23/6/1994 mentre in data 24/6/1994 sono stati trascritti gli atti notarili del 16/6/1994 contenenti l’offerta reale e l’accettazione della somma di Lire 200.000.000 e la dichiarazione di nomina del terzo acquirente, e cioè la s.n.c. Gruppo T. di C. e T..

Il terreno è stato, tuttavia, pignorato, contro F.F., con atti trascritti in data 19/5/1994.

Il tribunale di Lanciano, con sentenza del 18/7/1996, ha dichiarato il fallimento della s.a.s. Dueffe di F.F. e C. e del socio accomandatario F.F..

Lo stesso tribunale, infine, con sentenza del 25/6/1998, ha omologato il concordato fallimentare proposto dai falliti, che prevedeva il pagamento integrale delle spese di procedura e dei crediti prelatizi ed il pagamento parziale, in misura del 50%, dei crediti chirografari, con la garanzia di C.A. e della s.r.l. Nuova Residenza Verde, contro la cessione ai medesimi di “tutte le attività fallimentari” e, precisamente, al C. di un immobile ed alla seconda dei restanti beni.

Il G.D., con decreto del 14/7/1999, ha negato all’assuntore s.r.l. Nuova Residenza Verde il trasferimento dell’immobile sopra indicato, sul rilievo che l’immobile medesimo era fuoriuscito dal patrimonio del fallito F.F. prima della dichiarazione di fallimento e che la trascrizione del pignoramento in data anteriore alla sentenza di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare non spiegava alcun effetto sulla validità del trasferimento coattivo ma solo sulla sua efficacia nei confronti del creditore pignorante (e della massa dei creditori subentrata a quest’ultimo) a norma della L. Fall., art. 107, sicchè il bene non poteva ritenersi trasferito in forza della sentenza di omologazione del concordato fallimentare salva solo la legittimazione dell’assuntore a proseguire le azioni comprese nel fallimento cui è succeduto.

Il tribunale, con decreto del 14/2/2000, ha rigettato il reclamo proposto avverso il suddetto decreto.

La Corte di cassazione, infine, con sentenza n. 12862 del 2002, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla s.r.l. Nuova Residenza Verde contro il decreto del tribunale, per difetto di decisorietà, non incidendo i decreti del G.D. (e quelli del tribunale) sulle facoltà e i diritti (compresi quelli acquisiti alla massa in forza dell’inefficacia/inopponibilità degli atti dispositivi del patrimonio del debitore fallito) che, in conseguenza della sentenza di omologazione del concordato fallimentare, si trasferiscono all’assuntore, legittimato, ove necessario, a rivendicare i beni direttamente nei confronti di terzi attraverso le opportune azioni giudiziarie.

Nel frattempo, la s.r.l. Nuova Residenza Verde, con atto del 16/10/1999, ha incorporato la s.r.l. Residenza Verde ed ha mutato, per effetto della fusione, la propria denominazione in s.r.l. Residenza Verde: e con tale denominazione, con atto notificato il 7/7/2003, tale società ha agito in giudizio, nei confronti di T.C., innanzi al tribunale di Lanciano, al fine di ottenere la dichiarazione di inopponibilità e di inefficacia al fallimento di F.F. ed all’assuntore del relativo concordato fallimentare del trasferimento disposto con la sentenza pronunciata dal medesimo tribunale nel 1994 a norma dell’art. 2932 c.c. e l’accertamento del trasferimento in proprio favore, in forza della sentenza di omologazione del concordato fallimentare, della proprietà del bene immobile, oltre alla condanna del T. al risarcimento dei danni conseguenti all’indisponibilità materiale del fondo.

Il T., a sua volta, ha proposto domande riconvenzionali tese ad ottenere la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni cagionati dalla trascrizione della domanda principale ed al pagamento di un indennizzo per arricchimento senza causa.

Il tribunale, con sentenza del 12/6/2009, ha rigettato le domande riconvenzionali ed ha, in sostanza, accolto le domande proposte dalla società attrice, dichiarando l’inefficacia, a norma del comb. disp. della L. Fall., art. 107 e art. 2913 c.c., della sentenza di trasferimento coattivo del bene ed ordinando la cancellazione della trascrizione della stessa sentenza e degli atti a essa conseguenti.

Il tribunale, quindi, ha accertato che la proprietà del bene in questione era stata trasferita alla società attrice ed ha condannato il convenuto al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni.

Il tribunale, in particolare, per quanto ancora rileva, è pervenuto a tale decisione sul rilievo che la trascrizione di un pignoramento contro il fallito in data anteriore alla dichiarazione di fallimento ha gli effetti previsti dall’art. 2913 c.c., in favore della massa dei creditori, a prescindere dall’effettiva prosecuzione dell’esecuzione individuale da parte del curatore ovvero del trasferimento alla sede fallimentare dell’attività di liquidazione del bene pignorato.

Le conseguenti ragioni di inopponibilità degli atti dispositivi del bene (come la sentenza di trasferimento coattivo) dopo la trascrizione del pignoramento, che rendono tali atti sono sostanzialmente inefficaci e ne determinano l’acquisizione all’attivo fallimentare ed il suo assoggettamento all’esecuzione collettiva, sono state, quindi, trasferite all’assuntore del concordato fallimentare in forza della sentenza di omologazione di quest’ultimo, rendendo, così, fondata l’azione proposta dall’assuntore nei confronti del terzo acquirente.

Quanto, poi, alla condanna risarcitoria, il tribunale ha ritenuto che il convenuto avesse provocato alla società attrice danni corrispondenti al mancato guadagno per l’indisponibilità del terreno e per il deprezzamento economico subito medio tempore dal terreno stesso, quantificando le relative obbligazioni risarcitorie alla luce di consulenza tecnica d’ufficio.

Il T. ha proposto appello avverso tale sentenza, chiedendone la riforma integrale, con il rigetto delle domande attoree, deducendo, per quanto ancora rileva: – con il secondo motivo, l’irrilevanza del principio di non caducità degli effetti sostanziali del pignoramento sia perchè non riferibile al caso di specie, sia perchè gli effetti dei pignoramenti trascritti nel 1994 erano stati caducati con l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che, in data 21/11/2001, aveva dichiarato l’estinzione della procedura, sia, infine, perchè il decreto del giudice delegato, confermato dal tribunale, con il quale era stata negata la trasferibilità del bene in questione all’assuntore, stante la sua estraneità al patrimonio del fallito al momento del fallimento, era idoneo ad incidere sulle posizioni soggettive dell’appellante e dei relativi aventi causa ed aveva definitivamente sancito l’efficacia del trasferimento del bene in favore dell’appellante stesso; – con il terzo motivo, l’erroneità della condanna al risarcimento dei danni, non avendo il tribunale tenuto conto che la mancata coltivazione e manutenzione del terreno, peraltro tutt’altro che dimostrata, era giustificata per il fatto che sullo stesso gravavano già dal 1994 due pignoramenti immobiliari, che nel 1996 era intervenuta la dichiarazione di fallimento del precedente proprietario e che nel 1998 era stato omologato il concordato fallimentare, il cui assuntore aveva iniziato plurime azioni tese ad ottenerne il trasferimento, per cui non poteva esigersi che il T. provvedesse a sostenere spese che evitassero il deprezzamento di un bene tanto conteso.

La società appellata, a sua volta, ha chiesto il rigetto dell’appello.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.

La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha ritenuto, innanzitutto, che il secondo motivo fosse inammissibile per genericità, essendosi limitato a sostenere, senza spiegarne le ragioni, la non riferibilità al caso concreto degli effetti sostanziali della trascrizione del pignoramento applicato dalla sentenza gravata, laddove, al contrario, si tratta di un principio ribadito in sede di legittimità in termini corrispondenti a quelli fatti propri dalla sentenza impugnata, nel senso cioè che la conservazione, in favore della massa dei creditori, degli effetti sostanziali del pignoramento previsti dall’art. 2913 c.c., a seguito del fallimento del debitore pignorato non richiede l’effettivo subentro del curatore nella procedura esecutiva individuale iniziata con il pignoramento. D’altra parte, ha aggiunto la corte, non può neanche sostenersi che, nella specie, sia mancata la liquidazione fallimentare, che è stata attuata tramite il concordato fallimentare omologato dal tribunale.

Per il resto, ha proseguito la corte, il secondo motivo è infondato: “se è vero che gli effetti sostanziali del pignoramento… sopravvivono alla improcedibilità della esecuzione singolare conseguente alla dichiarazione di fallimento del debitore, ma non anche ad una diversa causa sopravvenuta di inefficacia del pignoramento”, è altrettanto vero che, nella specie, l’estinzione dell’esecuzione iniziata con i pignoramenti trascritti nel 1994 e la conseguente inefficacia dei pignoramenti è stata disposta dal giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 23/11/2001, “per omesso deposito della documentazione prescritta dall’art. 576 c.p.c., entro il termine del 30/6/2001 fissato dalla L. n. 302 del 1998, art. 13-bis”, vale a dire “per una causa verificatasi ben oltre la data di deposito e di passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato fallimentare, alla quale deve riconnettersi… il trasferimento in favore dell’assuntore della proprietà dei beni compresi nell’attivo fallimentare”. Risulta, pertanto, del tutto irrilevante, ha aggiunto la corte, la successiva sopravvenienza della causa di estinzione della procedura esecutiva e di inefficacia dei pignoramenti posto che, al momento in cui tale inefficacia si verificò, si era già compiutamente realizzata la fattispecie traslativa della proprietà in capo all’assuntore. Nessun impedimento all’accertamento della prevalenza del trasferimento conseguente alla sentenza di omologazione rispetto a quello trascritto successivamente ai pignoramenti, può essere, infine, attribuito, ha concluso la corte, al decreto del G.D., poi confermato dal tribunale in sede di reclamo, con il quale venne negata la trasferibilità del bene in questione all’assuntore: a prescindere dal fatto che il carattere decisorio di tali decreti è stato affermato, nel rapporto tra le parti del giudizio, dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 12862 del 2002, la sentenza impugnata ha evidenziato che, se pure si volesse conferire a quei decreti forza di giudicato, resta il fatto che in essi è stata chiaramente affermata la facoltà dell’assuntore di agire, nelle forme ordinarie, per rivendicare la proprietà del bene conseguente all’inefficacia ed all’inopponibilità del suo trasferimento coattivo trascritto dopo la trascrizione dei pignoramenti.

La corte, poi, ha ritenuto che fosse infondato il terzo motivo, evidenziando, in particolare, che, nel momento in cui l’appellante aveva effettuato l’offerta reale, erano già stati trascritti, sul bene trasferito, due pignoramenti, con la conseguenza che era tutt’altro che imprevedibile la sopravvenienza di ulteriori trasferimenti del medesimo bene, i quali avrebbero avuto, in forza dell’anteriorità della trascrizione dei pignoramenti, prevalenza sull’acquisto perfezionato con l’offerta reale. Ne consegue, ha concluso la corte, che il comportamento dell’appellante risulta tutt’altro che diligente ed inevitabile, poichè, se avesse agito prudentemente e diligentemente, ben avrebbe potuto consentire il trasferimento in favore dell’assuntore, insieme agli altri beni dell’attivo fallimentare, anche di quello oggetto del giudizio, così esonerandosi da responsabilità per il deprezzamento del bene causato dall’incuria e dall’omessa manutenzione.

T.C., con ricorso notificato in data 10.16/7/2015, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente notificata, unitamente all’atto di precetto, il 20/5/2015.

La Residenza Verde s.r.l. ha resistito con controricorso notificato il 25/9/2015.

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto l’inammissibilità, per genericità, del secondo motivo d’appello, per essersi limitato a sostenere, senza spiegarne le ragioni, la non riferibilità al caso concreto del principio di non caducità degli effetti sostanziali della trascrizione del pignoramento laddove, al contrario, ha osservato il ricorrente, l’atto d’appello aveva analiticamente ricostruito tutte le vicende oggetto della presente controversia.

1.2. Peraltro, ha aggiunto il ricorrente, dagli atti presenti nel fascicolo emerge incontrovertibilmente che la sentenza con la quale, in data 8/6/1994, il tribunale aveva disposto, a norma dell’art. 2932 c.c., il trasferimento in suo favore del terreno in questione, è stata registrata, presso l’ufficio del registro di Lanciano, in data 16/5/1994, vale a dire prima che, in data 19/6/1994 e 10/6/1994, fossero trascritti i pignoramenti relativi allo stesso immobile. Tali pignoramenti, pertanto, in quanto eseguiti successivamente rispetto alla registrazione della sentenza pronunciata a norma dell’art. 2932 c.c., sono privi di ogni effetto poichè, una volta trascritta, la sentenza, a norma dell’art. 2652 c.c., prevale sulle trascrizioni e sulle iscrizioni eseguite dopo la trascrizione della stessa.

1.3. La corte d’appello, inoltre, ha proseguito il ricorrente, ha omesso di rilevare che la sentenza di omologazione del concordato fallimentare non ha mai indicato il terreno in questione.

1.4. Il tribunale, peraltro, ha aggiunto il ricorrente, investito del reclamo avverso il decreto con il quale il giudice delegato non aveva disposto il trasferimento in favore dell’assuntore, ha ritenuto, con pronuncia avente forza di giudicato, che l’effetto traslativo conseguente alla sentenza ex art. 2932 c.c., si è prodotto in favore del T. prima della dichiarazione di fallimento per cui la proprietà del relativo bene non è mai entrata a far parte del compendio fallimentare e non può essere, quindi, trasferita all’assuntore.

1.5. La sentenza impugnata, infine, ha concluso il ricorrente, non ha tenuto in debita considerazione il carattere definitivo e la forza di giudicato dell’ordinanza con la quale, in data 21/11/2001, il giudice dell’esecuzione ha dichiarato l’estinzione delle procedure esecutive con la conseguenza che, scaduto il termine senza che nè i debitori, nè il curatore nè l’assuntore (questi ultimi mai intervenuti nella procedura esecutiva in questione) abbiano proposto alcun tipo di reclamo, la trascrizione in favore del T. del passaggio di proprietà del terreno è efficace ed opponibile nei confronti di tutti, compreso l’assuntore.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando il mancato esame di fatti e documenti decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, in base ad un’erronea ricostruzione dei fatti, ha omesso di considerare che il comportamento del T. non è stato certamente negligente ma solo volto a far valere i propri diritti, essendo, piuttosto, emerso che il C., attraverso la società La Residenza, aveva tenuto, in concorso con il F., un comportamento improntato a mala fede, per entrare indebitamente in possesso del terreno trasferito e legittimamente acquistato dal T. in forza di una sentenza del tribunale.

2.2. La pronuncia con la quale la corte d’appello ha condannato il T. al pagamento dei danni, delle spese processuali dei due gradi di giudizio e alla restituzione del fondo in favore dell’assuntore, presenta, quindi, gravi vizi ex art. 113 c.p.c., per omessa valutazione delle prove in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

2.3. Il mancato accoglimento delle richieste avanzate dal T., pertanto, ha concluso il ricorrente, sono il frutto di una frettolosa e/o comunque erronea ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito, che dev’essere rivesta alla luce dei fatti e dei documenti presenti nel fascicolo.

3.1. Il primo motivo è, in parte, inammissibile e, per il resto, infondato.

3.2. Intanto, la censura di cui al punto 1.1. è inammissibile. L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato – come nella specie – un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. n. 22880 del 2017). Nel caso in esame, invece, il ricorrente, pur avendo lamentato l’erronea declaratoria d’inammissibilità, da parte della corte territoriale, del secondo motivo d’appello per difetto di specificità, non ne ha riprodotto, in ricorso, il contenuto, quanto meno nella misura idonea ad evidenziarne la dedotta specificità, in tal modo impedendo alla Corte di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte.

3.3. Anche le censure di cui ai punti 1.2. ed 1.3. sono inammissibili. L’appello che il ricorrente ha, a suo tempo, proposto, per come incontestatamente ricostruito nella sentenza impugnata, non ha, infatti, in alcun modo investito nè la questione relativa alla mancata indicazione, nella sentenza di omologazione del concordato fallimentare, del terreno oggetto di causa, nè quella che riguarda la registrazione della sentenza pronunciata a norma dell’art. 2932 c.c., in epoca anteriore rispetto alla trascrizione del pignoramento sullo stesso immobile. Ed è, invece, noto che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità con la conseguenza che, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 2038 del 2019; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 6542 del 2004), qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa: ciò che, nella specie, non risulta essere accaduto. Tale censura, del resto, ove mai ammissibile, sarebbe del tutto infondata: se solo si considera che, in materia di beni immobili, come si vedrà meglio di qui a poco, ciò che rileva ai fini dell’opponibilità ai terzi della sentenza che accoglie la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre non è la sua registrazione presso l’ufficio del registro ma solo la trascrizione della domanda proposta ovvero, in mancanza, della sentenza che l’abbia accolta.

3.4. La censura di cui al punto 1.4. è, invece, infondata. Il decreto con il quale il tribunale, pronunciando in sede di reclamo ai sensi della L. Fall., art. 26, abbia negato il trasferimento all’assuntore concordatario di un bene sul presupposto che lo stesso, in quanto già trasferito ex art. 2932 c.c., con sentenza pronunciata e trascritta prima del fallimento del promittente venditore, non è mai stato acquisito alla massa attiva della procedura e non può essere, quindi, trasferito all’assuntore del concordato che abbia previsto la cessione in suo favore di tutte le attività fallimentari, è privo, in ragione della sua natura non decisoria nè definitiva, della forza giuridica propria del giudicato ex art. 2909 c.c.: e non preclude, quindi, che la medesima questione, e cioè l’appartenenza o meno del bene all’attivo del fallimento, possa essere nuovamente dedotta, tra le stesse parti, in un successivo giudizio proposto in sede ordinaria, come quello che, nella specie, ha introdotto la società assuntrice per ottenere l’accertamento giudiziale dell’intervenuto effetto traslativo del predetto bene in suo favore. In tal senso, invero, si è già pronunciata inter partes questa Corte la quale, infatti, con la sentenza n. 12862 del 2002, ha dichiarato inammissibile il ricorso straordinario che la società assuntrice aveva proposto nei confronti del decreto con il quale il tribunale, in sede di reclamo, aveva rigettato l’istanza che la stessa aveva presentato per ottenere la dichiarazione dell’avvenuto trasferimento, in suo favore e in forza della sentenza di omologazione del concordato, dell’immobile in questione: e lo ha fatto sull’espresso rilievo per cui “il trasferimento dei beni all’assuntore del concordato fallimentare trova il suo titolo diretto ed immediato nella sentenza di omologazione, mentre i successivi, eventuali, decreti del giudice delegato, tra questi compresi quelli che contengano la specifica descrizione dei beni necessaria ai fini della trascrizione, si pongono come atti meramente esecutivi, pur sempre dovuti dal giudice delegato nelle sue funzioni (potere-dovere) di sorveglianza sull’esecuzione del concordato…. Risulta così evidente che i suddetti decreti del giudice delegato, aventi il contenuto dinanzi ricordato, come anche a quelli che il tribunale emetta su reclamo L. Fall., ex art. 26, non sono risolutivi di un conflitto tra l’assuntore e il terzo che attraverso di essi debba trovare la sua soluzione, con effetti di giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c., sulla base delle norme che sanciscono l’inefficacia o l’inopponibilità degli atti di disposizione del debitore. A tali decreti, infatti, non è dato di aggiungere o togliere alcunchè che già all’assuntore del concordato non sia stato trasferito con la sentenza di omologazione. Di qui il contenuto meramente esecutivo, integrativo o attuativo, dei decreti stessi, i quali in nessun caso sono in grado di incidere sulle facoltà e i diritti che, riguardo ai beni ceduti – tra questi compresi quelli acquisiti alla massa fallimentare in forza delle ragioni giuridiche di inefficacia/inopponibilità degli atti posti in essere dal debitore fallito – e in forza della sentenza di omologazione, sono stati attribuiti e si sono trasferiti all’assuntore del concordato, il quale è anche ammesso a rivendicare i beni direttamente nei confronti dei terzi, quando ciò sia necessario, attraverso le opportune azioni giudiziarie…. Può aggiungersi, in relazione ad un ulteriore aspetto di tutela dell’assuntore, che nemmeno la necessità del decreto stesso ai fini della trascrizione, nel caso in cui la sentenza di omologazione non contenga la specificazione dei beni immobili ceduti all’assuntore, vale a conferire al decreto stesso la natura di provvedimento decisorio nel senso dinanzi precisato, atteso che soccorrono, per la tutela dei diritti dell’assuntore, la trascrizione sia della sentenza di omologazione sia, quando l’assuntore intenda proporla, della domanda giudiziale rivolta contro il terzo” (in senso conf., in precedenza, Cass. n. 13626 del 1992; in epoca successiva, Cass. n. 6643 del 2013, secondo cui, poichè il trasferimento dei beni all’assuntore del concordato fallimentare trova titolo diretto ed immediato nella relativa sentenza di omologazione, mentre i successivi decreti del giudice delegato – ivi compresi quelli contenenti la specifica descrizione di tali beni necessaria ai fini della trascrizione del suddetto titolo, nonchè l’ordine di cancellazione delle iscrizioni gravanti sui cespiti ai sensi della L. Fall., art. 136, comma 3 – hanno carattere meramente esecutivo, in quanto resi nell’esercizio del suo potere dovere di sorveglianza sull’attuazione del concordato, e sono privi di carattere decisorio, non potendo influire con efficacia di giudicato sulle situazioni soggettive di natura sostanziale degli interessati, incise solo dalla menzionata sentenza, ne deriva che tali decreti non sono impugnabili con ricorso straordinario per cassazione; cfr. anche Cass. n. 2160 del 1980, secondo cui, qualora, fra i beni ceduti all’assuntore del concordato fallimentare, sia compreso un immobile, che il fallito abbia venduto ad un terzo con atto inopponibile alla massa perchè non trascritto prima della apertura della procedura concorsuale, all’assuntore medesimo deve riconoscersi la facoltà di far valere in giudizio contro detto terzo quella situazione di inopponibilità, a tutela del proprio diritto dominicale, tenuto conto che l’acquisto di questo, tramite il fallimento, comporta anche acquisto delle ragioni d’inefficacia della predetta vendita, delle quali potevano avvalersi i creditori del fallito).

3.5. Anche l’ultima censura (1.5.) è infondata ma la motivazione della sentenza dev’essere corretta.

3.5.1. In effetti, nel caso in cui, prima della dichiarazione di fallimento, sia stata iniziata da un creditore l’espropriazione di un immobile del fallito, ai sensi della L. Fall., art. 107, nel testo vigente prima della novella introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2006, il curatore subentra ex lege nella procedura esecutiva individuale, che si trasforma così in esecuzione collettiva i cui effetti sostanziali e processuali decorrono dal pignoramento, sicchè rimane ferma l’inopponibilità degli atti traslativi trascritti posteriormente al pignoramento ma prima della sentenza di fallimento, anche se la medesima procedura sia stata successivamente dichiarata estinta dal giudice ai sensi dell’art. 567 c.p.c., comma 3, per inerzia del curatore (Cass. n. 5655 del 2019). La giurisprudenza di questa Corte, in effetti, a più riprese (si vedano in questo senso, per tutte, Cass. n. 15103 del 2005; Cass. n. 3729 del 1999), ha sostenuto che ove, prima della dichiarazione di fallimento, sia stata iniziata da un creditore l’espropriazione di uno o più immobili del fallito il curatore, a norma della L. Fall., art. 107, si sostituisce al creditore istante e tale sostituzione opera di diritto, senza che sia necessario un intervento da parte del curatore o un provvedimento di sostituzione da parte del giudice dell’esecuzione.

3.5.2. Peraltro, nel caso in cui il curatore ritenga di attuare altre forme di esecuzione, la procedura individuale, non proseguita, per sua scelta, dal curatore, nè proseguibile, ai sensi della L. Fall., art. 51, dal creditore istante, diventa improcedibile, ma tale improcedibilità non determina la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento giacchè nella titolarità di quegli effetti è già subentrato, automaticamente e senza condizioni, il curatore, a mente della L. Fall., art. 107 (conf., sia pur con riguardo all’art. 107 L. Fall., come modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, Cass. n. 25802 del 2015).

3.5.3. Nel caso di specie, l’immobile controverso è stato oggetto di pignoramento trascritto in data 19/5/1994 con la conseguenza che il curatore del fallimento successivamente dichiarato (con sentenza del 18/7/1996) nei confronti del debitore esecutato F.F., per un verso, è subentrato, in via automatica, ai sensi della L. Fall., art. 107, nel testo vigente ratione temporis, nell’esecuzione individuale pendente, a prescindere dal fatto che l’abbia o meno proseguita, e, per altro verso, ha beneficiato, nell’interesse della massa dei creditori insinuati, degli effetti sostanziali del precedente pignoramento: la trascrizione (in data 23/6/1994) della sentenza che, a norma dell’art. 2932 c.c., ha trasferito l’immobile, essendo successiva alla trascrizione del pignoramento (in data 19/5/1994), non è, pertanto, ad essi opponibile (in difetto di previa trascrizione della relativa domanda), pur se pronunciata (in data 29/1/1994) e trascritta (in data 23/6/1994) prima della sentenza che (in data 18/7/1996) ha dichiarato il fallimento del promittente venditore già esecutato.

3.5.4. In linea di principio, infatti, la sentenza che accoglie la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre è opponibile nei confronti dei terzi che abbiano trascritto (un atto di acquisto ovvero il pignoramento dell’immobile promesso in vendita) o iscritto (un atto costitutivo d’ipoteca) contro quest’ultimo solo se, come si evince dalle norme previste dall’art. 2643 c.c., n. 14, art. 2644 c.c., comma 1, art. 2914 c.c., n. 1, art. 2652 c.c., n. 2 e art. 2915 c.c., comma 2, la domanda proposta a norma dell’art. 2932 c.c. (ovvero, in mancanza, la sentenza che l’abbia accolta) sia stata trascritta in data anteriore rispetto alla trascrizione (dell’atto di acquisto o di pignoramento) o all’iscrizione (dell’ipoteca) operata contro il convenuto nel relativo giudizio.

3.5.5. E poichè la sentenza che ha trasferito l’immobile a norma dell’art. 2932 c.c., in quanto trascritta (in data 23/6/1994) successivamente alla trascrizione del pignoramento (in data 19/5/1994), è inopponibile al creditore pignorante e, quindi, al curatore del successivo fallimento, ai sensi del comb. disp. della L. Fall., art. 107 e art. 2914 c.c., n. 1, la stessa sentenza, a norma dell’art. 2919 c.c., è, per l’effetto, inopponibile a chi, come la società attrice, abbia acquistato, quale assuntore, il bene pignorato (ed, in seguito, acquisito alla massa del fallimento ai sensi della L. Fall., artt. 42 e segg.), per effetto della sentenza di omologazione del concordato fallimentare che ne aveva previsto la cessione in suo favore (Cass. n. 6231 del 1998).

3.5.6. Nè rileva il fatto che il giudice dell’esecuzione abbia, con ordinanza in data 21/11/2001, dichiarato l’estinzione della procedura esecutiva iniziata con i pignoramenti trascritti nel 1994. Il principio in precedenza esposto, in effetti, presuppone necessariamente l’astratta possibilità che il curatore si sostituisca al creditore istante, usufruendo per conto della massa dell’inefficacia degli atti trascritti dopo il pignoramento o comunque che, pendente tale situazione di inefficacia, gli effetti della dichiarazione di fallimento si saldino con la medesima, con conseguente irrilevanza della eventuale successiva improcedibilità del procedimento esecutivo singolare non coltivato dal curatore. Diversa è, invece, la situazione allorquando l’efficacia del pignoramento sia venuta meno anteriormente alla dichiarazione di fallimento in quanto in conseguenza della stessa divengono efficaci per i creditori e quindi anche per il curatore del successivo fallimento le trascrizioni medio tempore effettuate, non potendo evidentemente quest’ultimo giovarsi, subentrandovi, di una posizione giuridica non più esistente (fermo restando che, in tal caso, non rileva il fatto che, al momento del fallimento, il giudice dell’esecuzione non abbia ancora preso atto del mancato deposito dei documenti prescritti a norma dell’art. 567 c.p.c., ordinando la cancellazione del pignoramento, in quanto la causa di inefficacia opera automaticamente ed ex tunc allorquando se ne verificano i presupposti e il provvedimento del giudice è meramente dichiarativo di un fenomeno già verificatosi con conseguente irrilevanza, ai fini che qui interessano, della persistente trascrizione del pignoramento: Cass. n. 24442 del 2010, in motiv.; conf., Cass. n. 25802 del 2015). Nel caso di specie, però, al momento dell’apertura del fallimento nei confronti di F.F., dichiarato con sentenza del 18/7/1996, la causa di estinzione del pignoramento non si era ancora verificata: la sentenza impugnata, infatti, con statuizione in parte qua non specificamente censurata, ha dato atto che l’estinzione della procedura esecutiva iniziata con il pignoramento trascritto nel 1994 è stata disposta dal giudice dell’esecuzione in conseguenza di una causa di inefficacia del pignoramento giuridicamente perfezionatasi solo in data successiva alla sentenza dichiarativa, vale a dire l’omesso deposito della documentazione prescritta dall’art. 567 c.p.c., nel termine, fissato ai sensi della L. n. 302 del 1998, art. 13-bis, del 30/6/2001.

4. Il secondo motivo è infondato. Intanto, il ricorrente cade nell’equivoco di ritenere che l’erronea valutazione del materiale istruttorio da parte del giudice di merito costituisce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la quale, al contrario, è configurabile quale vizio deducibile in cassazione solo quando il ricorrente alleghi che il giudice abbia deciso sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui è consentito, o, rispettivamente, che il giudice, nel valutare una prova ovvero una risultanza probatoria, o non abbia operato, pur in assenza di una diversa indicazione normativa, secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), o che abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento laddove la prova era soggetta ad una specifica regola di valutazione (Cass. n. 27000 del 2016; conf., più di recente, Cass. n. 1229 del 2019). La valutazione delle prove raccolte, del resto, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Com’è noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. Il tribunale, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha indicato, in modo logico e coerente, le ragioni per le quali ha ritenuto che il comportamento dell’appellante fosse stato tutt’altro che diligente ed inevitabile sul rilievo che lo stesso, se avesse agito prudentemente e diligentemente, ben avrebbe potuto consentire il trasferimento in favore dell’assuntore, insieme agli altri beni dell’attivo fallimentare, anche di quello oggetto del giudizio, così esonerandosi da responsabilità per il deprezzamento del bene causato dall’incuria e dalla sua omessa manutenzione: e che, per l’effetto, il convenuto era stato correttamente condannato dal tribunale al risarcimento dei danni che la società attrice aveva subito in corrispondenza al mancato guadagno conseguente all’indisponibilità del terreno e al deprezzamento economico da esso subito medio tempore.

5. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate, d’ufficio, in dispositivo.

7. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 6.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019

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