Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2313 del 01/02/2010

Cassazione civile sez. II, 01/02/2010, (ud. 04/11/2009, dep. 01/02/2010), n.2313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27117/2004 proposto da:

S.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA A. BAIAMONTI 4, presso lo studio dell’avvocato AMATO

RENATO, rappresentato e difeso dall’avvocato SEQUI Marcello;

– ricorrente –

contro

S.A.M. (OMISSIS), S.F.M.,

S.A.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE TITO

LIVIO 179, presso lo studio dell’avvocato DE LUIGI TESTI ANGELA,

rappresentati e difesi dall’avvocato BARRIA Angela Luisa;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 247/2004 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 14/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/11/2009 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato AMATO Renato, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato SEQUI Marcello difensore del ricorrente che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DELUIGI TESTI Angela con delega depositata in

udienza dell’Avvocato BARRIA Angela Luisa, difensore dei resistenti

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 327 del 2001 il tribunale di Oristano in accoglimento della domanda delle sorelle S. accertava l’esistenza e la validità della scrittura privata del (OMISSIS) di divisione volontaria dei beni relitti da B.M., madre delle parti, e ordinava a S.L. il rilascio in favore di S.A.M. della camera a piano terra su (OMISSIS) e al pagamento in favore delle altre sorelle di residui conguagli di circa L. 5 milioni.

L’appello di S.L. veniva respinto dalla Corte d’appello di Cagliari con sentenza del 14 luglio 2004. La Corte territoriale rigettava la censura di violazione del contraddittorio per mancata integrazione con P.P., marito di una delle sorelle, il quale aveva sottoscritto il contratto. Osservava che la partecipazione dei coniugi delle sorelle S. non comportava l’assunzione della qualità di contraenti; che la scrittura conteneva un contratto di cessione delle quote da due sorelle agli altri due condividenti con la partecipazione del marito di A.M.; che il secondo atto era costituito dalla divisione dell’immobile tra L. e la sorella coacquirente; che il terzo regolava alcuni aspetti del condominio tra i due fratelli e che il marito di A. era presente anche in questi due atti. Aggiungeva che la controversia nasceva dall’obbligazione contratta dall’appellante con le sorelle, quindi da una accordo autonomo rispetto a quello in cui figurava P. e che quest’ultimo non aveva veste per concorrere allo scioglimento della comunione, essendo stato indicato in atto per equivoco sulla portata dell’art. 179 c.c.. La Corte respingeva anche le altre doglianze: la seconda, secondo la quale non vi sarebbe stata corrispondenza tra la domanda di accertamento della divisione negoziale e la stipula del contratto divisionale del (OMISSIS), che sarebbe intervenuta anche con soggetti diversi in quanto conteneva anche la promessa di vendita delle quote ereditarie al marito di S.A.: sul punto la Corte ribadiva che il P. non aveva qualità di parte nella divisione e riaffermava che la scrittura non conteneva un negozio meramente preparatorio. La terza sull’indeterminatezza dell’oggetto del contratto, che veniva esclusa previo esame delle planimetrie catastali allegate all’atto e identificazione della stanza di cui era stato chiesto il rilascio. La quarta, relativa alla novità della domanda di rilascio della camera, introdotta dopo la riassunzione del giudizio di primo grado in violazione del contraddittorio: sul punto la Corte precisava che la domanda era stata formulata sin dall’atto di citazione. L’ultima relativa alla mancanza di causa del contratto del maggio 1993, preceduto da altro accordo con la sorella A.P. nel (OMISSIS). La Corte stabiliva che il primo parziale accordo concluso con A.P. nel (OMISSIS) aveva trovato sistemazione nell’accordo finale complessivo.

S.L. propone due motivi di ricorso per cassazione imperniati sulla nullità del contratto divisionale per violazione dell’obbligo di indicare gli estremi urbanistici dell’immobile oggetto del contratto. S.A.M., F.M. e A. P. resistono con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 40 e degli artt. 1418 e 1421 c.c., e omessa motivazione con riguardo al mancato inserimento nel contratto 25 gennaio 1993 stipulato tra le parti degli estremi della licenza o della concessione edilizia del fabbricato oggetto di esso. Il ricorrente deduce che secondo la sentenza il contratto conteneva: a) un primo negozio di cessione di quote da parte di due delle coeredi in favore della sorella A.M. e del fratello L. e b) la successiva divisione fra gli acquirenti. Rileva che la Corte d’appello avrebbe dovuto desumere da tale omissione la nullità del contratto avente efficacia traslativa, mentre aveva trascurato di motivare sul punto.

La censura è infondata. La sentenza impugnata non affronta in alcun punto la questione di nullità del contratto sollevata con il primo motivo, nè riferisce di essa con riguardo alla sentenza di primo grado o all’atto di appello. Non si dispone quindi di alcun accertamento di fatto (di tanto si tratta, cfr. Cass. 15319/06) circa l’esistenza, nel contratto de quo, delle allegazioni, previste a pena di nullità1 del contratto di compravendita di un bene immobile, degli estremi della concessione edilizia o della domanda di concessione in sanatoria. Orbene, proprio con riguardo a nullità L. 28 febbraio 1985, n. 47, ex art. 40, del contratto di vendita di un edificio costruito in assenza di concessione edilizia, questa Corte ha avuto modo di affermare che il principio della rilevabilità, anche d’ufficio, in sede di legittimità, della nullità del contratto postula che siano acquisite agli atti le circostanze su cui si fonda la nullità medesima, stante il divieto in questa sede di nuove indagini e accertamenti di fatto. La pronuncia di nullità deve pertanto basarsi sul medesimo quadro di riferimento concretamente delineato dalle allegazioni delle parti, e non può fondarsi su un fatto nuovo, implicante un diverso tema di indagine e di decisione (Cass. 13846/07 e, inoltre, Cass 16541/09). Ne consegue che i vizi denunciati non possono trovare accoglimento, mancando in atti il riferimento fattuale indispensabile per l’applicazione della normativa invocata.

2) Il secondo motivo denuncia nullità della, sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4). Il ricorrente espone che nell’atto di appello (a pag. 6 penultimo cpv.) aveva espressamente eccepito la nullità del contratto di divisione intercorso tra S.L. e la sorella A.M..

Aggiunge che egli attribuiva al contratto natura di contratto preliminare, per il quale non è prevista la sanzione della nullità L. n. 47 del 1985, ex art. 40, ma che aveva sollevato l’eccezione con esclusivo riferimento al negozio divisionale; che controparte in comparsa di risposta d’appello aveva contestato la fondatezza del rilievo; che la Corte d’appello aveva omesso di prendere in esame detta eccezione.

L’esame degli atti indicati dal ricorrente documenta la veridicità dell’assunto: In un rapido passaggio dell’atto di appello, si legge, nel punto indicato in ricorso, dedicato ad “esaminare i requisiti di validità del ripetuto contratto divisionale” che detto contratto tralascia “l’indicazione della concessione edificatoria”. Dopo essersi soffermato per quasi tutta la pagina successiva sulla identificazione del bene attraverso le planimetrie allegate, l’atto di appello reca il seguente capoverso: “Il contratto di divisione di che trattasi è dunque palesemente nullo per i motivi esposti, nè alcuna efficacia sanante può con ogni evidenza rivestire la successiva registrazione dell’atto”. Invano la controricorrente oppone che queste deduzioni non costituiscono specifico motivo di impugnazione e che la Corte d’appello non era tenuta a pronunciarsi su di esse. Il requisito della specificità dei motivi di appello non richiede infatti l’impiego di formule sacramentali, ma esige soltanto un’esposizione chiara ed univoca delle doglianze e delle domande rivolte al giudice del gravame (Cass. 9867/00 6542/02 15541/02 26271/05). Inoltre il grado di specificità’ dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, ma esige solo che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico- giuridico delle prime. (Cass 4068/09). Ora, nel caso in esame, sia pure accorpandole con altri rilievi di analoga portata, parte appellante aveva svolto specifiche deduzioni sulla nullità del contratto divisionale, poichè aveva parlato di “requisiti di validità”, aveva sollecitato l’attenzione sull’omessa indicazione della concessione edificatoria e aveva tratto la conseguenza giuridica dell’allegazione, definendo il contratto di divisione come “palesemente nullo”. In tal modo restavano soddisfatti i requisiti di specificità richiesti dal codice di rito.

Tale accertamento non comporta però automaticamente l’accoglimento della censura e la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

Pronunciandosi in tema di opposizione a sanzioni amministrative questa Corte ha già avuto modo di stabilire che il mancato esame di un motivo, da parte del giudice dell’opposizione, giustifica l’annullamento, da parte della Suprema Corte, della sentenza impugnata a condizione che le questioni di fatto o di diritto, proposte con il motivo non esaminato, siano decisive. Per contro, quando il motivo non esaminato dal giudice dell’opposizione propone infondate questioni di diritto, lo iato esistente tra pronuncia di rigetto e mancato esame del motivo per cui l’annullamento è stato domandato deve essere colmato dalla Corte di Cassazione attraverso l’impiego del potere di correzione della motivazione (art. 384 cod. proc. civ., comma 2), integrando la decisione di rigetto pronunciata dal Giudice dell’opposizione mediante l’enunciazione delle ragioni che la giustificano in diritto, senza necessità di rimettere al giudice di rinvio il compito di dichiarare infondato in diritto il motivo non esaminato, (cfr. Cass. 3388/05; 8561/06; 18190/06).

Inoltre nella giurisprudenza della Corte, a seguito della modifica dell’art. 384 c.p.c., avvenuta già con la riforma di cui alla L. n. 353 del 1990 e della costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo, si è osservato che è configurabile il potere della Corte di Cassazione di correzione della motivazione della sentenza impugnata anche in relazione ad un “error in procedendo”, fermi restando anche in tal caso i limiti della non necessità di indagini di fatto e del rispetto del principio dispositivo. (Cass 15810/05; 5894/06; 1615/08). La Legge Delega n. 80 del 2005 ha previsto poi (art. 1, comma 2) l’estensione delle ipotesi di decisione nel merito, “anche nel caso di violazione di norme processuali”, previsione che si è tradotta in una modifica dell’art. 384 c.p.c., novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, nel senso di sopprimere l’inciso che restringeva la facoltà del giudice di legittimità alle ipotesi di accoglimento del ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. In realtà tale disposizione era già insita nell’ordinamento, in forza di una lettura dell’art. 384 c.p.c., costituzionalmente orientata dal principio della ragionevole durata del processo. Le nuove disposizioni hanno solo adeguato formalmente il testo normativo all’interpretazione conforme a costituzione, ma la regola della decisione di merito anche in caso di violazione di norme processuali si può ritenere esistente anche in relazione all’impugnazione di sentenze rese prima del 2 marzo 2006, data cui è riferita l’entrata in vigore del nuovo testo.

Si è quindi in presenza di una tendenza normativa e giurisprudenziale, legittimata dalla modifica dell’art. 111 Cost., che consente di dar spazio a tutte le interpretazioni che limitano la durata del processo (e quindi a maggior ragione il dispendio di un grado di attività processuale), senza sacrificio, beninteso, del diritto di azione o di difesa, anche mediante l’opera decisoria della Suprema Corte. Per tornare al caso di specie può dirsi che, verificata l’omessa pronuncia su un motivo d’appello, la Corte di Cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo d’appello risulti infondata, ditalchè la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza d’appello. Fermo che deve trattarsi di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto, appare evidente la incongruità, in conseguenza di un error in procedendo del giudice d’appello, di un ritorno in fase di merito della causa, per la valutazione di un eventuale errore nell’applicazione di una norma. La questione posta con il primo motivo dell’odierno ricorso va quindi esaminata per verificare se possa essere decisa in astratto, prescindendo da riscontri fattuali:

la Corte deve chiedersi se, anche senza verificare l’esistenza (o meno) nel contratto divisionale avente ad oggetto l’assegnazione di un immobile delle indicazioni circa gli estremi della licenza o della concessione edilizia, il contratto stesso possa essere dichiarato nullo in caso di omesso inserimento di detti estremi. Ove la risposta a detto quesito, posto nel motivo non esaminato dal giudice d’appello, sia negativa, si potrebbe pervenire senz’altro alla definizione del giudizio in sede di legittimità. La risposta positiva dovrebbe invece portare alla cassazione con rinvio, affinchè il giudice di merito verifichi in primo luogo la sussistenza o meno delle indicazioni necessarie a pena di nullità.

La questione va risolta nel primo dei due sensi, poichè i contratti che sono conclusi al fine di porre in essere la divisione ereditaria non impongono la presenza delle indicazioni previste dalla L. n. 47 del 1985, art. 40.

E’ d’uopo chiarire che, sebbene in memoria parte ricorrente abbia rivisto le proprie affermazioni, l’eccezione sollevata ha riguardo al contratto di divisione intercorso far S.L. e la sorella A. (ricorso di S.L. pag. 12), chiamato anche “negozio divisionale” (ricorso pag. 12, terz’ultimo rigo). E’ solo incidentalmente richiamata (ma non cambia la soluzione che si va ad adottare), per evocare la difesa assunta in sede d’appello, la scrittura del 25 maggio 1993, che prevedeva un più articolato contratto divisionale, formato dalla cessione di “quote ereditarie” (ibidem) da due sorelle al fratello L. e alla sorella A. M. e dalla successiva divisione tra i due residui comproprietari.

E’ quindi da ritenere che ci si trovi di fronte a un atto negoziale complesso attinente la divisione ereditaria, concepito ed attuato nel contratto del (OMISSIS) mediante passaggi tra gli eredi inequivocabilmente finalizzati alla divisione dei beni loro pervenuti in eredità.

E’ noto che in forza della L. n. 47 del 1985, art. 40, invocato dal ricorrente, “Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’art. 31…”. Inoltre l’art. 17 della stessa legge prevede che “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell’art. 13. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù. “La giurisprudenza di questa Corte ha già rilevato che in tema di invalidità del contratto, mentre la L. n. 47 del 1985, art. 17, prevede espressamente la sanzione di nullità1 degli atti tra vivi, compreso lo scioglimento della comunione, relativi soltanto ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della legge, per quelli realizzati in epoca anteriore l’art. 40 della stessa legge, pur specificando le singole categorie di atti fra vivi aventi ad oggetto diritti reali che sono affetti da nullità, non prevede, fra essi, lo scioglimento delle comunioni. (Cass. 14764/05). Già in precedenza questa sezione aveva affermato (Cass. 15133/01) che “non può restare senza rilievo il fatto che nel caso in esame si tratta di scioglimento di comunione ereditaria, poichè la norma che si assume violata, pur riguardando anche gli atti di “scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti”, limita espressamente il proprio campo oggettivo di applicazione ai soli “atti tra vivi”, lasciando, quindi, al di fuori tutta la categoria degli atti mortis causa.

E’ invero, evidente che, come esattamente osservato da autorevole dottrina, la divisione ereditaria, pur attuandosi dopo la morte del de cuius, costituisce l’evento terminale della vicenda successoria e, quindi, rispetto a questa non può considerarsi autonoma.

Tale rilievo trova conferma nel dato positivo offerto dall’art. 757 cod. civ., che assegna efficacia retroattiva alle attribuzioni scaturenti dall’atto divisionale. Peraltro, diversamente opinando, si perverrebbe ad irragionevoli differenze di trattamento rispetto ad ipotesi sostanzialmente omogenee, non potendosi in alcun modo giustificare l’esigenza dell’applicazione della norma in esame alla divisione ereditaria e la non applicazione di essa alla divisione operata del testatore oppure l’applicazione della norma all’ipotesi di attribuzione ereditaria di un edificio a più soggetti e la non applicazione all’ipotesi di attribuzione ereditaria dello stesso edificio ad un solo soggetto”.

Queste considerazioni valgono a giustificare, a parere del Collegio, che intende consolidare l’orientamento citato, la esclusione della ipotesi di nullità di cui all’art. 40 nel caso di contratti divisionali, ancorchè articolati con più atti miranti al fine della individuazione dei beni da assegnare ai singoli coeredi. Mette conto ricordare, con il contributo della dottrina, che la nullità formale o documentale di cui si discute (diversa da quella sostanziale discendente da mancanza della concessione edilizia o in sanatoria) trova fondamento nell’esigenza di fornire all’acquirente una precisa nozione della condizione urbanistica del bene negoziato, al fine di rendersi conto della realizzabilità del programma di interessi oggetto della pattuizione. La disposizione risponde pertanto ad esigenza propria dell’acquirente ed estranea al coerede condividente, il quale è già (com)proprietario del bene e ne deve subire e conoscere le vicende urbanistiche. Va inoltre rilevato che la attenuazione del regime più rigoroso di cui all’art. 17 è giustificata dal fatto che trattasi di beni già edificati prima dell’entrata in vigore della legge. Irrilevante è poi la circostanza che l’art. 18, in tema di lottizzazione abusiva, includesse (il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ha assorbito e riformulato queste norme) gli atti di scioglimento della comunione di diritti reali tra quelli che imponevano l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica. La diversità anche testuale delle disposizioni giustifica a maggior ragione un diverso trattamento interpretativo, ferma peraltro, anche nel caso di lottizzazione abusiva, la possibile differenza tra divisione ereditaria e divisione ordinaria.

Discende da quanto esposto che la questione di nullità contrattuale sollevata dal ricorrente deve essere respinta, ditalchè non vi è luogo, come dianzi motivato, per l’annullamento della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla questione stessa. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso conduce infatti all’esame della eccezione di nullità, risultata infondata; di qui il rigetto dell’appello. Le spese di causa possono essere compensate, in ragione della parziale fondatezza in astratto di uno dei motivi di ricorso e della novità delle soluzioni adottate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo.

Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’appello proposto da S.L.. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2010

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