Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23124 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 07/11/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 07/11/2011), n.23124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che le rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

O.F., rappresentato e difeso da se stesso ai sensi

dell’art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliato presso il proprio

studio in Roma, via Cunfida n. 20;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, sez. 6, n. 46, depositata il 27.5.2008;

Letta la relazione scritta redatta dal consigliere relatore dott.

Stefano Olivieri;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

– la sez. 6 di Roma della CTR del Lazio con sentenza 27.5.2008 n. 46 ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio finanziario avverso la sentenza di prime cure con la quale era stato annullato l’avviso di accertamento di maggiori ricavi relativi all’anno 1999 ai fini IVA, IRPEF ed IRAP emesso dall’Ufficio nei confronti dell’avv. O. F. a seguito della applicazione dei coefficienti reddituali presunti determinali in base ai parametri stabiliti dal D.P.C.M. 26 gennaio 1996.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate denunciando:

1-la violazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181 degli artt. 2728 e 2697 c.c. nonchè D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 avendo i Giudici territoriali omesso di considerare che alla rilevata discrasia tra i redditi dichiarati ed i maggiori compensi determinati in base ai “parametri” era riconosciuta dalla legge la efficacia probatoria di presunzione legale, spettando al contribuire fornire la prova contraria; 2-la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 avendo i Giudici territoriali omesso di quantificare la (diversa) pretesa tributaria scaturente dall’annullamento dell’avviso di accertamento;

3-il vizio di insufficiente motivazione non avendo i Giudici di appello confutato le tesi difensive della Amministrazione finanziaria secondo cui: il differimento nel corso degli anni successivi a quello di imposta di parte dei compensi per attività professionale di durata pluriennale era già considerato nei parametri e le somme dovevano quindi distribuirsi per l’intero periodo; la destinazione delle maggiori spese rilevate (sembra riferite alla utenza telefonica dello studio professionale) alle esigenze dei figli e del genero del contribuente non era quantificata potendo ipotizzarsi una collaborazione di tali soggetti alla attività professionale del contribuente.

Ha resistito l’ O. con controricorso. La Agenzia delle Entrate ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RILEVATO IN DIRITTO

– che la relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. ha concluso per la inammissibilità del ricorso osservando quanto di seguito trascritto:

“……- il primo motivo (con il quale si sostiene che i Giudici territoriali avrebbero disatteso la prova presuntiva legale di maggiori redditi prevista dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181) è infondato alla stregua dei principi espressi da questa Corte secondo cui la elaborazione statistica degli importi reddituali attraverso l’applicazione dei parametri e degli studi di settore deve essere valutata dal Giudice di merito alla stregua dei normali criteri normativi che fondano la prova logica presuntiva (artt. 2727 e 2729 c.c.) previa verifica della sussistenza – della cui prova onerata la Amministrazione finanziaria – dei presupposti ai quali è condizionato tale accertamento tributario (nei confronti dei soggetti che svolgono attività di impresa o arti e professioni, in contabilità ordinaria. La L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, lett. b) richiede che la contabilità risulti “inattendibile”; con riferimento all’accertamento compiuto in base agli studi di settore il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies conv. in L. n. 427 del 1993 richiede una “grave incongnienza” nello scostamento registrato), e tenuto conto delle prove contrarie eventualmente offerte dal contribuente (a dimostrazione della regolarità della contabilità ovvero della scarsa rilevanza dello scostamento, o ancora delle concrete circostanze in cui si è svolto l’esercizio della impresa, dell’arte o professione, idonee a giustificare il minor reddito prodotto). Deve pertanto escludersi – in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata – che la autorizzazione disposta dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181 – all’utilizzo dei “parametri…ai fini della determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari da porre a base degli accertamenti fiscali nei confronti “degli esercenti attivilà d’impresa o arti e professioni in contabilità ordinaria quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 risulti l’inattendibilità della contabilità ordinaria”-, implichi il riconoscimento di una presunzione legale, da un lato non potendo attribuirsi al “parametro” la consistenza di un fatto noto e certo idoneo a produrre “ex se” la conoscenza del fatto ignoto (reddito realmente prodotto); dall’altro potendo assumere consistenza probatoria (praesumptio hominis) lo scostamento reddituale rilevato, alla stregua dei concomitanti elementi di valutazione desunti dalle allegazioni e prove fornite dal contribuente – concernenti le concrete circostanze in cui è stata esercitata la attività di impresa, artistica o professionale ovvero gli eventi verificatisi nel corso della stessa, idonei a giustificare i minori ricavi prodotti – o dal comportamento omissivo – suscettibile di valutazione da parte del Giudice di merito – tenuto dal contribuente nella fase amministrativa volta alla instaurazione del contraddittorio che precede la emissione dell’avviso.

Alcuna censura va pertanto mossa alla sentenza impugnata per non aver attribuito efficacia probatoria legale alla mera rilevazione della non coincidenza tra il reddito dichiarato e quello statisticamente presunto;

– il secondo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Il quesito di diritto richiede di affermare che pronunciando l’annullamento dell’avviso di accertamento il Giudice di merito deve “determinare la imposta effettivamente dovuta”. Il quesito non è pertinente al “decisum” (cfr. Corte cass. SU 21.6.2007 n. 14385): i Giudici di appello hanno infatti confermato la sentenza di primo grado che ha accolto il ricorso nella sua integrità ritenendo illegittimo l’avviso di accertamento (sent. pag. 1). Tanto è sufficiente a rilevare che non residua alcun margine per la determinazione di una diversa, se pure ridotta, pretesa fiscale rispetto alla imposta dovuta dal contribuente in base alla dichiarazione presentata per l’anno 1999, e pertanto la CTR non era tenuta ad adottare alcuna ulteriore statuizione in ordine al rapporto tributario – il terzo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. Premesso che “Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale della correttezza giuridica, l’esame e la valutzione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (cfr. da ultimo Corte cass. sez. lav. 6.3.2011 n. 6288), osserva il Collegio che. da un lato. la ricorrente ha omesso del tutto di specificare gli elementi fattuali posti a fondamento dell’accertamento computo mediante la applicazione dei “parametri” (non è chiaro in particolare quale sia la entità della differenza riscontrata in relazione ai singoli elementi contabili: nella specie i costi per utenza telefonica); dall’altro ha omesso di trascrivere il contenuto degli atti o dei documenti acquisiti al giudizio di merito e dei quali si contesta la erronea od illogica valutazione da parte del Giudice di appello.

Occorre inoltre osservare che la CTR ha ritenuto priva di efficacia probatoria la mera rilevazione statistica del maggior reddito in relazione a circostanze di fatto quali l’assenza di dipendenti, collaboratori o segretari nonchè lo svolgimento di incarichi professionali di durata pluriennale con conseguente anticipo di somme da parte del professionista per fare fronte alle spese di esercizio e differimento del conseguimento dei redditi, fatti dai quali ha ritenuto il maggior reddito presunto non rappresentativo della realtà economica effettiva. La critica formulata dalla ricorrente con il motivo di ricorso in esame è incentrata su una ricostruzione alternativa degli elementi di valutazione predetti, venendo avanzata la ipotesi che altri soggetti collaborassero all’attività professionale del contribuente e prospettata un diverso criterio distributivo della incidenza del differimento di una parte dei compensi ad annualità successive mediante attribuzione di una quota per ciascuna di tali annualità la cui determinazione è demandata a Giudice di merito. Ma il motivo anche sotto tale aspetto si palesa inammissibile in quanto “il ricorrente – a fronte di una denunziala insufficiente spiegazione logica relativa all’apprezzamento, operato dal giudice di merito, dei fatti della controversia o delle prove – non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con ima logica alternativa – pur se essa sia supportata dalla possibilità o dalla probabilità di corrispondenza alla realtà fattuale – essendo invece necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile, atteso che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dovendo incidere su un fatto “decisivo del giudizio”, legittima il ricorso per cassazione unicamente per vizi di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione e non cerio per consentire alla S.C., quale giudice di sola legittimità, di scegliere sulla base di criteri possibilistici o probabilistici tra due prospettazioni, ambedue logiche ma nello stesso tempo alternative” (cfr. Corte cass. sez. lav. 9.1.2009 n. 261)……”.

Ritenuto:

– che debbono essere condivise le argomentazioni esposte e le conclusioni della relazione, non essendo dirimenti le osservazioni formulate dalla parte ricorrente nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c. volte a ribadire la esaustività dei motivi di ricorso.

Ritenuto:

– che il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve essere, pertanto, rigettato nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

P.Q.M.

la Corte: rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per onorari Euro 100,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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