Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23122 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. I, 22/10/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 22/10/2020), n.23122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 432/2019 proposto da:

C.P.P., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Righini Paolo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

21/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/07/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Bologna ha respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero della protezione sussidiaria o in subordine umanitaria, proposta dal cittadino bangiadese C.P.P., nato a (OMISSIS), il quale ha dichiarato di essere induista e di aver lasciato il Bangladesh perchè i ricchi vicini, di religione musulmana, avevano minacciato la sua famiglia, picchiato il padre, incendiato la loro casa e minacciato che avrebbero ucciso il ricorrente e violentato la moglie se questi non avesse lasciato il Paese.

2. Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere il tribunale erroneamente valutato non credibile il racconto del ricorrente, senza porgli ulteriori domande, tenuto conto della piena compatibilità del narrato con le persecuzioni subite in Bangladesh dalla minoranza induista.

3.1. La censura è inammissibile.

3.2. Il tribunale ha puntualmente motivato sulla genericità, vaghezza e incoerenza del racconto del ricorrente, incentrato su dichiarazioni non circostanziate circa le caratteristiche delle aggressioni e minacce asseritamente subite nonchè l’identità degli aggressori, così come sulle condizioni del prestito usurario ricevuto per la partenza (riferito solo dinanzi alla Commissione territoriale); ha altresì evidenziato le incongruenze e difformità tra l’audizione in sede amministrativa e quella in sede giudiziale, oltre alla mancata produzione di documenti senza una plausibile spiegazione, posto che la famiglia del ricorrente (moglie, due figlie, genitori, sorelle) è tornata a vivere in Bangladesh;

tutto ciò senza negare gli episodi di violenza in danno della minoranza induista riscontrati nelle C.O.I. acquisite (v. pag. 4 del decreto).

3.3. Si tratta di valutazioni che, in mancanza di una appropriata censura motivazionale, integrano apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, non sindacabili in questa sede (Cass. 5114/2020, 33858/2019, 3340/2019, 21142/2019, 32064/2018, 30105/2018, 27503/2018, 16925/2018), in applicazione del principio, di recente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, per cui deve ritenersi inammissibile un “ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019).

4. Il secondo mezzo prospetta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere il tribunale respinto le domande di protezione sussidiaria e umanitaria sulla base del contestato giudizio di non attendibilità del dichiarante; in ogni caso spetterebbe la protezione umanitaria poichè, rientrando nel proprio Paese, il ricorrente sarebbe privo di lavoro, alla mercè degli usurari e degli avversari religiosi, mentre in Italia lavora (in un ristorante) e sta faticosamente apprendendo la lingua italiana (pur essendo analfabeta).

4.1. La censura è inammissibile.

4.2. Fermo restando quanto sopra detto con riguardo al profilo della credibilità, sul diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019) – la decisione risulta in linea con la giurisprudenza di questa Corte che richiede a tal fine “il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 23778/2019, 1040/2020), escludendo che la misura possa essere concessa solo “in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 4455/2018, 630/2020). Orbene il tribunale, dopo aver sottolineato come il ricorrente non avesse nemmeno allegato di essersi rivolto alle autorità statali senza ricevere protezione, ed escluso la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata sulla scorta di C.O.I. qualificate e aggiornate, ha rilevato l’assenza di specifici profili di vulnerabilità, caratterizzati da serietà e gravità, ritenendo all’uopo insufficiente lo svolgimento di attività lavorativa in Italia, tenuto conto che nel Paese di origine si collocano tutti i riferimenti affettivi e familiari del ricorrente. Si tratta anche in questo caso di valutazioni che integrano apprezzamenti di fatto non adeguatamente censurati per le ragioni sopra esposte.

5. Il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per “motivazione apparente circa un fatto controverso”.

5.1. La censura, del tutto generica e ripetitiva di doglianze già esposte nei precedenti motivi, è comunque inammissibile poichè, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (ad opera del D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012), il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi ridotto – alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi – al “minimo costituzionale”, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza” – nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass. Sez. U, 8053/2014; Sez. U, 33017/2018).

5.2. Nel caso di specie la motivazione supera quel livello minimo costituzionale, senza essere adeguatamente censurata nemmeno secondo i canoni del novellato art. 360 c.p.c., n. 5), i quali postulano l’indicazione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, di tal che il ricorrente ha l’onere di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020).

6. Nulla sulle spese, in assenza di difese del Ministero intimato. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019 e 4315/2020).

PQM

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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