Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23121 del 14/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 14/11/2016, (ud. 28/09/2016, dep. 14/11/2016), n.23121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23891/2013 proposto da:

S.I.N., ((OMISSIS)), S.I.F.

((OMISSIS)), quali eredi di SO.FR., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA E. GIANTURCO 4, presso lo studio

dell’avvocato MARCO PULLATTI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANGELA DELUIGI TESTI, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, ((OMISSIS)),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati

CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI, giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, ((OMISSIS));

– intimato –

avverso la sentenza n. 9253/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

14/11/2012, depositata il 27/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/9/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l’Avvocato ANGELA DELUIGI TESTI difensore dei ricorrenti che si

riporta ai motivi scritti;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI difensore del controricorrente che

si riporta ai motivi scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 9253/2012 del 27 novembre 2012, confermava la decisione del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda di So.Fr., intesa al riconoscimento dell’indennità di accompagnamento, per essere maturato il termine decadenziale. Per quanto si rileva dalla decisione qui impugnata, il Tribunale aveva posto a base della propria decisione una duplice ratio decidendi evidenziando: – che la decadenza era maturata essendo stato il ricorso amministrativo avverso la decisione della commissione di prima istanza (del 29/8/2002) proposto solo in data 7/7/2007; – che, pur ammesso che il ricorrente fosse venuto a conoscenza della decisione della commissione solo al momento del ricorso amministrativo (7/7/2007), alla data di presentazione del ricorso giudiziario (20/3/2008) la decadenza era comunque maturata. Riteneva la Corte territoriale che alle suddette due ragioni l’appellante non aveva contrapposto alcuna propria specifica argomentazione in grado di incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, il che rendeva superfluo l’esame del motivo di doglianza concernente la rilevanza ai fini dell’inapplicabilità della normativa sopravvenuta della data di presentazione dell’istanza amministrativa ed irrilevante il documento depositato dell’appellante (inteso a dimostrare, come si evince dal ricorso per cassazione, l’avvenuta comunicazione del verbale della commissione medica di prima istanza anteriormente al 31/12/2004 che avrebbe comportato l’inapplicabilità dell’istituto della decadenza di cui al D.L. n. 269 del 2003).

Avvero tale sentenza ricorrono per cassazione I.S.N. e I.S.F. (quali eredi di S.F.) affidato a due motivi.

L’I.N.P.S. resiste con controricorso.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto solo intimato.

Con i due motivi i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 434 e 342 c.p.c., nonchè violazione di legge e vizio motivazionale. Lamentano che la Corte territoriale abbia ritenuto non idoneamente censurata la decisione di primo grado, laddove erano stati espressamente enunciati i limiti di applicabilità della nuova normativa e confutata la tesi secondo la quale il previsto termine di decadenza decorrerebbe dall’entrata in vigore della stessa (1/1/2005) anche per le domande presentate prima. Si dolgono, altresì, del fatto che la Corte di appello abbia ritenuto di stralciare dagli atti, perchè tardivo, il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze dal quale si evinceva l’avvenuta comunicazione dell’esito della visita della commissione di prima istanza in data utile ad escludere, secondo l’orientamento di questa Corte formatosi in corso di causa, l’applicabilità della nuova normativa.

Il motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione dell’intrinseca connessione, pur contenendo profili di fondatezza sono da disattendere per le ragioni di seguito illustrate.

pur vero che, per quanto si evince dalla stessa sentenza impugnata, il Tribunale aveva posto a base della propria decisione una duplice ratio decidendi, tuttavia in entrambe le soluzioni prospettate il maturato termine di decadenza era stato comunque basato sull’operatività della nuova disciplina di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, convertito in L. n. 326 del 2003 (posta, nell’un caso, in correlazione alla data di presentazione del ricorso amministrativo e, nell’altro caso, in correlazione alla data di avvenuta comunicazione dell’esito del verbale della commissione di prima istanza – ove pure ritenuta coincidente con la stessa data del ricorso amministrativo -). Tanto si evince dai passaggi della sentenza del Tribunale, debitamente trascritti dal ricorrente, in cui è espressamente affermato: “La decadenza prevista dall’art. 42, comma 3, parte 2 del D.L. citato è maturata nel caso in esame. Infatti la fattispecie del decorso del semestre si è interamente realizzata sotto la vigenza della nuova normativa che decorre, quanto alla norma in esame, dall’1/1/2005 (…): poichè la disposizione di cui all’art. 42, comma 3, non prevede norme transitorie, spetta all’interprete individuare i limiti di applicabilità in relazione a diverse ipotesi che possono concretamente verificarsi al momento della sua entrata in vigore… ed ancora è specificato: “Il termine semestrale di decadenza, entro il quale la domanda dovrà essere proposta, deve essere computato non già dalla data di comunicazione del provvedimento di rigetto del ricorso, ma dalla data di entrata in vigore della nuova disciplina…” e quindi conclusivamente evidenziato che la decadenza dovesse ritenersi comunque maturata non rilevando nè la data del ricorso amministrativo (non più previsto dalla nuova disciplina) nè quella di comunicazione del provvedimento della commissione medica nè quella di rigetto ovvero di inammissibilità del ricorso. Come è di chiara evidenza tutta la decisione, pur con le differenti specificazioni applicative, ruotava intorno alla ritenuta applicabilità del nuovo termine decadenziale.

Ed allora è da ritenersi che laddove tale pronuncia è stata impugnata sostenendosi, come si legge testualmente nel ricorso per cassazione: “Tale norma è entrata in vigore dall’1/1/2005 e non può che riferirsi alle sole domande amministrative proposte a partire dalla stessa data. La diversa soluzione di cui alla sentenza impugnata non può essere condivisa per le seguenti ragioni…”, ragioni individuate nel principio generale dell’irretroattività della legge e nel richiamo al precedente di questa Corte costituito da Cass. n. 10436/2002, il motivo di gravame abbia congruamente e specificamente censurato il punto decisivo della sentenza.

Ciò precisato vanno richiamati i plurimi precedenti di questa Corte (cfr. Cass. 20 aprile 2011, n. 9038, Cass. 15 ottobre 2014, n. 21812; Cass. 3 giugno 2015, n. 11484) in base ai quali in tema di azione giudiziale per le prestazioni di invalidità civile, il D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, convertito in L. n. 326 del 2003, la cui efficacia è stata differita al 31 dicembre 2004 dal D.L. n. 355 del 2003, art. 23, comma 2, convertito in L. n. 47 del 2004, ha introdotto una decadenza prima inesistente, fissando il termine di sei mesi dalla data di comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa. Ne consegue che detto termine di decadenza si applica solo se il provvedimento amministrativo sia stato comunicato all’interessato dopo il 31 dicembre 2004. La ragione dell’inapplicabilità della decadenza di nuova istituzione al caso in cui il provvedimento amministrativo sia stato comunicato all’interessato anteriormente alla data di inizio dell’applicabilità della nuova norma è stata ravvisata specificamente nella circostanza che si è in presenza non già del fenomeno, regolato dall’art. 252 disp. att. c.c., dell’abbreviazione del termine relativamente a un’ipotesi di esercizio di un diritto già precedentemente condizionato al rispetto di un termine di decadenza, ma all’introduzione di una decadenza precedentemente non esistente. Si tratta di un’evenienza diversa e più incisiva rispetto a quella regolata dall’art. 252 cit., perchè, come esattamente rilevato negli specifici precedenti di questa Corte, la nuova norma istituisce e delinea lo stesso fatto che comporta la decorrenza del termine di decadenza e che appartiene quindi, unitamente al decorso del tempo, alla fattispecie costitutiva della decadenza (tanto da essere denominato, nelle suddette sentenze, fatto generatore della decadenza). Con la conseguenza appunto della sottrazione alla possibile incidenza della nuova norma della fattispecie nella quale la comunicazione del provvedimento amministrativo – fatto che dovrebbe comportare la decorrenza della decadenza – si situa al fuori dell’area temporale di operatività della nuova norma. stato anche precisato che, come ritenuto dalla Corte costituzionale (C. cost. n. 128/96), il principio di irretroattività della legge sopravvenuta comporta che essa non può essere applicata ai facta praeteria pur corrispondenti agli elementi di una nuova fattispecie produttiva tuttavia di effetti che a quei fatti dalla legge precedente non erano collegati.

Certamente, allora, ai fini della configurabilità della decadenza di cui alla nuova normativa era importante accertare la data di comunicazione del provvedimento negativo della commissione di prima istanza.

Tuttavia non pare che le ragioni per le quali la Corte territoriale ha ritenuto di non ammettere la produzione (tardiva) di tale comunicazione siano state idoneamente scalfite dai ricorrenti.

Ed infatti se tale comunicazione irrilevante non era, nella specie, come evidenziato dai giudici di appello, non vi era stata alcuna deduzione e prova da parte degli appellanti dell’impossibilità della relativa produzione nella precedente fase del giudizio ovvero contestualmente al deposito dell’atto di appello.

Tale passaggio argomentativo non è, invero, censurato dagli odierni ricorrenti che neppure assumono espressamente che vi sia stata una violazione di legge per mancato esercizio dei poteri d’ufficio (“Nel rito del lavoro, l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale, che può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora la sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione per disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione” – Cass. 25 maggio 2010, n. 12717). I ricorrenti, sul punto, si limitano ad evidenziare l’indispensabilità della produzione documentale, giustificata dall’evolversi della giurisprudenza. Ora, va innanzitutto ricordato che il giudizio di indispensabilità della prova nuova in appello – previsto dall’art. 345 c.p.c., comma 3, con riferimento al rito di cognizione ordinaria e dall’art. 437, comma 2, in relazione al processo del lavoro – non attiene al merito della decisione, ma al rito, in quanto la relativa questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte – cfr. Cass. 17 giugno 2009, n. 14098; Cass. 24 febbraio 2011, n. 4478 -. Inoltre è di tutta evidenza come l’evolversi della giurisprudenza non possa essere di per sè tale da stravolgere gli oneri probatori di regola ricadenti sulla parte (salva l’ipotesi che incida proprio su tali oneri probatori – così Cass. 19 gennaio 2016, n. 819 -); si consideri, poi, che pure nell’ipotesi di mutamento della giurisprudenza rispetto ad un precedente orientamento consolidato (c.d. overruling la parte processuale colpita dalla decadenza o dalla preclusione perchè incolpevolmente confidante nel consolidato orientamento precedente è tutelata solo laddove tale nuovo orientamento abbia inciso su una norma processuale che abbia, ad esempio, reso irrituale l’atto processuale compiuto o il comportamento tenuto dalla parte in base all’orientamento precedente. Non, dunque, laddove si sia in presenza di una interpretazione che abbia riguardato, come nella specie, una disciplina sostanziale (cfr., ex Cass. 24 marzo 2014, n. 6862; Cass. 3 settembre 2013, n. 20172; Cass. 27 dicembre 2011, n. 28967).

In conclusione, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.

2 – I ricorrenti hanno depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria ex art. 380 bis c.p.c., con la quale la ricorrente insiste sulla indispensabilità del documento tardivamente prodotto sottolineando l’inapplicabilità ratione temporis alla fattispecie in esame dell’art. 345, nella formulazione voluta dalla L. n. 134 del 2012, entrata in vigore il 12/9/2012.

In realtà la giurisprudenza di questa Corte, formatasi con riferimento all’art. 345 c.p.c., comma 3, come modificato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353 (e dunque nel testo previgente rispetto alle modifiche di cui alla L. n. 134 del 2012), è nel senso che, esclusa essendo l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova nel giudizio di secondo grado, ivi compresi i documenti, è consentito al giudice di appello di ammettere, oltre alle nuove prove che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non imputabile, quelle che ritenga, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, indispensabili perchè dotate di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come rilevanti, hanno sulla decisione finale della controversia (cfr. ex multis Cass. 19 aprile 2006, n. 9120; Cass. 23 marzo 2007, n. 7138). Tale facoltà non può mai essere esercitata in modo arbitrario dovendosi tener conto non solo dell’indispensabilità del documento ma anche, trattandosi di documenti nuovi, del fatto che la loro ammissione non sia stata richiesta in precedenza, e che comunque non si sia verificata la decadenza dalla prova (così Cass., Sez. un., 20 aprile 2005, n. 8203 secondo cui: “Nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3, va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova nuovi – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo): requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione”; si vedano anche Cass. 20 novembre 2006, n. 24606; Cass. 12 febbraio 2010, n. 3319 e con specifico riferimento al rito del lavoro Cass. 2 dicembre 2005, ti. 26254; Cass. 10 gennaio 2006, n. 162 Cass. 22 marzo 2011, n. 6498, Cass. 26 luglio 2012, n. 13353; Cass. 6 agosto 2012, n. 14150).

La Corte distrettuale si è. attenuta al principio interpretativo affermato dalla richiamata sentenza n. 8203 del 2005, rilevando che il documento di cui si discute, asseritamente idoneo a contrastare l’eccezione di decadenza dell’I.N.P.S. (affidata all’avvenuta presentazione in data 7/7/2007 del ricorso amministrativo – considerato dai giudici di appello non più ammissibile alla luce della normativa sopravvenuta, applicata in ragione della presunzione di coincidenza tra la data di tale ricorso e la comunicazione del verbale negativo della commissione di prima istanza -, di oltre sci anni successivo rispetto alla domanda amministrativa dell’1/2/2001 e di ben quattro anni successivo alla pretesa data di trasmissione per la notifica del verbale di visita della commissione di prima istanza – che si assume avvenuta il 31/1/2003 -), non poteva trovare ingresso nel processo “per evidente tardività, in difetto di deduzione e prova da parte degli appellanti dell’impossibilità della relativa produzione nella precedente fase di giudizio ovvero contestualmente al deposito dell’atto di appello”.

Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va rigettato.

5 – Le spese del presente giudizio, non sussistendo le condizioni per l’esonero dei soccombenti dal pagamento ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 369, art. 42, comma 11, conv. – con modificazioni – nella L. 24 novembre 2003, n. 326, sono poste a carico dei ricorrenti e vengono liquidate come da dispositivo.

6 – Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

La suddetta condizione sussiste nella fattispecie in esame.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2016

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