Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23119 del 17/09/2019

Cassazione civile sez. II, 17/09/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 17/09/2019), n.23119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13150/2015 proposto da:

CASABIANCA COSTRUZIONI SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 90, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE VACCARO, rappresentato e difeso

dall’avvocato TIZIANA FOTI;

– ricorrente –

contro

F.D., M.B., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA MARIANNA DIONIGI 29, presso lo studio dell’avvocato MARINA

MILLI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ORAZIO

MANNINO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 489/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 28/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/04/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che M.B. e F.D., esponendo che l’immobile dai medesimi acquistato dalla costruttrice Casabianca Costruzioni s.r.l. presentava dei vizi, ottennero dal Tribunale provvedimento cautelare, ai sensi dell’art. 700, c.p.c., che ordinava alla Casabianca di far luogo ai prescritti interventi; il Tribunale, a definizione del merito, condannò l’impresa convenuta a pagare la somma di Euro 4.278,05 per le opere di ripristino interno, nonchè “a realizzare il rivestimento in pietrame lavico di tutti i muri di recinzione e di contenimento esistenti nel complesso”; la Corte d’appello di Catania, alla quale si era rivolta in via principale la Casabianca e in via incidentale il M. e la F., parzialmente riformando la decisione di primo grado, condannò la Casabianca, al pagamento della somma di Euro 48.004,48, in luogo del facere imposto dal Tribunale, fermo restando il resto;

ritenuto che avverso la statuizione d’appello ricorre la s.r.l. Casabianca Costruzioni sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati da memoria e che gli intimati resistono con controricorso;

ritenuto che con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, “in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto il Giudice d’appello aveva giudicato tardiva la produzione dell’indispensabile documento, costituito dalla nota n. 8207 del 9/5/2013 della competente Sovrintendenza ai beni culturali; nonchè per avere omesso di esaminare la nota n. 21280 del 26/10/2012, sempre proveniente dal medesimo ente; infatti con le predette note l’organo amministrativo aveva chiarito che il rivestimento in pietra lavica avrebbe dovuto riguardare solo la parte dei muri del complesso fronte strada e non anche quella interna;

ritenuto che con il secondo motivo la Casabianca deduce violazione della L.R. Siciliana n. 37 del 1985, art. 13, la quale dispone che “Nelle zone soggette a tutela ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089 e L. 29 giugno 1939, n. 1497, la costruzione di muri di sostegno delle terre, di sottoscarpa, di controriva, di parapetti stradali, di muri di recinzione deve essere realizzata in muratura di pietrame a secco o con malta cementizia. Le costruzioni delle predette strutture in calcestruzzo semplice o armato sono consentite solo se realizzate con parametro esterno in pietrame”;

ritenuto che gli intimati deducono, fra l’altro, che la sentenza d’appello non era impugnabile per intervenuta tacita acquiescenza, esponendo che: poichè la Casabianca si era resa inadempiente all’obbligo di pagamento derivante dal titolo giudiziario il M. e la F. avevano presentato istanza di fallimento; nel corso della procedura, con scrittura del 25/9/2014, la Casabianca, versato con assegni circolare l’importo di Euro 26.000,00, si era impegnata a pagare il residuo, fino all’intimato importo di Euro 55.516,08, attraverso rate mensili; il M. e la F., si erano obbligati a desistere immediatamente dall’istanza di cui detto, avevano rinunziato alle spese legale e agli interessi successivi alla notifica del precetto, e, a pagamento completato, si erano impegnati a consegnare alla Casabianca il titolo esecutivo, costituito dalla sentenza della Corte d’appello; si era, quindi, in presenza di una transazione, che aveva comportato “la rinuncia di entrambe le parti a proporre qualsivoglia azione avverso la sentenza” d’appello e, in particolare, “la Casabianca Costruzioni (aveva) espressamente rinunciato ad impugnare la sentenza n. 489/14 della Corte d’Appello di Catania”;

considerato che questa Corte da oltre un quarantennio è ferma nel sostenere che l’art. 372 c.p.c., in tema di deposito di documenti nuovi in sede di legittimità, nonostante il testuale riferimento alla sola inammissibilità del ricorso, consente la produzione di ogni documento incidente sulla proponibilità, procedibilità e perseguibilità del ricorso medesimo, inclusi quelli diretti ad evidenziare l’acquiescenza del ricorrente alla sentenza impugnata per comportamenti anteriori all’impugnazione, ovvero la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti che elidano l’interesse alla pronuncia sul ricorso purchè riconosciuti ed ammessi da tutti i contendenti (Sez. 2, n. 3934, 29/2/2016, Rv. 638973; conf., ex multis, nn. 6408/1982, 6137/1978, 3023/1975);

che il contenuto della scrittura, posta al vaglio di questa Corte mostra avere indubbia natura transattiva, con effetto di rinuncia bilaterale, non trattandosi, siccome sostiene la ricorrente di un atto ricognitivo di un pagamento imposto dall’esecutività del titolo azionato, bensì di uno strumento negoziale di definizione della vicenda con reciproche concessioni, dalle quali derivava “la rinuncia di entrambe le parti a proporre qualsivoglia azione avverso la sentenza” e, in particolare la Casabianca aveva rinunciato a impugnare la sentenza d’appello;

che, di conseguenza, il ricorso è inammissibile poichè rivolto avverso sentenza verso la quale la parte impugnante risulta aver prestato acquiescenza;

considerato, peraltro, che entrambe le esposte censure sono inammissibili:

a) il primo motivo presuppone una rilevanza ai fini del decidere dei documenti richiamati smentita da quanto si dirà immediatamente dopo per il secondo motivo, inoltre deve rilevarsi che in relazione alla nota del 2013, la ricorrente non coglie la ratio decidendi, stante che la sentenza non ha ammesso la produzione non già perchè tardiva, ma perchè giudicata, appunto, non indispensabile; a riguardo della nota del 2012 il ricorso difetta irrimediabilmente di aspecificità, poichè nulla è dato sapere dell’evocato documento, senza contare che trattandosi di ipotesi nella quale si applica il nuovo testo dell’art. 345 c.p.c., dopo la novella del 2012, non era stato allegato e dimostrato “di non aver potuto (…) produrli (i documenti) nel giudizio di primo grado per causa” non imputabile alla parte;

b) il secondo motivo non coglie la ratio decidendi, difatti, secondo la sentenza le parti avevano pattuito che la costruzione dovesse rispettare il progetto, avente pertanto valore negoziale, il quale prevedeva la copertura dei muri in pietra lavica sia dal lato esterno, che da quello interno, senza che, pertanto risulti avere avuto rilevanza per la decisione il contenuto della norma regionale citata e tanto meno le eventuali interpretazioni di essa norma rese da autorità amministrative;

considerato che in virtù del principio di soccombenza la ricorrente dovrà rimborsare alla controparte le spese legali del giudizio di legittimità, nella misura, stimata congrua, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività svolte, di cui in dispositivo;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali in favore dei resistenti, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019

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