Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23119 del 14/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 14/11/2016, (ud. 28/09/2016, dep. 14/11/2016), n.23119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17219/2013 proposto da:

C.S., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

NAPOLEONE III 28, presso lo studio dell’avvocato DANIELE LEPPE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO ROSARIO BONGARZONE

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., ((OMISSIS)), – società con socio unico – in

persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8298/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

23/10/2012, depositata il 7/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/9/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

– Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

Con ricorso al Giudice del lavoro di Roma, C.S. conveniva in giudizio la Poste Italiane S.p.A. chiedendo l’accertamento della nullità del termine apposto a due contratti di lavoro conclusi inter partes, rispettivamente per il periodo (OMISSIS) e per il periodo (OMISSIS), ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis. Il primo Giudice rigettava la domanda e la Corte di appello di Roma, confermava tale pronuncia. Ritenevano i giudici di appello che, con l’introduzione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, il legislatore, salvaguardando il principio di regola-eccezione, avesse solo previsto precisi limiti temporali e quantitativi, nella specie rispettati.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, C.S. propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi.

L’intimata Poste Italiane S.p.A. resiste con controricorso.

Con il primo motivo, denunciando violazione di legge, la ricorrente deduce che erroneamente la Corte territoriale abbia ritenuto che la disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, fosse applicabile a prescindere dalla tipologia delle mansioni svolte dal lavoratore e, quindi, anche nel caso di specie, essendo stata essa ricorrente assunta per svolgere servizi di sportelleria, sostanziandosi le mansioni espletate, in modo promiscuo e spesso prevalente o, in alcune giornate, addirittura esclusivo, in attività non riconducibili al servizio postale, bensì di natura finanziaria e creditizia.

Il motivo è manifestamente infondato.

La sentenza impugnata risulta corretta alla luce dei principi affermati da questa Corte in materia, e cioè che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, aggiunto della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 558, ha introdotto, per le imprese operanti nel settore postale, un’ipotesi di valida apposizione del termine autonoma rispetto a quelle stabilite dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, richiedendo esclusivamente il rispetto dei limiti temporali, delle percentuali (sull’organico aziendale) e di comunicazione alle organizzazioni sindacali provinciali e non anche l’indicazione delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine, dovendosi escludere che tale previsione sia irragionevole – come positivamente valutato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 214 del 2009 – o contrasti con il divieto di regresso contenuto nell’art. 8 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 99/70/CE, trattandosi di disposizione speciale, introdotta accanto ad altra analoga previsione speciale, con la quale il legislatore si è limitato ad operare una tipizzazione della ricorrenza di esigenze oggettive, secondo una valutazione di tipicità sociale. Ne consegue che per i relativi contratti di lavoro non opera l’onere di indicare sotto il profilo formale, e di rispettare sul piano sostanziale la causale, oggettiva e di natura temporanea, 6 giustificatrice dell’apposizione di un termine al rapporto (Cass. 26 luglio 2012, n. 13221; Cass. 2 luglio 2015, n. 13609; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2324).

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, dell’art. 2967 c.c., in relazione alla omessa verifica dell’assegnazione della ricorrente a servizi di sportelleria ed alla omessa pronuncia circa la richiesta di ammissione di prova testimoniale sul punto.

Il motivo oltre a presentare profili di inammissibilità, per non essere specificato quando ed in che termini la richiesta di prova sia stata avanzata ai giudici di merito, è infondato per le stesse ragioni di cui al primo motivo di ricorso.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, dell’art. 2967 c.c., in relazione al ritenuto rispetto della quota del 15% dei lavoratori assunti. Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto assolto l’onere gravante sulla società sulla base di documentazione proveniente da quest’ultima, inidonea ad assurgere a rango di prova documentale certa.

Anche tale motivo è manifestamente infondato.

Quanto alla denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., parte ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione della norma di legge sostanziale dipenda o sia ad ogni modo dimostrata dall’erronea valutazione del materiale istruttorio. Al contrario, un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 2697 c.c., può porsi solo allorchè si alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; 3) abbia invertito gli oneri probatori. E poichè, in realtà, nessuna di queste tre situazioni è rappresentata nei motivi anzi detti, le relative doglianze sono mal poste. E’ pur vero che la ricorrente si duole della attribuita rilevanza alla documentazione prodotta da parte resistente – peraltro neppure riprodotta in sede di ricorso per cassazione ovvero allegata a quest’ultimo -, assumendo che la stessa, di provenienza aziendale, non avrebbe potuto avere la valenza probatoria che la Corte territoriale le ha attribuito. Tuttavia, mancano elementi per ritenere che a detta documentazione ed agli elementi di fatto risultanti dalla stessa siano state mosse contestazioni di sorta in primo grado ovvero in appello, emergendo, al contrario, dalla stessa sentenza impugnata che, a fronte delle deduzioni della società resistente in ordine al rispetto della percentuale legislativamente prevista e della documentazione prodotta a sostegno delle medesime, nessuna specifica posizione contraria era stata assunta dalla ricorrente, il che induce a ritenere l’utilizzo ragionevole da parte dei giudici di merito del potere discrezionale attribuito dagli artt. 115 e 116 c.p.c..

Per tutto quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.

2 – Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria ex art. 380 bis c.p.c., con la quale la ricorrente si limita a riproporre i rilievi di cui ai motivi di ricorso.

Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va rigettato.

5 – Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.

6 – Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

La suddetta condizione sussiste nella fattispecie in esame.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre

2016

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