Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23116 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. II, 22/10/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 22/10/2020), n.23116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22412/2018 proposto da:

Q.B., rappresentato e difeso dall’Avvocato SERGIO

TREDICINE;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.p.A., nuova denominazione di Fondiaria Sai

S.p.A., quale incorporante di Unipol Assicurazioni S.p.A., Compagnia

di Assicurazioni Milano S.p.A., Premafin Finanziaria S.p.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE 4, presso lo studio

dell’avvocato MARIO TUCCILLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2024/2018 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 26/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/07/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO CASENTINO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I. Q.B. ha proposto ricorso, articolato in sette motivi, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Napoli n. 2024/2018, pubblicata il 26.02.2018, la quale, accogliendo l’appello della UnipolSai Assicurazioni S.p.A. avverso la sentenza di primo grado del Giudice di Pace di Napoli, ha dichiarato improponibile la domanda avanzata dal medesimo Sig. Q. nei confronti della Fondiaria SAI S.p.A., ora UnipolSai Assicurazioni S.p.A., per il pagamento di una somma a titolo di competenze professionali relative all’incarico di perito assicurativo, svolto per conto di detta Compagnia di assicurazioni in relazione ad un sinistro stradale.

UnipolSai Assicurazioni S.p.A. ha depositato controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Le parti non hanno depositato memorie nel termine di cui all’art. 380-bis 1 c.p.c..

II.1. Con l’impugnata sentenza il Tribunale di Napoli ha preliminarmente escluso, disattendendo il motivo di appello proposto sul punto dalla Compagnia di assicurazioni, che la mancata riunione di cause potesse costituire oggetto di motivo di gravame; nel merito, il Tribunale ha giudicato la domanda del Sig. Q. improponibile.

II.2. In particolare, il Tribunale – dopo aver premesso che il Sig. Q. aveva introdotto, dopo la cessazione di un pluriennale rapporto di collaborazione professionale con la Compagnia di assicurazioni, molte centinaia di procedimenti aventi ad oggetto la pretesa al maggior compenso a suo dire dovuto per ciascuna delle molte centinaia di prestazioni professionali da lui rese nei corso del suddetto rapporto – ha ravvisato nel comportamento processuale del Sig. Q. un abuso del processo sanzionabile con la improponibilità della sua domanda.

III.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 274 c.p.c., per non aver il Tribunale considerato l’orientamento giurisprudenziale che ha ritenuto possibile anche nel giudizio di legittimità la riunione dei procedimenti relativi a cause connesse (si richiama Cass. n. 22631/2011).

III.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 111 Cost., trascurando che i periti assicurativi – in ragione della natura economica della loro prestazione, esercitata in modo stabile e con struttura organizzativa indipendente dalla impresa assicurativa committente – devono considerarsi rientranti nella nozione funzionale di impresa delineata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea; nè deporrebbe in senso contrario, si argomenta nel mezzo di ricorso – l’esistenza tra le parti di un mandato continuativo, che, ad ogni modo, non eviterebbe che il perito assuma in proprio il rischio imprenditoriale derivante dall’attività peritale svolta.

III.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione della L. 4 dicembre 2017, n. 2, art. 19 quaterdecies, che ha modificato della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13 bis. Nel mezzo di ricorso si argomenta che l’entità del compenso che il Tribunale ha accertato essere stato pattuito inter partes (Euro 40 a prestazione) risulterebbe in ogni caso, in disparte la questione della correttezza di tale accertamento, inferiore a quanto spettante al Sig. Q. alla stregua dei canoni fissati dalla suddetta disposizione per la determinazione dell’equo del compenso di avvocati e altri professionisti, tra cui i periti assicurativi, nei rapporti professionali regolati da convenzioni con imprese bancarie e assicurative.

III.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta “l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, oggetto di discussione tra le parti e avente carattere decisivo”. Nel motivo si censura l’affermazione del Tribunale secondo la quale il Sig. Q. avrebbe accettato, per facta concludentia, un compenso molto inferiore a quello previsto dalle tariffe professionali; al contrario, sostiene il ricorrente, tale circostanza sarebbe stata espressamente contestata a pagina 11 della comparsa conclusionale da lui depositata nel giudizio di appello e, comunque, risulterebbe smentita dalla documentazione IES dell’anno 2010 (prodotta in questa sede ai sensi dell’art. 372 c.p.c.). Da quest’ultima documentazione, argomenta ancora il ricorrente, si evincerebbe che gli importi corrisposti al professionista dalla società assicuratrice erano differenti per i diversi incarichi e mai pari ad Euro 40,00 ciascuno.

III.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia la violazione del giudicato implicito delle sentenze n. 18808/2016, n. 18809/2016 e n. 18810/2016 di questa Corte.

III.6. Con il sesto motivo di ricorso si censura la statuizione di improponibilità della domanda, lamentando come la stessa si ponga in contrasto con il giudicato calato sulla sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575 del 2016, con la quale è stato escluso che il ricorrente avesse proceduto ad un abusivo frazionamento del proprio credito; tale sentenza, ad avviso del ricorrente, rappresenterebbe un giudicato esterno vincolante tra le parti.

III.7. Con il settimo motivo di ricorso si censura nuovamente, sotto altro profilo, la statuizione di improponibilità della domanda, deducendo che il Tribunale avrebbe interpretato erroneamente i principi nomofilattici espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle pronunce n. 23726 del 15.11.2007 e n. 4090 del 13.02.2017.

IV. Infine il ricorrente chiede che il ricorso sia trattato in udienza pubblica innanzi alle Sezioni Unite, in ragione del contrasto formatosi nella giurisprudenza di questa Corte tra le sentenze nn. 18808/2016, 18809/2016 e 18810/2016 – che hanno accolto i ricorsi da lui presentati avverso pronunce di merito che avevano dichiarato l’improponibilità della sua domanda per frazionamento abusivo del credito in situazioni totalmente sovrapponibili a quella oggetto del presente giudizio – e altre successive sentenze che, al contrario, hanno rigettato altri suoi ricorsi, anch’essi del tutto analoghi a quelli accolti con le sentenze menzionate ed a quello oggetto del presente giudizio.

V.1. In via preliminare, deve affermarsi che non sussistono le ragioni, stabilite dall’art. 374 c.p.c., per la rimessione della causa alle Sezioni Unite, essendosi queste ultime già pronunciate sulla questione di diritto su cui si incentra il ricorso con la sentenza n. 4315 del 20 febbraio 2020.

V.2. Ancora via preliminare, deve rilevarsi che è inammissibile la produzione da parte del ricorrente degli identificativi di pagamento e dei moduli IES (documenti attinenti alla fondatezza delle censure e delle tesi prospettate nel ricorso, peraltro formati prima dell’inizio della fase di merito e quindi prima della maturazione delle preclusioni istruttorie), atteso che, nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero la nullità della sentenza impugnata.

VI.1. Il primo motivo di ricorso va giudicato inammissibile. Il motivo di appello del cui rigetto il ricorrente si duole, concernente la mancata riunione dei procedimenti nel giudizio di primo grado svoltosi davanti al Giudice di Pace, non è stato proposto dal Sig. Q. (che non risulta abbia nemmeno impugnato la sentenza del Giudice di Pace), bensì da UnipolSai; il ricorrente non è quindi legittimato a dolersi del mancato accoglimento di un motivo di appello altrui.

VI.2. Può peraltro aggiungersi – e questa considerazione assume rilievo ai fini della valutazione sulla responsabilità aggravata del ricorrente ex art. 96 c.p.c. – che il principio giurisprudenziale invocato nel motivo di ricorso (Cass. 22631/2011) non è in alcun modo pertinente alla fattispecie, giacchè l’affermazione che la riunione dei procedimenti ex art. 274 c.p.c., è possibile anche nel giudizio di legittimità è palesemente inconferente rispetto alla questione della conformità a diritto dell’affermazione del Tribunale secondo cui il mancato esercizio, da parte del giudice di primo grado, del potere di riunione dei procedimenti ex art. 274 c.p.c., non è sindacabile in sede di appello.

VI.3. Da ultimo, per ragioni nomofilattiche – ed anche per sottolineare nuovamente la temerarietà del mezzo di ricorso in esame, ai fini si cui all’art. 96 c.p.c. – va comunque sottolineato che la statuizione del Tribunale di Napoli di non sindacabilità in appello dei provvedimenti, negativi o positivi, di riunione di procedimenti ex art. 274 c.p.c., risulta conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte. Alla stregua di tale giurisprudenza, infatti, in tema di connessione di cause, il provvedimento di riunione, fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice e ha natura ordinatoria, essendo pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità (Cass. SSUU n. 2245/2015; Cass. n. 8024/2018).

VI.4. Sempre per ragioni nomofilattiche è opportuno precisare, ancorchè nel mezzo di impugnazione in esame non si lamenti la violazione dell’art. 151 disp. att. c.p.c., che quest’ultima disposizione – alla cui stregua i procedimenti pendenti davanti al Giudice di Pace che risultino connessi anche soltanto per identità delle questioni devono essere riuniti ex art. 274 c.p.c., salvo che la riunione renda il processo troppo gravoso o lo ritardi eccessivamente – non è presidiata da espressa sanzione di nullità e la sua violazione può essere prospettata in sede di impugnazione soltanto deducendo il pregiudizio che la mancata trattazione unitaria delle controversie connesse ha causato in termini di liquidazione delle spese (cfr. Cass. n. 5457/2014).

VII. Il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso vanno giudicati inammissibili, perchè non risultano pertinenti alle motivazione dell’impugnata sentenza. Tutti tali motivi, infatti, concernono la fondatezza della domanda dell’odierno ricorrente, ma la sentenza impugnata non si è pronunciata sul merito di tale domanda, limitandosi ad adottare una statuizione, di natura meramente processuale, di improponibilità della stessa. Donde l’inammissibilità di detti motivi.

VIII.1. Il quinto motivo, con cui si invoca l’efficacia preclusiva derivante dal “giudicato implicito delle sentenze nn. 18808/2016, 18809/2016 e 18810/2016” di questa Corte, va pur esso giudicato inammissibile. In disparte la carenza di specificità della formulazione del mezzo di impugnazione, nel quale il ricorrente si limita a richiamare il numero cronologico delle suddette sentenze, senza riportare con precisione nè il contenuto delle medesime nè il contenuto delle sentenze di merito sulle quali le stesse sono intervenute, è tranciante la considerazione che con tali sentenze questa Corte ha cassato con rinvio le impugnate decisioni di merito; nessuna statuizione è dunque passata in giudicato all’esito della loro pronuncia, nè, per contro, il ricorrente ha precisato se, ed in quali termini, il giudice di rinvio si sia pronunciato, nè se, e quando, tale eventuale pronuncia di rinvio sia passata in giudicato.

VIII.2. Può peraltro aggiungersi che, come le Sezioni Unite di questa Corte hanno sottolineato nella sentenza n. 4315 del 2020 (pag. 8), le sentenze di questa Corte nn. 18808/2016, 18809/2016 e 18810/2016 “si sono limitate a escludere che i crediti azionati in quei tre singoli giudizi fossero assimilabili agli altri oggetto delle distinte azioni promosse dal Q. nei confronti della convenuta per diverse obbligazioni contrattuali, ma… nulla hanno statuito in ordine ai caratteri di tali diversi rapporti obbligatori”.

IX.1. Il sesto motivo è parimenti inammissibile. In disparte il difetto di specificità della censura, per l’assenza di una indicazione sufficientemente dettagliata del contenuto della sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575/2016, della quale si invoca l’efficacia di cosa giudicata, risulta tranciante la considerazione che detta sentenza risulta depositata il 9 giugno 2016 e si è pronunciata su una domanda giudiziale introdotta il 10 luglio 2014. Nel motivo di ricorso, tuttavia, si sostiene che la stessa sarebbe passata in cosa giudicata solo in data 10 giugno 2018 (nella rubrica del motivo la data del passaggio in giudicato viene peraltro indicata come 10/7/2018) e, quindi, successivamente alla data di pubblicazione della pronuncia di appello in questa sede gravata.

IX.2. L’assunto del ricorrente secondo cui la sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575/2016 sarebbe passata in giudicato nel giugno del 2018 è però evidentemente erroneo (il che rileva, ancora una volta, ai fini del giudizio sulla responsabilità aggravata del ricorrente ex art. 96 c.p.c.). Infatti, ai sensi dell’art. 327 c.p.c. – nel testo, applicabile ratione temporis, risultante dalla modifica recata dalla L. n. 69 del 2009 – il termine per la formazione del giudicato formale è di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. La sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575/2016 – avuto riguardo alla data di pubblicazione della stessa (9 giugno 2016, come già riportato) – risulta dunque passata in giudicato già nel gennaio del 2017, ben prima della pronuncia della sentenza del Tribunale di Napoli gravata in questa sede.

IX.3. Quanto sopra precisato sul momento del passaggio in cosa giudicata della sentenza del Giudice di Pace di Napoli n. 19575/2016 comporta l’applicazione del principio (sul quale, da ultimo, Cass. n. 1534/2018) secondo cui nel giudizio di cassazione il giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla sentenza impugnata, e che in tal ultima ipotesi la produzione del documento che lo attesta non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c.; tale divieto, per contro, opera per i documenti formatisi già nel corso del giudizio di merito, come appunto nel caso in cui sia invocata l’efficacia di giudicato di una pronuncia anteriore a quella impugnata, e che non sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo (conf. Cass. n. 28247/2013; Cass. SSUU n. 13916/2006). Poichè l’efficacia di tale sentenza poteva essere dedotta già dinanzi al giudice di merito, la produzione della stessa in questa sede è preclusa ai sensi dell’art. 372 c.p.c.. Donde l’inammissibilità del motivo.

X.1. Anche il settimo motivo è inammissibile. Esso si articola in una pluralità di distinte censure, nessuna delle quali può ritenersi meritevole di accoglimento.

X.2.1. In primo luogo nel motivo si argomenta che i crediti azionati nei diversi ricorsi per ingiunzione non costituirebbero parcellizzazione di un unico credito, bensì crediti distinti ed autonomi l’uno dall’altro, ciascuno dei quali derivante da un diverso incarico professionale. L’argomento non ha pregio. Esso muove dal presupposto il frazionamento abusivo del credito sia ravvisabile solo nel caso di una pluralità di domande giudiziali, aventi ciascuna ad oggetto una parte di un unico credito. Tale presupposto, tuttavia non trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 4090 del 2017, hanno infatti affermato che anche le domande aventi ad oggetto diritti di credito diversi e distinti – i quali, tuttavia, siano relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti – non possono essere proposte in separati processi, ove dette domande siano in proiezione inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato, o comunque siano fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale. Nella stessa sentenza si aggiunge che al suddetto principio può drogarsi solo nel caso in cui in capo al creditore vada riconosciuto un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, con l’ulteriore precisazione che, ove il creditore non abbia dedotto la sussistenza di tale interesse, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101 c.p.c., comma 2.

X.2.2. Alla luce del suddetto approdo giurisprudenziale appare allora evidente che la questione dirimente non è se i crediti azionati dal Sig. Q. traggano causa, ciascuno, da un incarico diverso, ma se tali crediti siano relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti e risultino in proiezione inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato. Tale questione costituisce quaestio facti ed è stata risolta affermativamente dal Tribunale partenopeo, il quale – con giudizio di fatto non censurabile in cassazione se non attraverso il mezzo, e nei limiti, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – ha accertato l’esistenza di un rapporto negoziale complesso tra la Compagnia di assicurazioni e il ricorrente, avente ad oggetto l’esecuzione di una moltitudine di incarichi per la liquidazione dei sinistri, tutti assoggettati a modalità di svolgimento e condizioni contrattuali costanti e invariate nel tempo, senza che sia stata dimostrata alcuna specifica contrattazione in relazione all’affidamento dei singoli incarichi o alla determinazione dei relativi compensi.

X.2.3. Alla stregua dei suddetti accertamenti di fatto, la statuizione, cui il Tribunale è pervenuto, di improponibilità della domanda, risulta perfettamente allineata ai principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 4090 del 2017, di recente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 4315 del 2020. Donde l’infondatezza della censura che a tale riguardo vengono sviluppate nel mezzo di impugnazione in esame.

X.3.1. In secondo luogo il ricorrente deduce che egli era comunque portatore di un interesse alla tutela processuale frazionata, sottolineando come tale interesse derivasse, per un verso, dalla necessità di non essere costretto ad interrompere, di volta in volta, i termini prescrizionali e, per altro verso, dalle difficoltà finanziarie conseguite alla cessazione della collaborazione con la Compagnia di assicurazioni; difficoltà di cui sarebbe derivata la necessità di procedere al recupero delle somme di denaro a lui spettanti in tempi assai più celeri di quelli, presumibilmente assai lunghi, di un processo, dall’istruttoria, presumibilmente assai complessa, avente ad oggetto l’accertamento di molte centinaia di crediti.

X.3.2. Le suddette argomentazioni non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità. In primo luogo esse risultano tutt’affatto carenti di specificità; l’interesse del ricorrente alla tutela frazionata viene infatti prospettato nel ricorso per cassazione senza alcuna indicazione, necessaria agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in ordine alla sede ed alle modalità in cui tale sarebbe stato dedotto nel giudizio di merito.

In secondo luogo le suddette argomentazioni attingono il giudizio di fatto del giudice di merito – non censurabile nel giudizio di cassazione se non con il mezzo, e nei limiti, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – in ordine alla sussistenza degli estremi dell’abusivo frazionamento del credito ed all’assenza di ragioni che impedissero la trattazione unitaria delle varie domande separatamente proposte.

X.4. Sotto altro profilo il ricorrente lamenta che il tribunale abbia negato l’interesse del ricorrente alla tutela processuale frazionata senza che vi fosse la corrispondente deduzione da parte della Compagnia di assicurazioni, senza indicare la relativa questione ai sensi dell’art. 183 c.p.c. e senza assegnare il termine per le memorie previsto dall’art. 101 c.p.c., comma 2.

La doglianza non ha pregio, essendo al riguardo sufficiente rilevare che, nella specie, la questione dell’abusivo frazionamento del credito era stata introdotta nel tema di lite da una specifica deduzione della Compagnia di assicurazioni e che tale questione involgeva in re ipsa, senza necessità di specifiche sottolineature, il tema dell’accertamento della sussistenza di uno specifico interesse del ricorrente alla introduzione di giudizi separati per i crediti sorti dalle prestazioni de quibus. Ciò esclude che si trattasse di una questione rilevata d’ufficio e, conseguentemente, esclude la pertinenza del richiamo del ricorrente al disposto dell’art. 101 c.p.c., comma 2.

X.S. Sotto ulteriore profilo il ricorrente argomenta che l’abusività delle scelte processuali da lui compiute risulterebbe esclusa dalla considerazione che egli stesso aveva sollecitato il Coordinatore dell’Ufficio del Giudice di Pace di Napoli a disporre la relativa assegnazione tra i magistrati onorari dell’Ufficio con modalità che ne favorissero la riunione. L’argomento è palesemente infondato, in quanto esso attiene alle modalità ordinatorie della gestione dei procedimenti – che rientrano nelle valutazioni discrezionali dell’Ufficio – e non alla scelta del ricorrente di introdurre un giudizio per ciascuna delle prestazioni de quibus.

X.6. Infine il ricorrente argomenta che, in ogni caso, la sanzione per la abusiva parcellizzazione giudiziale del credito non potrebbe consistere nella improponibilità delle domande giudiziali frazionate, dovendo semmai individuarsi il rimedio agli effetti distorsivi di tale parcellizzazione nel fenomeno della fittizia proliferazione delle cause autonomamente introdotte.

Anche tale censura va disattesa, giacchè l’indirizzo giurisprudenziale invocato dal ricorrente si riferisce prevalentemente all’ipotesi di frazionamento soggettivo del credito, ravvisabile ove più soggetti promuovano contemporaneamente distinte cause di identico contenuto nei confronti dello stesso soggetto, con identico patrocinio legale (Cass. 10634/2010, Cass. 10488/2011Cass. n. 9488/2014).

In tema di frazionamento oggettivo, per contro, la sanzione dell’improponibilità è stata recentemente riaffermata dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 4315 del 2020.

XI. Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza in favore della società controricorrente, nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Considerata la palese inammissibilità e la manifesta infondatezza dei motivi, il Collegio ritiene che la condotta processuale del ricorrente (che anche dopo la pronuncia a sè sfavorevole delle Sezioni Unite ha continuato a coltivare il ricorso senza confrontarsi con le argomentazioni delle stesse Sezioni Unite) sia connotata da colpa grave, tale da integrare un abuso del processo (secondo la nozione enucleata da Cass. SSUU n. 22405/2018; v. anche Cass. n. 29462/2018; Cass. n. 10327/2018; Cass. n. 19285/2016) per il quale va comminata la sanzione prevista dall’art. 96 c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis, mediante la condanna del Sig. Q. al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controricorrente (in misura parametrata in maniera di poco superiore all’importo delle spese di lite liquidate in favore della controparte).

XII. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. L’effettiva debenza di tale importo, va precisato, è condizionata alla eventuale decisione (che, alla stregua dei principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 4315/2020, compete al Tribunale di Napoli) di revoca dell’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato disposta in via provvisoria dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge; condanna Q.B., ai sensi dell’art. 96 c.p.c., u.c., al pagamento in favore di UnipolSai Assicurazioni S.p.A. della ulteriore somma di Euro 1.000,00;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

 

 

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