Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23111 del 11/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/11/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 11/11/2016), n.23111

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5080-2014 proposto da:

ORLANDI ALBERTO SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore e Liquidatore, elettivamente domiciliata

in ROMA, PIAZZA DI PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato DANIELA

JOUVENNAL LONG, che la rappresenta e difende, giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE; PROCURATORE GENERALE

REPUBBLICA TRIBUNALE BRESCIA; PUBBLICO MINISTERO PROCURA REPUBBLICA

MANTOVA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 83/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA

dell’08/01 /2014, depositata il 16/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che è stato depositata la seguente relazione in ordine al procedimento civile iscritto al R.G. 5080/2014:

“La s.r.l. in liquidazione O.A. è stata dichiarata fallimento dal Tribunale di Mantova. Proposto reclamo L. Fall., ex art. 18, la Corte d’Appello lo ha respinto sulla base delle seguenti argomentazioni:

il Tribunale ha ritenuto che ricorresse la legittimazione del PM a richiedere il fallimento ex art. 17 anche se l’iniziativa aveva tratto origine dalla segnalazione alla Procura effettuata dal Tribunale fallimentare e nel merito che ricorresse l’insolvenza.

Nel reclamo la società ha in primo luogo contestato l’iter seguito nella gestione del procedimento prefallimentare (chiusosi con la desistenza del creditore) dal Tribunale ed in particolare l’attività ispettiva compiuta ai danni del fallendo. La Corte ha escluso la ricorrenza del vizio denunciato in quanto la L. Fall., art. 15, comma 4 prevede espressamente la facoltà per il Tribunale di richiedere informazioni urgenti fin dal momento dell’emissione del decreto di comparizione. Peraltro le informazioni assunte non sono state di supporto solo al P.M. ai fini della successiva istanza ma a tutte le parti. La trasmissione della notitia decoctionis al P.M. non è un atto decisorio e di conseguenza non incide sui diritti di alcuno. Il P.M. infine è libero di presentare l’istanza di fallimento. Infine il procedimento prefallimentare è a tutti gli effetti un procedimento civile.

In ordine alla terzietà del tribunale che ha dichiarato il fallimento osserva la Corte che l’organo giudicante non era vincolato all’accoglimento dell’istanza così come non era vincolato alla proposizione il pubblico ministero. Il contraddittorio è stato rispettato in quanto la pronuncia è conseguita alla notificazione dell’istanza e del decreto di comparizione. Non ricorre nella specie alcun obbligo di astensione perchè l’attività di trasmissione degli atti al P.M. non è decisoria.

L’insolvenza è stata ritenuta sussistente in quanto il verbale di assemblea da cui emerge l’intenzione del socio unico d’immettere nuova liquidità in conto futuro aumento capitale rappresenta una mera disponibilità. Dalla nota della Guardia di Finanza è emerso che la società era inattiva dal 2006, che non possedeva beni, e che i debiti ammontavano ad oltre 900 mila Euro a fronte di crediti nettamente inferiore e in parte di difficile recupero.

La società versava in una condizione di oggettiva impotenza funzionale di tipo non transitorio.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la società fallita affidato a due motivi.

Nel primo viene dedotta la violazione della L. Fall., artt. 6, 7, e 15 nonchè dell’art. 111 Cost. per non avere la Corte d’Appello ritenuto illegittima la segnalazione effettuata dal Tribunale al P.M. trattandosi della medesima composizione collegiale che ha dichiarato il fallimento. Ne risulta un grave vulnus alla terzietà del giudice e una lesione dei principi del giusto processo ex art. 111 Cost. anche sotto il profilo del diritto alla partecipazione alla formazione della prova nella specie costruita interamente nella fase pre fallimentare del procedimento che ha condotto alla desistenza.

La censura è manifestamente infondata. E’ sufficiente richiamare il fermo orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine alla legittimazione del p.m. e alla legittimità della segnalazione del tribunale fallimentare:

“il P.M. può esercitare l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento anche quando la “notitia decoctionis” gli sia segnalata dal tribunale fallimentare, che abbia rilevato l’insolvenza nel corso del procedimento L. Fall., ex art. 15, poi definito per desistenza del creditore istante, in quanto anche a questo “giudice” e a questo “procedimento civile” si riferisce L. Fall., art. 7, n. 2, modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, quando dispone che l’insolvenza deve essere segnalata al P.M. “dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile”. Tale interpretazione, conforme ai lavori preparatori della riforma del 2006, non contrasta con i principi di terzietà e imparzialità del giudice, sanciti dall’art. 111 Cost., in quanto la segnalazione è un atto “neutro”, privo di contenuto decisorio e assunto con valutazione “prima facie”, potendo sempre il tribunale, all’esito dell’istruttoria prefallimentare e a cognizione piena, respingere la richiesta del P.M., originata da detta segnalazione”. (Cass. 9857 del 2012).

La neutralità della segnalazione compiuta dal Tribunale fallimentare e l’assenza di decisorietà di questa attività portano ad escludere qualsiasi vulnus al principio d’imparzialità e terzietà del giudice che ha deciso pur se composto delle stesse persone che hanno composto l’organo che ha segnalato.

Gli esiti delle informazioni assunte officiosamente dal Tribunale sono state assoggettate al vaglio del contraddittorio regolarmente costituito in sede di decisione sul fallimento.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione della L. Fall., art. 5 ritenendosi insussistente l’insolvenza, non avendo la Corte d’Appello valutato esattamente l’attivo presente nel bilancio 2013 e il patrimonio netto positivo.

La censura è inammissibile sia perchè le circostanze addotte non sono verificabili ma meramente indicate sia perchè ancorchè sotto la veste formale della violazione di legge si tende a richiedere alla Corte di Cassazione un inammissibile riesame dei fatti, esaminati con completezza anche in ordine alle probabilità di recupero dei crediti nel provvedimento impugnato.

In conclusione, ove si condividano i predetti rilievi il ricorso deve essere respinto”.

Il collegio condivide senza rilievi la relazione, rigetta il ricorso e non dà luogo alla statuizione delle spese in mancanza della costituzione della parte resistente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2016

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