Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23109 del 07/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 07/11/2011, (ud. 12/10/2011, dep. 07/11/2011), n.23109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20531/2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore in

carica, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.G. (OMISSIS), già titolare della ditta

individuale “La Spiga di Patti Giuseppe” elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SALARIA 400, presso lo studio dell’avvocato PASSALACQUA

GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato BOTTARI Nicola giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di PALERMO, SEZIONE DISTACCATA di MESSINA del 16/01/08, depositata il

20/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO COSENTINO;

è presente il P.G. in persona del Dott. RAFFAELE CENICCOLA.

La Corte:

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:

“L’Agenzia delle Entrate ricorre contro il Sig. P.G., titolare di un’impresa di produzione di ceramiche, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, riformando la sentenza di primo grado, ha annullato l’accertamento (a fini IRPEF, addizionali IRPEF, IRAP e IVA) di un maggior volume di affari di circa L. 500 milioni rispetto al dichiarato per l’anno 1998.

La Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto che il procedimento seguito dagli accertatori per la ricostruzione del volume di affari del contribuente (determinazione della quantità di ceramiche prodotte in base al numero medio di pezzi prodotti per infornata, al consumo medio di gasolio per infornata ed alla quantità di gasolio consumata nell’anno) fosse puramente presuntivo ed opinabile, e disancorato da presunzioni gravi precise e concordanti, in quanto il dato di partenza dell’Ufficio (la quantità di gasolio consumata nell’anno, ricostruita sottraendo le giacenze finali dalla somma delle giacenze iniziali e delle quantità rilevate dalle fatture di acquisto) divergeva (senza che al riguardo l’Amministrazione fornisse spiegazioni) dal consumo di gasolio accertato dall’UTIF di Messina.

Preliminarmente si rileva che la presente lite fiscale non può essere definita secondo la procedura agevolata di cui al D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, convertito con la L. n. 111 del 2011, essendo la stessa, in considerazione dell’ammontare degli imponibili accertati con l’atto impositivo impugnato, di valore superiore a Euro 20.000.

Il ricorso si articola in due motivi.

Col primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nonchè al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32 e art. 118 disp. att. c.p.c.) la ricorrente denuncia il vizio di omessa motivazione della sentenza gravata, lamentando che la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe tenuto conto de fatto che i dati posti a base del calcolo del consumo di gasolio operato dagli accertatori, per un verso, erano stati tratti da documenti fiscalmente fidefacienti (fatture e scritture contabili) e, per altro verso, erano stati acquisti nel contraddittorio del contribuente e senza obiezioni da parte del medesimo, come risultante dai verbali delle operazioni del 26 e 27 ottobre 1999.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. E’ inammissibile nella parte relativa alla mancata valutazione, da parte della Commissione Tributaria Regionale, del fatto che il contribuente non avrebbe mosso contestazioni alla estrazione dei dati contabili operata dalla Guardia di Finanza; tale profilo di censura è infatti privo di autosufficienza, poichè si fonda sul contenuto di verbali che nel ricorso non sono stati nè trascritti, nè sunteggiati in termini idonei a fornire alla Corte contezza del loro contenuto. E’ infondato nella parte relativa alla mancata valutazione, da parte della Commissione Tributaria Regionale, della circostanza che i dati utilizzati dagli accertatori per calcolare il consumo di gasolio erano stati traiti da fatture e scritture contabili, giacchè dalla lettura della sentenza gravata si rileva la Commissione ha valutato tale circostanza, ma ha ritenuto che la misura del consumo di gasolio calcolata sulla scorta di tali dati fosse meno attendibile di quella, divergente, calcolata dall’UTIF di Messina con l’uso di particolari misuratori fissati ai serbatoi di stoccaggio. La doglianza della difesa erariale finisce dunque per risolversi in una inammissibile richiesta alla Corte di cassazione di sostituirsi al giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie.

Col secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, per aver ritenuto che il fatto noto del consumo di carburante non fosse idoneo a sorreggere la ricostruzione presuntiva del fatto ignoto del volume di affari dell’impresa sottoposta a verifica fiscale. Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata, la quale non ha poggiato la propria decisione su una interpretazione delle norme richiamate nel motivo di ricorso diversa da quella ritenuta corretta dalla ricorrente, bensì sull’accertamento in fatto, incensurabile con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, della inattendibilità della stima di consumo di carburante posta dall’Ufficio a base dell’accertamento.

In conclusione, si ritiene che il procedimento possa essere definito in Camera di consiglio, con la declaratoria di manifesta infondatezza del ricorso”;

che la relazione è stata comunicata al P.M. e notificata alle parti;

che il resistente sig. P. si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide le argomentazioni esposte nella relazione;

che non sono state depositate memorie ex art. 380 bis, comma 2;

che pertanto il ricorso va rigettato, con condanna della ricorrente alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al contro, ricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 5.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2011

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