Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23103 del 03/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/10/2017, (ud. 12/06/2017, dep.03/10/2017),  n. 23103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9057/2015 proposto da:

V.M., L.T., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA ADDA 99, presso lo studio dell’avvocato DE CICCIO BRUNO,

rappresentati e difesi dall’avvocato UGO DELLA MONICA;

– ricorrenti –

contro

SAN PAOLO BANCO DI NAPOLI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 140/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 16/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12/06/2017 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

L’8 novembre 1980 V.M. ha concluso con il Banco di Napoli (poi San Paolo Banco di Napoli s.p.a.) un contratto di conto corrente bancario con concessione a tempo indeterminato di una linea di credito aumentata nel corso del rapporto (attraverso successivi contratti modificativi) sino ad arrivare a Euro 129.114,22 per scoperto di conto e Euro 154.937,06 per sconto effetti cambiari.

Convenuto in giudizio il Banco di Napoli, V.M. domandava al Tribunale: di dichiarare la nullità della clausola del contratto che fissava la misura degli interessi passivi in maniera indeterminata, in quanto facente riferimento sia al tasso del 24% + 1/8% sia all’art. 57 delle Norme bancarie uniformi (che prevede a sua volta il rinvio alle condizioni usualmente praticate su piazza); di dichiarare non dovute le poste debitorie che risultavano fissate al di fuori di un patto espresso. Il Banco di Napoli spiegava domanda riconvenzionale tesa ad ottenere la condanna degli attori al pagamento del saldo negativo del conto corrente bancario.

Il Tribunale rigettava la domanda attorea e al contempo accoglieva la domanda riconvenzionale, dichiarando comunque nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, trattandosi di nullità rilevabile d’ufficio. Avverso la decisione di primo grado V. proponeva appello. Con sentenza del 30 dicembre 2014 il gravame veniva interamente rigettato dalla Corte d’appello di Salerno e per l’effetto confermata la sentenza del giudice di prime cure.

A sostegno della decisione la Corte territoriale ha rilevato che il richiamo all’art. 57 delle Norme bancarie uniformi non vale a rendere indeterminato il contenuto della pattuizione degli interessi, che sono fissati nella misura del 24% + 1/8%. Peraltro, l’art. 57 rinvia alle condizioni praticate su piazza “salvo patto contrario” e, nel caso di specie, il “patto contrario” è proprio rappresentato dalla previsione di suddetta misura degli interessi. A nulla rileva il fatto che tale clausola non sia contenuta nel contratto del 1984, perchè esso è un mero accordo modificativo del contratto originario concluso nel 1980. Quanto alla doglianza relativa alle poste debitorie, ritiene la Corte d’appello che il Tribunale abbia correttamente rigettato la domanda in quanto generica.

Secondo la pronuncia di secondo grado, infine, la banca ha adeguatamente provato l’entità del proprio credito, avendo prodotto in giudizio gli estratti conto e avendo il consulente tecnico d’ufficio ricostruito in maniera completa il rapporto intercorso tra le parti.

Avverso questa sentenza V.M. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, accompagnati da memoria.

Non svolge difese l’intimato San Paolo Banco di Napoli.

Con il primo motivo viene denunciata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 6 (T.U.B.) e art. 1283 c.c. e art. 1284 c.c., comma 3. Il contratto di conto corrente sottoscritto nel 1980 contiene una specifica determinazione del tasso di interesse praticato (24% + 1/8%), ma siffatta specificità viene meno a causa del contemporaneo richiamo all’art. 57 delle Norme bancarie uniformi, e dunque dal rinvio agli usi praticati sulla piazza. Pertanto tale clausola è nulla ai sensi dell’art. 1284 c.c., comma 3, in quanto priva di un contenuto univoco e determinato, nonchè ai sensi dell’art. 117, comma 6, T.U.B., che commina la nullità delle clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione del tasso di interesse. Parimenti nulla è la capitalizzazione trimestrale degli interessi per contrasto con l’art. 1283 c.c. e pertanto il conteggio degli interessi passivi avrebbe dovuto essere effettuato senza capitalizzazione alcuna, nemmeno annuale.

Con il secondo motivo viene denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2710 c.c., art. 1832 c.c. e art. 1284 c.c. Il ricorrente si duole del fatto che nel giudizio di merito sia stata accolta la domanda riconvenzionale del Banco di Napoli tesa ad ottenere la condanna di V.M. al pagamento del saldo negativo del conto corrente bancario e dei relativi interessi. La Corte d’Appello ha erroneamente riconosciuto efficacia probatoria ex art. 2710 c.c., agli estratti conto prodotti dalla banca stessa, e ciò è contrario alla giurisprudenza di legittimità secondo cui, una volta esclusa la validità della clausola di determinazione degli interessi, la banca non può dimostrare l’entità del proprio credito mediante la produzione di estratto notarile delle sue scritture contabili. Non ha rilievo la tacita approvazione degli estratti conto ex art. 1832, perchè ciò non preclude la possibilità di impugnare la validità e l’efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano gli accrediti e gli addebiti. Inoltre, la CTU costituisce soltanto un mezzo di ausilio del giudice, ma non può fungere da mezzo di soccorso volto a sopperire l’inerzia delle parti.

Con il terzo e ultimo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1346 c.c.. Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello – confermando la pronuncia di primo grado – ha erroneamente rigettato, in quanto generica, la domanda tesa a far dichiarare non dovute le poste debitorie fissate al di fuori di un patto espresso.

Il ricorso è improcedibile.

La notifica del ricorso è stata effettuata dall’avvocato a mezzo del servizio postale ex L. n. 53 del 1994 e la ricevuta di ritorno attesta che la raccomandata, spedita in data 19/03/2015, è stata ricevuta dal destinatario il giorno 24/03/2015, che è il dies a quo da considerare ai fini della decorrenza del termine perentorio di venti giorni stabilito dall’art. 369 c.p.c., comma 1, per il deposito del ricorso per cassazione (Cass. 11201/2003, 8642/2004, 10837/2007). Tuttavia, contrariamente a quanto il ricorrente sostiene, il deposito non è avvenuto in data 10/04/2015, bensì in data 14/04/2015, mentre l’ultimo termine utile – come rilevato anche dal ricorrente medesimo a pag. 2 della memoria – spirava, pena l’improcedibilità, il 13/04/2015 (non festivo).

Come ritenuto pacificamente in giurisprudenza, la violazione del termine di cui si tratta è rilevabile d’ufficio e non è sanabile nemmeno in ragione della circostanza che la parte intimata (che in questo caso, comunque, non si è costituita) non abbia sollevato eccezione di improcedibilità nel proprio controricorso (Cass. 1635/2006, 22914/2013).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in considerazione della mancata attività difensiva della parte intimata.

PQM

 

La Corte dichiara il ricorso improcedibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2017

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