Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23101 del 17/09/2019

Cassazione civile sez. un., 17/09/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 17/09/2019), n.23101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sezione –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28018/2017 R.G. proposto da:

R.G. S.N.C., in persona del legale rappresentante p.t.

R.G., rappresentata e difesa dagli Avv. Carlo Colapinto e

Filippo Colapinto, con domicilio eletto in Roma, via Panama, n. 74;

– ricorrente –

contro

M.A., M.A.M., C.F.,

C.E., C.A., B.A.G.,

B.R.G. e B.R.P., nonchè CA.FR.,

CA.CL. e CA.RI., in qualità di eredi di

C.S.P.R., rappresentati e difesi dagli Avv. Prof. Vincenzo Caputi

Iambrenghi e Francesco Caputi Iambrenghi, con domicilio eletto in

Roma, via V. Picardi, n. 4/b;

– controricorrenti –

e

COMUNE DI BARI, REGIONE PUGLIA e A.DI.SU. – AGENZIA PER IL DIRITTO

ALLO STUDIO;

– intimati –

avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 1812/17 depositata il

18 aprile 2017;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 maggio 2019

dal Consigliere Guido Mercolino;

udito l’Avv. Vincenzo Caputi Iambrenghi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso chiedendo la

dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 18 aprile 2017, il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto dalla R.G. S.n.c. avverso la sentenza emessa il 2 ottobre 2014, n. 4933/14, con cui erano state annullate le concessioni edilizie n. 255 del 18 novembre 1991 e n. 88 del 29 gennaio 1993, nonchè, limitatamente alla tipizzazione delle particelle 793 e 794, la delibera regionale di approvazione della variante al piano regolatore generale del Comune di Bari.

A fondamento della decisione, il Giudice amministrativo ha escluso che, nell’attribuire alla particella (OMISSIS) la destinazione ad “area di viabilità di PRG” e poi quella di “area a verde pubblico” (anzichè ad area per attrezzature universitarie dal 1976, a viabilità di PRG dal 1981 al 1988 e ad area per attrezzature universitarie dal 1988 in poi), la sentenza impugnata fosse incorsa in errore di fatto revocatorio, osservando che la questione concernente la qualificazione giuridica della destinazione della predetta particella aveva costituito un punto controverso sul quale la sentenza aveva espressamente statuito: ha infatti rilevato che proprio in virtù della qualificazione della particella (OMISSIS) come area destinata a verde pubblico, era stato escluso che fosse stata raggiunta l’estensione minima di 20.000 mq. necessaria per il rilascio della concessione edilizia. Ha aggiunto che l’errore dedotto non atteneva ad un fatto, ma alla sua qualificazione giuridica, ed integrava pertanto, in ipotesi, un errore di giudizio, inidoneo a legittimare la proposizione dell’istanza di revocazione.

2. Avverso la predetta sentenza la R.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Hanno resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria, M.A. ed A.M., C.F., E. ed A., B.A.G., R.G. e R.P., nonchè Ca.Fr., Cl. e Ri., in qualità di eredi di C.S.P.R.. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia l’eccesso di potere giurisdizionale, la contraddittorietà della sentenza impugnata ed il travisamento dei fatti, nonchè la violazione degli artt. 24,103,111 e 117 Cost., degli artt. 6 e 13 della CEDU e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, sostenendo che con la sentenza n. 4933/14, confermata dalla sentenza impugnata, il Consiglio di Stato, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, ha sostituito la propria volontà a quella dell’Amministrazione, in tal modo esercitando una giurisdizione di merito, in una situazione in cui era prevista esclusivamente una giurisdizione di legittimità. Esso ha infatti mutato la destinazione urbanistica della particella (OMISSIS), attribuendogliene una diversa da quella risultante dal certificato prodotto in giudizio, e sconfinando quindi nell’area riservata al potere discrezionale dell’Amministrazione: in tal modo, il Giudice amministrativo è incorso in un diniego di giustizia, avendo omesso di pronunciare in ordine alle questioni proposte da essa ricorrente, strettamente collegate alla destinazione dell’area a “viabilità di PRG”.

Ad avviso della ricorrente, il Consiglio di Stato, omettendo di pronunciarsi in ordine al vizio dedotto con il ricorso per revocazione, è incorso in un radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da determinare un sostanziale diniego di giustizia. Premesso che nessuna delle parti aveva sollevato la questione della destinazione urbanistica della particella (OMISSIS), che non aveva mai costituito un punto controverso, ribadisce che alla data della delibera della Giunta regionale n. 1475 dell’8 luglio 1976, con cui era stata approvata la variante al PRG del Comune di Bari, l’area era destinata ad attrezzature universitarie; con delibera n. 4974 del 29 giugno 1981, l’area a margine della via (OMISSIS) era stata destinata a viabilità di PRG, ma in sede di approvazione della variante la delibera n. 2750 del 27 maggio 1997 aveva dato espressamente atto che il progetto esecutivo dei lavori non era stato più eseguito; essendo venute meno le esigenze che avevano giustificato l’approvazione della variante, l’area avrebbe dovuto essere considerata destinata ad attrezzature universitarie, come originariamente previsto dalla delibera n. 4234 del 25 novembre 1988: tale destinazione era stata d’altronde confermata dalle delibere n. 252 del 21 dicembre 1994 e 144 dell’8 agosto 1995, con cui, ai sensi della L. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1, comma 5, e della L.R. 16 maggio 1985, n. 27, art. 38, il Consiglio comunale aveva riapprovato il progetto del primo lotto dei lavori di costruzione dell’Asse Nord-Sud, in variante agli strumenti urbanistici.

Secondo la ricorrente, il lamentato diniego di giustizia si è tradotto in violazione del principio del giusto processo e del diritto ad un processo equo e ad un ricorso effettivo: l’impugnabilità delle decisioni del Giudice amministrativo per soli motivi inerenti alla giurisdizione comporta infatti una disomogeneità rispetto a quelle del Giudice ordinario, non giustificata dall’autonomia procedurale di cui godono gli Stati, in quanto contraria ai principi di equivalenza ed effettività della tutela giurisdizionale, i quali esigono che i rimedi apprestati per la violazione del diritto comunitario non siano meno favorevoli rispetto a quelli previsti per la violazione del diritto interno e non rendano eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti previsti dalle norme comunitarie. Ai fini della configurabilità dell’eccesso di potere giurisdizionale per diniego di giustizia, non è d’altronde necessario che la decisione del Giudice amministrativo si ponga in contrasto con una pronuncia della Corte di Giustizia UE, risultando sufficiente che la sentenza produca effetti contrastanti con le norme sovranazionali cui lo Stato è tenuto a dare attuazione. Per tale motivo, la ricorrente chiede la rimessione degli atti alla Corte di Giustizia, affermando che la sentenza impugnata si è tradotta in un’interpretazione delle norme Europee contrastante con quella fornita dalla giurisprudenza comunitaria, che comporta una preclusione dell’accesso alla tutela giurisdizionale.

1.1. Il motivo è inammissibile.

La ricorrente censura infatti la sentenza impugnata sotto tre diversi profili, consistenti rispettivamente nello sconfinamento nel merito amministrativo, derivante dal mutamento della destinazione urbanistica della particella considerata, nel radicale stravolgimento delle norme di rito, determinato dall’omessa pronuncia sulle questioni sollevate in sede di revocazione, e nel diniego di giustizia, dipendente dall’impugnabilità della decisione per soli motivi inerenti alla giurisdizione. In quanto concernenti l’accertamento dei fatti risultante dalla decisione impugnata per revocazione e le conseguenze della dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione, tali censure non investono l’osservanza, da parte del Consiglio di Stato, dell’ambito dei poteri ad esso spettanti in sede di verifica dei presupposti che legittimano la proposizione dell’istanza di revocazione, e segnatamente della sussistenza dello errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti di causa, il cui riscontro, costituendo l’unico oggetto della pronuncia d’inammissibilità, rappresenta anche la sola possibile occasione di superamento, da parte del Giudice amministrativo, dei limiti esterni della propria giurisdizione.

L’estraneità a quest’ultimo profilo esclude la possibilità di dare ingresso alle censure proposte, conformemente al costante orientamento di questa Corte, secondo cui in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza del Consiglio di Stato che ha pronunciato sull’impugnazione per revocazione, può insorgere questione di giurisdizione soltanto con riguardo al potere giurisdizionale esercitato mediante la statuizione adottata sulla revocazione stessa (cfr. Cass., Sez. Un., 27/01/2016, n. 1520; 23/07/2014 n. 16754; 30/07/2008, n. 20600; 24/11/1986, n. 6891; 19/02/1982, n. 1049). Tale principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, trova applicazione, in particolare, allorchè, come nella specie, vi sia stata la valutazione delle condizioni di ammissibilità dell’istanza di revocazione da parte del Consiglio di Stato, dovendo in tal caso escludersi in linea di principio l’ammissibilità del ricorso per cassazione, giacchè con esso non potrebbe venire in discussione la sussistenza o meno del potere giurisdizionale di operare detta valutazione, e dunque una violazione di quei limiti esterni alla giurisdizione del Giudice amministrativo rispetto alla quale soltanto è ammesso il ricorso in sede di legittimità (cfr. Cass., Sez. Un., 8/04/2008, n. 9150).

2. Il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019

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