Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23099 del 17/09/2019

Cassazione civile sez. un., 17/09/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 17/09/2019), n.23099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sez. –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 36579/2018 proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA PROCURA GENERALE

DELLA CORTE DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

F.V., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE BIONDI;

– resistente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO;

– ricorrente successivo –

nei confronti di:

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE,

F.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 165/2018 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 24/10/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2019 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

uditi gli avvocati Verdiana Fedeli per l’Avvocatura Generale dello

Stato e Giuseppe Biondi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 165/2018, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura definiva due procedimenti disciplinari riuniti instaurati su iniziativa del Ministro della Giustizia nei confronti del Dott. F.V. per le violazioni ai doveri inerenti alle funzioni da lui svolte quale sostituto procuratore della Repubblica di Firenze. In particolare, al Dott. F. erano stati contestati gli illeciti disciplinari di cui: a) al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. c), per la violazione dell’obbligo di astensione per gravi ragioni di convenienza, a norma dell’art. 52 c.p.p., dalla trattazione di un procedimento penale (n. 10669/15) per maltrattamenti e lesioni personali in danno della parte offesa, moglie dell’imputato, dopo avere con quest’ultima instaurato, nella propria vita privata, una relazione di frequentazione, nonchè dalla trattazione di altro procedimento penale nei confronti della medesima per reati in danno del marito (n. 6406/16); b) al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. d), per avere tenuto un comportamento gravemente scorretto sia nei confronti del capo dell’ufficio – fornendo false informazioni in risposta ad una richiesta scritta di relazione in ordine al contenuto della denuncia presentata dal difensore dell’imputato alla udienza preliminare nell’ambito del procedimento penale per maltrattamenti e lesioni-, sia nei confronti dell’imputato formulando a suo carico, nella medesima relazione scritta, false accuse di calunnia.

La Sezione disciplinare ha ritenuto il Dott. F. responsabile del primo illecito e lo ha condannato alla perdita dell’anzianità di mesi due, mentre lo ha assolto dalla seconda incolpazione ritenendo, in sintesi, insufficiente la prova dell’elemento soggettivo dell’illecito.

Avverso il capo assolutorio della sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, ed il Ministro della Giustizia ha proposto ricorso successivo sul medesimo capo della sentenza. Il Dott. F. resiste con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Entrambe le impugnazioni proposte hanno ad oggetto l’accertamento della insussistenza della responsabilità disciplinare del Dott. F. in relazione alla condotta consistita (cfr. capo di incolpazione) nell’avere, nella relazione richiestagli dal Procuratore della Repubblica: a) riferito falsamente che l’unica determinazione da lui adottata, nell’ambito del procedimento penale n. 10669/15, dopo l’inizio della “concreta frequentazione” con la parte offesa era stata la presentazione nell’agosto 2016 della richiesta di rinvio a giudizio, mentre si accertava che già nei mesi precedenti (a partire dal 20 marzo) il Dott. F. e la signora avevano stabilito contatti quotidiani assidui, in costanza dei quali il magistrato aveva assunto determinazioni tra le quali rileva la richiesta al G.I.P., in data 22 giugno 2016, di applicazione all’imputato della misura cautelare degli arresti domiciliari; b) formulato false accuse di calunnia nei confronti dell’imputato tacciandolo di aver voluto “condizionare il giudizio a suo carico presentando un esposto calunnioso e diffamante nei miei confronti…”, mentre si accertava che le accuse rivolte nell’esposto di aver stabilito, già dal maggio 2016, una relazione personale con la signora erano fondate.

1.1. La sentenza della Sezione disciplinare, rilevato come in entrambe le contestazioni il mendacio del magistrato riguarderebbe H momento di inizio di una relazione personale tra i due (che l’incolpato collocava, in termini di “concreta frequentazione”, nel mese di luglio 2016 anzichè a partire quantomeno dal 26 maggio 2016), ha ritenuto non sufficientemente dimostrato l’elemento soggettivo dell’illecito, osservando: a)che non integra sotto alcun profilo grave scorrettezza esporre al Capo dell’ufficio in modo corretto ed inappuntabile le argomentazioni a propria difesa che il Dott. F. ha sostenuto sin dall’inizio nei medesimi sensi, prospettanti una chiave di lettura diversa degli eventi occorsi e della evoluzione graduale che tali eventi hanno avuto, una personale interpretazione che, pur se non condivisibile per le ragioni esposte in sentenza con riguardo alla violazione del dovere di astensione, appare plausibile, soprattutto se orientata – come in questo caso – non già ad una obiettiva e distaccata ricostruzione della verità storica, ma alla propria difesa processuale; b)che analoghe considerazioni valgono per escludere la calunnia in danno dell’imputato, principalmente perchè il Dott. F. si è limitato a contrapporre all’esposto presentato nei suoi confronti la propria versione difensiva.

2. Il ricorso del Procuratore Generale denuncia, in primo luogo, la mancanza e/o manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) con riferimento al mendacio in ordine all’instaurarsi di un rapporto coinvolgente con la signora, ed all’accusa di calunnia e diffamazione nei confronti dell’imputato, coniuge della medesima. Lamenta al riguardo che la quasi inconsistente graficamente nonchè apodittica motivazione, basata sulla plausibilità della tesi difensiva del Dott. F., si paleserebbe in contraddizione con quanto affermato nella prima parte della stessa sentenza e con le stesse emergenze istruttorie ivi evidenziate (tutte deponenti per l’instaurarsi, sin da fine marzo-aprile 2016, di rapporti anomali tra il P.M. investito del procedimento a carico del marito della signora e quest’ultima), avendo la Sezione disciplinare accertato la consapevolezza nel F. di violare il proprio dovere di astensione, per poi invece escluderla con riferimento alla mendace relazione al Capo dell’Ufficio.

2.1. Il ricorso denuncia inoltre la erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e c), lamentando che il giudicante si sarebbe basato esclusivamente sulla valorizzazione di incongrue ed improbabili percezioni-interpretazioni della vicenda da parte del Dott. F. senza considerare l’evidente e strumentale ponderazione da parte del medesimo di ogni espressione utilizzata per stemperare e dissimulare, quale quella di “concreta frequentazione”, solo a partire da un momento successivo. Aggiunge il ricorrente, quanto alla scorrettezza del Dott. F. nei confronti dell’imputato che lo aveva denunciato, che l’esercizio del diritto di difesa non potrebbe condurre a scriminare la condotta di chi non si sia limitato a negare la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli ma sia giunto alla formulazione specifica e circostanziata di false accuse del suo accusatore, pur sapendolo innocente.

2.2. Quest’ultimo profilo figura sviluppato anche dal ricorso successivo del Ministero, nel quale con unico motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d e la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione sul punto relativo alla condotta scorretta nei confronti dell’imputato che il Dott. F. avrebbe espresso nel qualificare calunnioso e diffamatorio l’esposto/denuncia depositato alla udienza preliminare. Lamenta la intrinseca contraddittorietà e sostanziale mancanza della motivazione, rilevando peraltro come la finalità di autodifesa possa giustificare il mentire su circostanze autoaccusatorie, mai però oltre i limiti del divieto di calunnia.

3. Tali doglianze, esaminabili congiuntamente in quanto strettamente connesse, non meritano accoglimento.

4. Costituisce principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui “il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni della Sezione disciplinare del CSM è limitato al controllo della congruità, adeguatezza e logicità della motivazione, restando preclusa la rilettura degli deglii elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perchè è estraneo al sindacato di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali, pur dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006” (cfr.ex multis: Cass. S.U. n. 7691 del 19/03/2019; n. 14430 del 9/06/2017).

Applicando nella specie tale principio, si osserva come le censure espresse in entrambi i ricorsi, inapprezzabili in questa sede là dove si sostanziano nella richiesta inammissibile (tanto più ove formulata sotto la rubrica di denuncia di violazione di legge) di revisione delle valutazioni espresse dal giudice di merito, si mostrano d’altro lato prive di fondamento là dove fondate su una inconsistenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, con riguardo ad entrambe le contestate violazioni del dovere di correttezza.

4.1. In tal senso, con riguardo alla incolpazione avente ad oggetto la scorrettezza che il Dott. F. avrebbe manifestato nei confronti del Capo dell’Ufficio nel rispondere alla richiesta di relazionare per iscritto sui fatti dai quali era derivato l’esposto/denuncia presentato dall’imputato, si rileva come la Sezione disciplinare, pur nella sinteticità della esposizione (agevolata peraltro nella specie dal richiamo – che si vedrà non contraddittorio – alle considerazioni già svolte a sostegno della incolpazione ritenuta fondata), abbia chiaramente e non illogicamente spiegato le molteplici ragioni della distinta valutazione in concreto, cui è pervenuta, della condotta dell’incolpato con riguardo alla mancata astensione rispetto a quella, qui in esame, concernente il dovere di correttezza nei rapporti con il Capo dell’Ufficio. Essa ha, da un lato, ritenuto di considerare le dichiarazioni contenute nella relazione del Dott. F. in un contesto che lo vedeva già oggetto di una denuncia (amplificata, come riferisce la sentenza a pag. 14, dalle notizie di stampa), che del resto ebbe poi concreto seguito nella apertura nei suoi confronti di un procedimento penale dinanzi al competente giudice genovese. Contesto che il giudicante ha ritenuto quindi inevitabilmente destinato a conferire a quelle dichiarazioni la natura di tesi difensiva, peraltro (aggiunge la sentenza) coerentemente mantenuta ferma dal predetto – ivi comprese le sue ammissioni espressamente richiamate a pag. 10 della sentenza – anche nella sede giudiziaria, oltre che in questa sede disciplinare. D’altro lato, ha considerato tale tesi difensiva, focalizzata sul momento di inizio di una “concreta” relazione sentimentale con la signora in uno sviluppo graduale che effettivamente risulta aver avuto (dai frequenti contatti telefonici alla fine di marzo e in aprile agli incontri, anche notturni, a partire dal 26 maggio: cfr. pag. 10 sentenza), pur se non condivisibile tuttavia plausibile, quale personale interpretazione dell’accaduto dalla quale il giudicante ha ritenuto non emerga, in quel contesto, la consapevolezza nel Dott. F. di porre in essere alcuna grave scorrettezza.

Tali complessive valutazioni, in sè evidentemente non censurabili in questa sede di legittimità, non possono neppure considerarsi in contraddizione insanabile rispetto a quanto affermato nella sentenza stessa con riguardo alla ritenuta consapevolezza nel Dott. F. circa la sussistenza del dovere di astensione: una cosa è infatti la sussistenza di tale dovere – che peraltro prescinde, come evidenziato dalla sentenza, dal grado di intensità che ha la relazione del magistrato con una parte del procedimento -, altra cosa la consapevolezza di compiere una grave scorrettezza nei confronti del Procuratore nel formulare, riferendogli l’accaduto in quel contesto, una propria interpretazione, “plausibile anche se non condivisibile”, focalizzata sul momento di inizio di una relazione sentimentale vera e propria.

4.2. Nè miglior sorte possono avere le censure rivolte dai ricorrenti avverso la statuizione assolutoria riguardante la grave scorrettezza nei confronti dell’imputato. E’ vero infatti che l’esercizio del diritto di difesa non potrebbe condurre a scriminare la condotta di chi non si sia limitato a negare la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli ma sia giunto alla formulazione specifica e circostanziata di false accuse del suo accusatore, pur sapendolo innocente. Tuttavia deve rilevarsi come la sentenza impugnata abbia puntualmente affermato – senza che la critica sul punto rivolta nei ricorsi risulti corredata delle specifiche indicazioni che, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), condizionano la configurabilità del vizio di motivazione (cfr. ex multis: Cass. pen., Sez. 3, n. 43322/14; Sez. 2, n. 20677/17; Sez. 1, n. 16706/08) – che il Dott. F., nel redigere la relazione, si era in effetti limitato a contrapporre all’esposto presentato nei suoi confronti la propria linea difensiva, senza formulare specifiche e circostanziate accuse false nei confronti del suo accusatore. Condotta che del resto, ove ritenuta sussistente, avrebbe per l’appunto integrato il reato di calunnia con la conseguente contestazione, nella specie mancante, del distinto illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, lett. d).

5. In conclusione, il rigetto di entrambi i ricorsi si impone.

Quanto al regolamento delle spese del giudizio, questo va escluso nei confronti del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, che non può esserne destinatario (cfr. Cass. S.U. n. 20353 del 31/07/2018), e va disposta – stante la peculiarità della controversia – la compensazione tra il resistente ed il ricorrente Ministro.

P.Q.M.

rigetta entrambi i ricorsi, compensando le spese tra il resistente ed il Ministro ricorrente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019

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