Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23097 del 11/11/2016
Cassazione civile sez. lav., 11/11/2016, (ud. 06/07/2016, dep. 11/11/2016), n.23097
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14810-2010 proposto da:
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),
in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
CLEMENTINA PULLI, ALESSANDRO RICCIO e MAURO RICCI, giusta delega in
atti;
– ricorrente –
contro
C.M.G., MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE C.F.
(OMISSIS);
– intimati –
Nonchè da:
C.M.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in
ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato
DOMENICO CONCETTI, che la rappresenta e difende, giusta delega in
atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),
in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
CLEMENTINA PULLI, ALESSANDRO RICCIO e MAURO RICCI, giusta delega in
calce alla copia notificata del controricorso e ricorso incidentale;
– resistente –
e contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE C.F. (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 309/2009 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,
depositata il 27/05/2009 R.G.N. 458/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
06/07/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;
udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI;
udito l’Avvocato DOMENICO CONCETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso principale assorbito il ricorso incidentale.
Fatto
Con sentenza depositata il 27.5.2009, la Corte d’appello di Campobasso dichiarava inammissibile per intervenuta acquiescenza l’appello proposto dall’INPS avverso la pronuncia con cui il locale Tribunale l’aveva condannato a pagare a C.M.G. i ratei di indennità di accompagnamento maturati e non riscossi a far data dalla revoca della prestazione.
Contro questa statuizione ricorre l’INPS con un motivo. Resiste C.M.G. con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato, anch’esso fondato su un unico motivo. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto in questa sede attività difensiva.
Diritto
Con l’unico motivo di censura, il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c. in relazione alla L. n. 448 del 1998, art. 37 e D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 130 per avere la Corte territoriale ritenuto che l’avvenuta esecuzione della sentenza, che pure non l’aveva visto regolarmente convenuto in giudizio, avesse implicato la sua acquiescenza alla pronuncia, rendendo inammissibile l’appello.
Il motivo è fondato. Questa Corte ha già avuto modo di fissare il principio secondo cui l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c., consiste nell’accettazione della pronuncia, ossia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita, potendo, in quest’ultimo caso, ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione e dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e ha precisato che la spontanea esecuzione della decisione di primo grado favorevole alla controparte non comporta acquiescenza alla sentenza, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione (cfr. fra le tante Cass. n. 13293 del 2014 e, più recentemente, Cass. n. 2012 del 2015).
Vero è che, nel caso di specie, l’INPS ha dato esecuzione ad una sentenza resa in un giudizio che aveva visto quali contraddittori soltanto l’odierna intimata e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nei cui confronti ella aveva chiesto il pagamento dell’indennità di accompagnamento revocatale a seguito di visita di revisione, tant’è che la Corte – argomentando dalla L. n. 448 del 1998, art. 37, comma 5, e dal fatto che, unitamente all’accertamento del diritto al ripristino della prestazione, era stata chiesta anche la condanna al pagamento dei ratei maturati e non corrisposti – ha ritenuto che l’Istituto, che pure era stato destinatario della condanna, fosse stato illegittimamente pretermesso dal giudizio di primo grado. Sennonchè, indipendentemente dalla questione se la legittimazione passiva esclusiva o concorrente dell’Istituto sussistesse al momento dell’introduzione della lite, non trattandosi di statuizione sulla quale sono stati proposti specifici motivi di censura, decisivo è sul punto rilevare che, nelle controversie relative ai risultati della verifica della permanenza dei requisiti sanitari previsti nei confronti di titolari di trattamenti economici di invalidità civile, il Ministero dell’Economia e delle Finanze agisce sempre e comunque quale sostituto processuale ex art. 81 c.p.c. del titolare del rapporto obbligatorio (ossia, nel caso di specie, dell’INPS), al punto che la decisione fa stato anche nei confronti del sostituito, che rimane la parte sostanziale del rapporto (Cass. n. 3010 del 2009). Di conseguenza, appare manifestamente errata la statuizione della sentenza impugnata secondo cui, essendo stata la sentenza di primo grado pronunciata in un giudizio da cui l’INPS era rimasto estraneo, l’ente non era tenuto a darvi esecuzione: al contrario, tale sentenza, recando l’accertamento del diritto dell’odierna intimata al ripristino dell’indennità di accompagnamento, conteneva una statuizione che, accanto alla (illegittima) pronuncia di condanna, faceva legittimamente stato nei confronti dell’Istituto, rendendo così del tutto inconfigurabile l’acquiescenza in dipendenza della sua esecuzione.
E’ poi appena il caso di aggiungere che a diverse conclusioni non è dato pervenire nemmeno considerando che la Corte di merito ha ritenuto sussistere la legittimazione ad impugnare dell’INPS in virtù della L. n. 248 del 2005, art. 10 e del successivo D.P.C.M. 30 marzo 2007: trattasi infatti di affermazione che incide esclusivamente sulla legittimazione a proporre l’appello, non anche sulla ricorrenza di comportamenti idonei a dar luogo ad acquiescenza, essendo questi configurabili solo anteriormente alla proposizione del gravame (v. in tal senso Cass. n. 13293 del 2014, cit.). Attesa la fondatezza del ricorso principale, viene quindi in rilievo il ricorso incidentale condizionato, con il cui unico motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 354 e 112 c.p.c. in riferimento al D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 130, comma 2, L. n. 448 del 1998, art. 37, comma 5 e al D.L. n. 269 del 2003 (conv. con L. n. 326 del 2003): ad avviso della ricorrente incidentale, infatti, la Corte di merito, una volta rilevato che il giudizio di primo grado si era svolto in assenza di un litisconsorte necessario, avrebbe dovuto dichiarare la nullità della sentenza e rimettere le parti davanti al giudice di primo grado per l’integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte pretermesso.
Il motivo è inammissibile. Questa Corte ha da tempo chiarito che l’interesse ad impugnare una sentenza o un capo di essa, che costituisce manifestazione del più generale interesse richiesto ex art. 100 c.p.c. per agire o resistere in giudizio, presuppone che nel precedente giudizio la parte impugnante sia rimasta anche parzialmente soccombente, purchè in senso sostanziale e non meramente formale, onde è inammissibile un’impugnazione da parte di colui che sia rimasto vittorioso sul capo di sentenza impugnato e mercè l’impugnazione si proponga non già la rimozione di un danno effettivo, ma il soddisfacimento di esigenze teoriche di correttezza formale (cfr. tra le tante Cass. nn. 16865 del 2002 e 18736 del 2003 e, più recentemente, Cass. nn. 1236 del 2012 e 594 del 2016). E poichè tanto deve ritenersi nel caso di specie, non spiegando la parte ricorrente incidentale quale pregiudizio avrebbe in concreto risentito dalla decisione della Corte territoriale di non rimettere le parti davanti al primo giudice per l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’INPS, stante che il principio secondo cui una sentenza emessa a contraddittorio non integro deve ritenersi inutiliter data nei confronti del litisconsorte pretermesso non trova applicazione allorchè, come nella specie, il giudice, nonostante la mancata notifica dell’atto introduttivo della controversia, abbia emesso la pronuncia anche nei suoi confronti (Cass. n. 6416 del 1998), il motivo va reputato inammissibile. In considerazione dell’accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione, che – oltre a giudicare sul merito dell’appello dell’INPS – provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie il ricorso principale, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 luglio 2016.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2016