Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23096 del 22/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 22/10/2020), n.23096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8683-2013 proposto da:

D.M.L., domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria

della CORTE DI CASAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato

CARMELA DE FRANCISCIS;

– ricorrente –

contro

AGENTE RISCOSSIONE DI NAPOLI EQUITALIA SUD SPA, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ADOLFO GANDIGLIO 27, presso lo studio

dell’avvocato EMIDDIO PERRECA, rappresentato difeso dall’avvocato

GENNARO DI MAGGIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 300/2012 della COMM.TRIR.REG. di NAPOLI,

depositata il 06/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2020 dal. Consigliere Dott. SATJA SALVATORE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 20.10.2011, la C.T.P. di Napoli accolse il ricorso proposto da D.M.L. avverso le intimazioni di pagamento notificategli il 28.9.2010 (limitatamente a quelle concernenti carichi tributari), non avendo l’Agente della riscossione fornito idonea prova della notifica delle sottostanti cartelle di pagamento. La C.T.R. della Campania, con sentenza del 6.11.2012, accolse però l’appello di Equitalia Sud s.p.a., e respinse quello incidentale del contribuente, riformando la prima decisione. Osservò, in particolare, il giudice d’appello che il D.M. non aveva disconosciuto la conformità delle relate di notifica delle sole cinque cartelle per crediti di natura tributaria, ma solo aveva contestato che i documenti potessero considerarsi idonei a provare la natura e qualità delle cartelle stesse presupposte, sicchè – alla luce della documentazione versata in atti – esse erano state regolarmente notificate.

D.M.L. ricorre ora per cassazione, sulla base di sei motivi, cui resiste Equitalia Sud s.p.a. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente si duole della decisione impugnata nella parte in cui non ha rilevato l’inesistenza della notifica delle cartelle in questione, perchè effettuata mediante invio diretto di raccomandata con avviso di ricevimento, da parte di soggetto privo di potere, non essendo stata effettuata nè da ufficiali della riscossione, nè da agenti notificatori, nè da messi notificatori o comunali, ed in ogni caso difettando la relata di notifica.

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 4, dell’art. 148 c.p.c. e del D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 110, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sempre riguardo alla notifica delle cartelle, il ricorrente lamenta la confusione operata dal giudice d’appello tra il ruolo del concessionario della riscossione e l’ufficiale della riscossione.

1.3 – Con il terzo motivo, si lamenta l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ancora riguardo alla notifica delle cartelle, il ricorrente si duole della omessa o insufficiente valutazione della propria posizione processuale, essendosi affermato – contrariamente al vero – che le copie delle relate prodotte dal concessionario non erano state disconosciute.

1.4 – Con il quarto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 148 e 149 c.p.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente rileva di aver contestato le relate di notifica prodotte da Equitalia perchè inidonea a dimostrare alcunchè, in quanto non prodotte in originale e con l’obbligo del timbro di congiunzione tra i vari fogli. Rileva dunque l’erroneità della decisione impugnata, per aver ritenuto sufficiente la mera produzione di copia dell’avviso di ricevimento, così violando anche l’art. 2697 c.c..

1.5 – Con il quinto motivo, si lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo il ricorrente, la decisione impugnata è ulteriormente illegittima per aver ritenuto non necessaria la produzione in giudizio delle cartelle indicate, ma solo degli estratti ruolo, così ritenendo fornita la prova del contenuto delle cartelle stesse.

1.6 – Con il sesto motivo, infine, si denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente lamenta l’erroneità della decisione nella parte in cui ha rilevato il difetto di giurisdizione in elazione ad alcune cartelle, giacchè nelle intimazioni di pagamento non era specificata la natura del tributo, sicchè del tutto correttamente egli le aveva tutte impugnate dinanzi al giudice tributario.

2.1 – I motivi possono esaminarsi tutti congiuntamente, perchè connessi, e sono palesemente infondati.

Premesso, in primo luogo, che del tutto correttamente la C.T.R. ha declinato la propria giurisdizione D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 2 in relazione alle intimazioni inequivocabilmente riferite alle cartelle di pagamento non espressive di pretese di natura tributaria, va conseguentemente disattesa ogni doglianza in merito alle modalità della notificazione delle cartelle e della relativa legittimazione del concessionario. Infatti, è assolutamente consolidato l’orientamento secondo cui “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 in quanto tale forma “semplificata” di notificazione si giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” (ex plurimis, Cass. n. 28872/2018).

Alcun vizio, in proposito, può dunque riscontrarsi nella decisione impugnata, essendosi accertato che la notifica delle cinque cartelle residue, di natura tributaria, era stata effettuata da Equitalia con tali modalità, e con piena legittimazione.

Per quanto concerne poi la pretesa inidoneità probatoria delle sole copie delle relate di notifica e degli stessi estratti di ruolo, v’è da osservare che la cartella è, come è noto, la riproduzione del ruolo, sicchè può farsi questione della inidoneità dell’estratto solo ove vi sia contestazione circa la effettiva corrispondenza della prima a quest’ultimo, il che non è nella specie; e ciò tanto più che la C.T.R. ha effettivamente effettuato il riscontro della corrispondenza tra le intimazioni di pagamento, il numero identificativo delle cartelle ad esse sottese e i relativi estratti di ruolo, con accertamento di merito non adeguatamente censurato in questa sede.

Si aggiunga, quanto alle relate prodotte in copia, che anche a ritenere effettuato il disconoscimento della conformità da parte del D.M., ciò non implica indefettibilmente – in assenza di un ordine in tal senso impartito dal giudice di merito – che la prova debba necessariamente darsi don la produzione degli originali, noto essendo che “In tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella), e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., il giudice, che escluda, in concreto, l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, in ragione della riscontrata mancanza di tale certificazione, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso” (Cass. n. 23902/2017; Cass. n. 24323/2018).

Si tratta di accertamenti evidentemente effettuati dal giudice d’appello, che correttamente ha escluso doversi ancorare l’idoneità probatoria, sul punto, alla necessaria produzione dell’originale delle relazioni di notifica delle cartelle di pagamento, e ciò sia perchè nessuna richiesta in tal senso era stata avanzata dal contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 4, e sia perchè detta prova può essere ordinariamente fornita anche mediante copia fotostatica, fornita o meno di attestazione di conformità all’originale, secondo la graduazione di cui all’insegnamento giurisprudenziale citato (si vedano anche, circa gli effetti del disconoscimento ex art. 2719 c.c., Cass. n. 24456/2011; Cass. n. 16998/2015). Nè, del resto, risulta dal ricorso in quali eventuali termini di specificità il D.M. avesse effettuato il preteso disconoscimento.

Infine, nessuna violazione dell’art. 2697 c.c. può riscontrarsi nella specie, in quanto la C.T.R. non ha addossato l’onere della prova (in questo caso, della notificazione delle cartelle) alla parte che non vi era tenuta; essa ha evidentemente accertato che il concessionario ha regolarmente assolto il proprio onere al riguardo.

3.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020

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