Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23096 del 03/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 03/10/2017, (ud. 21/06/2017, dep.03/10/2017),  n. 23096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24248-2014 proposto da:

F.C., F.D., F.L., elettivamente

domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio

dell’avvocato STUDIO GIANMARCO GREZ, rappresentati e difesi

dall’avvocato NADIA STANZIOLA giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

ARTE AZIENDA REGIONE TERRITORIALE EDILIZIA, elettivamente domiciliata

in ROMA, LARGO C. GOLDONI 47, presso lo studio dell’avvocato FABIO

PUCCI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO

MARIANELLI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 311/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 05/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2017 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie di parte controricorrente.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

C., L. e F.D. hanno appellato la sentenza del Tribunale di La Spezia che ha respinto la domanda con la quale essi avevano invocato l’esecuzione in loro favore della pronunzia n. 27662/2011 della Corte di Cassazione, che aveva riconosciuto il diritto di Ch.Ca. ed M.A. di acquistare a prezzo agevolato, quali profughi giuliani, due alloggi da parte dell’Azienda Regionale Territoriale Edilizia (A.R.T.E.) di (OMISSIS).

Gli appellanti avevano agito in primo grado affermandosi eredi di M.A., a seguito della rinunzia all’eredità del figlio di costei, F.A., ma il Tribunale aveva dichiarato l’inefficacia della rinunzia, intervenuta dopo che il chiamato aveva già manifestato ad A.R.T.E. il proprio intento di acquistare l’immobile in quanto erede, con comportamento costituente accettazione tacita.

A sostegno dell’appello, essi hanno affermato che F.A. non si era manifestato erede ai fini dell’accettazione, limitandosi ad intrattenere i rapporti con l’alienante solo in vista del perfezionamento dell’affare.

A.R.T.E. si è costituita chiedendo il rigetto del gravame.

La Corte d’Appello di Genova ha respinto il gravame, osservando in particolare che F.A. aveva inviato all’ente una missiva sottoscritta sia personalmente, sia nella dichiarata qualità di erede di M.A., con la quale chiedeva di procedere all’acquisto dell’immobile e perciò di sufruire degli effetti dell’eredità; tale comportamento la Corte ha qualificato come significativo dell’accettazione di eredità. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione C., L. e F.D. sulla base di due motivi cui A.R.T.E. ha resistito con controricorso.

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 102 c.p.c., assumendo che il giudice di merito avrebbe dichiarato la qualità di erede in capo ad F.A. senza preliminarmente disporne la chiamata in causa in quanto litisconsorte necessario.

Il motivo è infondato in quanto non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario quando, come nella specie, al giudice venga richiesto di accertare in via meramente incidentale una situazione giuridica che riguardi anche un terzo, poichè gli effetti di tale accertamento non si estendono a quest’ultimo ma restano limitati alle parti in causa (cfr. Cass. n. 26422/2008; n. 17027/2006).

Ne consegue che vertendo la controversia unicamente sul preteso diritto dei ricorrenti di subentrare nel diritto della originaria titolare all’assegnazione dell’immobile oggetto di causa, sul presupposto che gli stessi vantassero la qualità di eredi, si è posto come accertamento incidentale quello concernente la validità della rinunzia all’eredità effettuata dal diretto discendente della M., accertamento la cui efficacia appare limitata alla sola controversia in esame, che quindi non può produrre altri effetti sul piano oggettivo nè, dal punto di vista soggettivo, coinvolge in maniera vincolante la posizione di F.A., il quale ben potrà in diversa sede giudiziaria, ove lo ritenga opportuno, contestare e dimostrare che contrariamente a quanto accertato in questa occasione, sia divenuto erede della citata M..

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 467,476,519 e 521 c.p.c., lamentando che la corte d’appello avrebbe qualificato come accettazione tacita dell’eredità meri atti conservativi posti in essere dal chiamato. Il motivo difetta evidentemente del requisito di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

Ed, invero, la Corte d’Appello è pervenuta alla conclusione secondo cui F.A. fosse divenuto erede della madre, precludendo quindi la possibilità di invocare la qualità di eredi per rappresentazione degli odierni ricorrenti, facendo leva sullo specifico contenuto della missiva a firma dello stesso F. del 14/3/2012, missiva indirizzata alla controricorrente, e che, secondo l’apprezzamento del giudice di merito, conteneva una espressa assunzione della qualità di erede (cfr. parte virgolettata del teso della lettera riportato in sentenza), aggiungendosi altresì che con la medesima si esprimeva la volontà di avvantaggiarsi proprio degli effetti scaturenti dall’eredità di colei che con la sentenza di questa Corte n. 27662/2011 era stata riconosciuta come titolare del diritto all’assegnazione, atteggiamento questo che non poteva che implicare un’accettazione tacita dell’eredità.

Il motivo omette del tutto di riprodurre il tenore della missiva de qua, impedendo quindi a questa Corte di poter rilevare dal testo stesso del ricorso l’eventuale fondatezza delle critiche mosse alla valutazione compiuta sul punto dal giudice di merito, in violazione quindi della menzionata norma processuale.

In ogni caso, non può non rilevarsi che il motivo si risolve in un’inammissibile istanza volta a sollecitare una diversa interpretazione del contenuto e della portata effettuale della missiva in oggetto, mirando quindi a contestare un’indagine di fatto riservata al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità.

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2017

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